lunedì, luglio 31, 2006

CONSULTA STATUTARIA:E’ L’ORA DEL CORAGGIO E DELL’AMBIZIONE

PROVINCIA DI CAGLIARI
PROVINCIA DE CASTEDDU

COMUNICATO STAMPA

CONSULTA STATUTARIA:
E’ L’ORA DEL CORAGGIO E DELL’AMBIZIONE


“La decisione del Consiglio dei ministri di ricorrere contro la legge regionale sulla Consulta statutaria è sbagliata nei tempi, nel metodo ed anche anacronistica nella sostanza”.

Così il presidente della Provincia di Cagliari, Graziano Milia, che aggiunge:

”Forse il Governo confonde il concetto di Stato con quello di Nazione e forse ha dimenticato i contenuti della riforma del titolo V della Costituzione. Il concetto di sovranità richiamato nella legge regionale, nell’ambito di una unità statale che nessuno ha mai messo in discussione, nulla è di più che la naturale evoluzione di quella autonomia speciale di cui fino ad oggi ha goduto l’Isola”.

“In tal senso e in quanto tale – dice Milia – la sovranità è un concetto astratto, che è stato richiamato dal legislatore sardo per introdurre forme più avanzate di autonomia, in linea coi tempi e con la riforma della Costituzione. Quindi una semplice cornice di riferimento, che dovrà essere riempita di contenuti con la determinazione dei poteri che si vogliono esercitare e di come si vogliono esercitare”.

Per il presidente Milia, “questa è l’ora del coraggio e dell’ambizione, occorre superare l’approccio burocratico frapposto dal Governo e attivare al più presto la Consulta per arrivare rapidamente a definire i contenuti del nuovo Statuto sardo. In tal senso ha ragione il presidente del Consiglio Regionale Spissu, bisogna comunque andare avanti, entrare nel merito e definire i contenuti del nuovo Statuto, poi si potrà obiettare sull’eventuale superamento di quei limiti di sovranità su cui la Corte costituzionale si è più volte espressa, peraltro sostenendo che non esiste un’unica sede istituzionale dove tale sovranità possa esaurirsi”.

“Peraltro - conclude Milia - vorrei fare notare che se il concetto di sovranità può essere ricondotto a quello di nazione, uno degli elementi costitutivi è senz’altro la lingua e in tal senso, con la legge 482/99, il Parlamento ha riconosciuto la lingua sarda come espressione del popolo sardo”.



Cagliari, 31.07.2006

mercoledì, luglio 26, 2006

Miniere. UNDICI DONNE POVERE E UNA RICCA

Il 4 maggio 1871, nella miniera di Montevecchio, un gruppo di donne, finito il duro lavoro, tornò al dormitorio. Era il luogo della solidarietà, della condivisione ma anche delle liti furibonde: per un po' di pane, di lardo, un uovo, una cipolla. Erano fame e sofferenza.

L'inverno la stagione più temuta. Fortuna che era finito!

Da poco era stato costruito un serbatoio per l'acqua della vicina laveria, sopra la baracca.

Alle 18,30 venne giù. Sfondò il tetto. Ne uccise undici.

La più vecchia cinquanta anni, la più giovane dieci. Non risultarono responsabilità, «essendo che l'ingegnere stesso al quale sono affidati gli esterni lavori dello stabilimento pochi minuti prima della catastrofe passeggiava fiducioso sull'argine rovinato del serbatoio», chiarì il sottoprefetto.

La moglie dell'industriale brianzolo, nella camera dell'Albergo dei Minatori Golf Club di Naracauli, 140 anni dopo, tirò la maniglia dello sciacquone.

Le stanze erano very trendy, impregnate di sardità. Pietre e legni ricercati.

Come un secolo prima, l'acqua venne giù furente. Costellando di schizzi la gonna di Prada. Adirata, chiamò il boy della reception, che, mortificato, si scusò con accento settentrionale. Era sardo.

Risultarono responsabilità della chambermaid e del manutentore.

Il maelström del cesso si era risucchiato la dignità di un popolo.

Fin dagli indomiti Shardana, navigatori guerrieri, l'acqua, in farsa e in tragedia, aveva segnato il povero destino dei sardi. Rubata alle comunità, innaffiava placida il green oltre la finestra.

Mettiamola così. C'è un parco che non funziona e amministratori che chiedono sviluppo.

A nessuno passa per la testa che ci siamo sviluppati fin troppo, siamo quel quinto di umanità che divora quattro quinti delle risorse del pianeta, la corsa all'accaparramento provoca le guerre, avanti di questo passo il tracollo socio ambientale sarà inevitabile, si debba, e si possa, aumentare il ben essere tramite ridistribuzione e cura anziché saccheggio?

Duecentosessantamila metri cubi di cemento. Quattro posti da cameriere. Bonifica a spese della collettività. E costerà, ammettono, da dieci a cento volte il ricavato della vendita. Un capolavoro.

La terra piano piano si è ripresa quei luoghi. E quelle rovine, monumento al dolore e alla fatica, custodiscono le nostre radici. Un patrimonio enorme in termini ambientali, culturali, identitari.

Regaliamolo a lorsignori.

Sandro Martis

venerdì, luglio 07, 2006

UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SUI FATTI DEL G8 DI GENOVA

APPELLO PER UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA SUI FATTI DEL G8 DI GENOVA


In Italia, nel luglio del 2001, abbiamo vissuto quella che Amnesty
International ha definito "la più grave sospensione dei diritti democratici
in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale".
Quella ferita, inferta così violentemente il 20 e 21 luglio, ha lasciato
un'ennesima macchia di sangue nelle pagine della storia del nostro paese,
il sangue di migliaia di giovani umiliati, malmenati e torturati da coloro
che sarebbero stati addetti a preservarne la sicurezza; la vita rubata al
giovane Carlo Giuliani, vittima sacrificale di una mattanza indistinta.
La ferita dei giorni di Genova è rimasta aperta e dolorante nelle coscienze
di tanti italiani e italiane che ancora s'interrogano sulle responsabilità
politiche e materiali di quei gravi fatti, di chi si chiede come mai a
cinque anni di distanza ancora non si sia fatta chiarezza sulla linea di
comando, sulle inadempienze, sugli abusi di potere, sugli occultamenti di
prove o sulla loro invenzione.
Subito dopo quegli avvenimenti fu istituita una Commissione di indagine
conoscitiva bicamerale dotata di poteri d'indagine limitati. La natura
stessa della Commisione, nonché il breve tempo in cui si svolsero i lavori
(conclusi il 20 settembre 2001) denotano la volontà del governo di
centrodestra di chiudere velocemente la faccenda, auto-assolvendosi agli
occhi del Paese. Tale Commissione ha conseguentemente prodotto solo una
sommaria e lacunosa ricostruzione dei fatti accaduti a Genova, senza
arrivare ad una ricostruzione puntuale degli avvenimenti.
Anche i successivi eventi processuali (a cominciare dalla archiviazione
dell'omicidio di Carlo Giuliani) sono risultati viziati dalla stessa
logica: chiudere la "pratica Genova" nel più breve tempo possibile. Si sono
dunque banalizzati i fatti, riconducendoli ad una logica di "manifestanti
violenti" contrapposti a "sporadici eccessi delle forze dell'ordine". Tutto
questo col risultato di non poter vedere la precisa linea di repressione
del dissenso di cui Genova ha costituito l'episodio più grave, seguito da
altri meno noti ma non per questo meno inquietanti. Seguendo il solco
ideale del disinteresse tracciato dalla Commissione parlamentare, possiamo
leggere non solo le vicende processuali, ma anche la grave distrazione dei
maggiori media italiani, che stanno lasciando scivolare i processi in corso
per i fatti di Genova nella più completa apatia.
Se il nuovo governo vuole imprimere una svolta democratica al nostro paese,
da qui deve cominciare, perché non può esserci futuro democratico laddove
una macchia così grave viene lasciata alle spalle, perché non può esservi
saldezza di diritti in un paese in cui rimangono troppi dubbi sull'omicidio
di un giovane ad una manifestazione.
Il giorno dell'insediamento del nuovo governo è stato ripresentato al
Senato un disegno di legge sostenuto da 60 senatori e senatrici che prevede
l'istituzione di una commissione d'inchiesta sui giorni del G8 che abbia
gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria, che possa cioè utilizzare
tutti gli strumenti utili ad acquisire informazioni necessarie al
raggiungimento della verità. Analoga iniziativa è in corso alla Camera dei
deputati, con la possibilità quindi di ottenere una Commissione bicamerale,
che avrebbe ancora più peso politico. E' urgente che questo disegno di
legge venga discusso al più presto dal Parlamento per essere approvato e
l'inchiesta possa rapidamente partire.
E' necessario che tutti e tutte coloro che in questi anni hanno condiviso
la lotta per ottenere verità e giustizia si impegnino a far si che ciò
avvenga. Bisogna insistere affinché ogni parlamentare si senta in dovere di
assolvere una richiesta forte proveniente dal paese: nessuna lungaggine
burocratica, nessun ostacolo dovrà frapporsi questa volta all'istituzione
di un organismo, realmente aperto all'ascolto di tutti i soggetti che hanno
faticosamente lavorato in questi anni alla ricostruzione dei fatti, e che
possa dunque far luce sul black out di civiltà che ha investito il nostro
paese nel luglio del 2001.

Chiediamo a tutti e tutte di impegnarsi attivamente affinché si possa
finalmente in questo Paese, almeno su questa vicenda, restituire alle
parole verità e giustizia il loro significato.

PER ADESIONI SCRIVERE A:
guidaccio@gmail.com

domenica, luglio 02, 2006

Privatizzare? Meglio di no, ma se c'è un buon progetto...

da La Nuova Sardegna, 2 luglio 2006


Edoardo Salzano, urbanista contro. MAURO LISSIA




CAGLIARI. Edoardo Eddy Salzano è professore ordinario di urbanistica nel dipartimento di pianificazione dell'università Iuav di Venezia, dove è stato presidente di corso di laurea e preside della facoltà di Pianificazione del territorio. Consulente di amministrazioni pubbliche per la pianificazione territoriale e urbanistica in tutta Italia, ha scritto saggi importanti e pubblicazioni specializzate. E' nato a Napoli, ha vissuto a lungo a Roma e dal 1975 abita a Venezia. Salzano è stato amministratore pubblico sia nel Lazio sia in Veneto. Autore di un aggiornatissimo sito (www.eddyburg.it) diventato rapidamente un riferimento per chiunque si occupi di urbanistica e ambiente, è oggi impegnato in una battaglia pubblicistica aspra contro la realizzazione di opere faraoniche come il Mose a Venezia e il ponte sullo stretto di Messina, che giudica inutili e dannose. Non ha paura di schierarsi: sulla porta della sua casa nel quartiere storico di Dorsoduro, vicino a piazza San Marco, campeggiano due bandiere con la scritta 'No Mose'. A settantacinque anni, Salzano è considerato una delle massime autorità nel suo campo ed è sulla base dei suoi titoli che Renato Soru l'ha chiamato a coordinare il comitato scientifico incaricato di elaborare la filosofia del nuovo piano paesaggistico regionale, approvato di recente dalla giunta sarda di centrosinistra. Sulla scia delle polemiche nate attorno alla scelta del governo Soru di mettere all'asta il compendio storico minerario del Sulcis gli abbiamo chiesto di rispondere ad alcune delle critiche lanciate in questi giorni dagli oppositori del piano. Ecco che cosa ci ha risposto.



Privatizzare? Meglio di no ma se c'è un buon progetto... Parla il coordinatore del nuovo piano paesaggistico della Regione.

MAURO LISSIA



VENEZIA. - Professor Salzano, la Regione ha messo all'asta il compendio minerario del Sulcis, vuole farne un paradiso delle vacanze con campi da golf. Il bando scade domani. Condivide la scelta?

"Quando un ente pubblico decide di alienare i suoi beni io sono sempre contrario. Una cosa sono le regole delle trasformazioni fisiche, un'altra sono le funzioni che si stabiliscono attraverso i piani, un'altra ancora è il regime proprietario. Come regola generale io sono anti-tremontiano, la proprietà è una garanzia in ogni caso. Ho apprezzato l'iniziativa di Renato Soru di avviare la conservatoria delle coste ma in questo caso sono contrario. Bisogna però vedere che cosa si fa col ricavato della vendita...".

- La base d'asta è 44 milioni per 647 ettari di terre pregiatissime. Chi compra fa un affare...

"Sì, in termini generali io sarei per una concessione onerosa. Dà garanzie maggiori al pubblico".

- Lei ha coordinato l'elaborazione del piano paesaggistico della Sardegna, cui hanno lavorato intellettuali di diversa provenienza e inclinazione. A leggerne la filosofia sembra che l’orientamento sull’uso degli spazi storici fosse diverso. Nel testo sono numerosi i richiami alla salvaguardia dell’identità dei luoghi e alla conservazione filologica dei manufatti. Ma nel bando è prevista anche la demolizione.

"L'orientamento era di escludere le seconde case, per ora sulla fascia costiera. Qui le garanzie le abbiamo messe e sono chiare".

- Però nel piano si parla in termini aspramente critici di corsa alla privatizzazione. Gli oppositori dicono che la scelta di vendere il Sulcis minerario va in controtendenza rispetto allo spirito dello strumento di pianificazione.

"Nel nostro lavoro siamo partiti con un fantasma davanti agli occhi, quello dei villaggi turistici, queste oscenità... Un gruppo milanese o belga va in Sardegna, compra la terra dell'allevatore e ci costruisce uno di quegli obbrobri che conosciamo. Invece la trasformazione di certi edifici pubblici, che io comunque tenderei a evitare, non mi scandalizza. Se l'ipotesi è realizzare alberghi e gli alberghi sono necessari, se li fanno i privati e la Regione ha bisogno di vendere per raccogliere quattrini utili a comprare aree a rischio sulla costa e finanziare la conservatoria...".

- Sta dicendo che il fine giustifica i mezzi?

"No, ripeto: il pubblico è meglio che conservi il proprio patrimonio immobiliare".

- In questo caso anche un patrimonio affettivo, forse per questo la protesta sta montando...

"Va ricordato che il piano è solo un atto amministrativo, non può imporre un atteggiamento ascetico".

- La relazione scientifica allegata al piano sembra qualcosa di più che un semplice atto amministrativo.

"Certo, ci hanno lavorato anche scrittori... Mi spiego meglio: io sono nettamente contrario alla privatizzazione generalizzata. Ma se dietro alla dismissione c'è un ragionamento, una finalizzazione, allora se ne può discutere, purchè le finalizzazioni ci siano e siano conformi al piano. Lo slogan di partenza è stato 'non vogliamo cancellare il turismo, vogliamo modificarlo' per godere in modo controllato di questo patrimonio di bellezza incentivando le attività ricettive".

- Ma lei è convinto che il turismo possa essere davvero una risorsa economica per la Sardegna del futuro?

"Solo se la Sardegna riesce a conservare la qualità dei suoi siti".

- Nel piano la parola valorizzazione, riferita ai luoghi, viene definita parola fantasma, rottame di parola.

"I grandi economisti del passato, da Adamo Smith a Carlo Marx, distinguevano due valori: il valore d'uso e il valore di scambio. Il valore usato per le sue caratteristiche proprie e quello che ha in quanto merce. L'aria non è un valore di scambio, come l'acqua pulita. Allora: quando noi parliamo di valorizzare un bene possiamo parlarne nel senso di rendere quel bene una merce e far sì che il proprietario ne ottenga un lucro. Oppure che mettiamo in evidenza, conserviamo e accresciamo il valore d'uso, l'eccezionalità, la rarità, la qualità propria di quel bene. In genere il termine valorizzazione viene usato nel primo senso, a me quello giusto sembra il secondo".

- Qual è la linea di confine tra uso e abuso del bene ambientale?

"Capire quali sono le trasformazioni ammissibili per quel determinato bene, nel senso che ne conservano e ne mettono in evidenza il valore, e quelle che invece ne diminuiscono la qualità".

- E' accettabile che a individuare questa linea di confine siano i politici?

"Questa è la democrazia, baby (sorride) ... non ci si può far niente. Per pianificare la Sardegna sono state scelte persone che fra di loro non avevano alcun rapporto, io non conoscevo Soru e lui non conosceva me...".

- Un'anomalia felice?

"Diciamo pure che dopo lunghi tira e molla siamo rimasti tutti soddisfatti di questo piano paesaggistico".

- Malgrado molti amministratori locali dicano che il piano è generico, che è troppo complesso?

"E' un piano che richiede una collaborazione da parte di chi deve approfondire le cose. Da questo punto di vista è difficile, perchè chiede a Province e Comuni un impegno nell'approfondimento dell'analisi, chiede di definire meglio i confini che noi abbiamo individuato, di farsi carico di una serie di cose di cui l'urbanistica tradizionale non si faceva carico perchè era rivolta alla ricostruzione, mentre qui il piano è finalizzato alla tutela del paesaggio".

- C'è però chi lo legge come un piano di divieti.

"Non c'è dubbio, lo è per l'urbanistica edificatoria. Ci sono due modi di pianificare: il primo è dire 'sul territorio si può fare tutto' in base alle convenienze dei privati o della comunità locale. L'altra impostazione è legata alla legge Galasso, che risale al 1985 e dice: il territorio è quello che è, verifichiamo in primo luogo che cosa si può trasformare e secondo quali regole. Quando abbiamo individuato le aree in cui le trasformazioni possono anche essere pesanti, allora decidiamo che cosa si può fare in queste aree. Ma partiamo dal territorio, non dal cemento. La domanda è: questa impostazione a quali classi economiche, ceti sociali, interessi economici serve e quali contrasta?".

- Risposta scontata...

"Purtroppo gli oppositori più accaniti di questa impostazione sono i più dotati di mezzi di comunicazione, questo è il problema...".

- E' un piano ambientalista?

"E' un piano che piace agli ambientalisti, che consente di realizzare qualità nuove in coerenza con quelle attuali".

- Non toccare il territorio intatto, un passaggio del piano che colpisce per l'idea di rigore che contiene.

"E' un pallino di Soru. Ci ha detto: per favore, quello che non è stato toccato si lascia stare, sul resto discutiamo. Io sono d'accordo. Stiamo per presentare a un gruppo di parlamentari dell'Ulivo un disegno di legge in cui diciamo che l'obiettivo è fare come altri paesi del mondo: il territorio non edificato e urbanizzato viene trasformato solo se si dimostra che le cose che si vogliono fare là non si potevano fare altrove".

- In Sardegna sono proprio i Comuni che hanno il territorio intatto a protestare per i divieti.

"Non capiscono che sono i più fortunati. Ma una carenza nel piano c'è: quando noi diciamo che le costruzioni vanno realizzate nelle aree adiacenti i centri urbani non diciamo che poi bisognerà farsi carico di un sistema di trasporti fra questi centri e la costa. E' un problema di organizzazione della mobilità, che non significa fare strade ma sistemi di trasporto leggeri. Bisogna lavorarci sopra, ma questo è un compito che spetta alla successiva pianificazione".

- Che cosa direbbe al sindaco di un piccolo paese costiero della Sardegna che protesta: io non ho altro modo per dare lavoro ai miei compaesani, ci sarebbe il turismo ma la Regione...

"Gli direi che vicino al paese può costruire... vediamo quante case vuote ci sono in quel paese. C'è da fare un enorme lavoro di recupero del patrimonio edilizio esistente. Fra l'altro chi costruisce un villaggio turistico ex novo compra i materiali all'esterno e li assembla in Sardegna, finestre, stipiti... e dunque il moltiplicatore economico è bassissimo. Chi invece ristruttura e riorganizza impiega manodopera locale, materiale, artigianato locale... lo dice Soru e ha ragione".

- C'è qualche carenza importante?

"Le norme sono ancora un po' confuse. Sarebbero stati necessari altri sei mesi di lavoro per realizzare una cosa più semplice dal punto di vista dell'utilizzatore delle norme. Sono d'accordo sul fatto che ci siano diverse categorie di beni da tutelare, che la Regione individua. E norme riferite agli ambiti di paesaggio che rinviano alla pianificazione successiva. Con un ulteriore sforzo si poteva fare qualcosa di più semplice, ma trovo miracoloso come sia stato raccolto il materiale informativo, un grande risultato che oggi viene citato con favore da molti autorevoli urbanisti. Roberto Gambino del Politecnico, membro di molti organismi internazionali, non è soddisfatto di alcune cose ma comparativamente giudica il piano il migliore in Italia. E lui ne ha fatti molti".

- A cosa è ancorata la critica di Gambino?

"Alla distinzione dei livelli di qualità dei siti e io sono d'accordo con lui. Non ha senso dire: questo bene vale più di quest'altro e un po' meno di quest'altro ancora. Bisogna individuare le caratteristiche proprie di quel bene e poi tutelare quelle. Ma questa distinzione compare nel codice Urbani, anche se per fortuna nell'ultima edizione si è un po' stemperata".

- Qual è il bene più importante da tutelare nell'isola?

"La consapevolezza che i sardi hanno della qualità del proprio territorio".

- Che cos'è il paesaggio, professore?

"Secondo il modello europeo, secondo me pericoloso, è quello che viene percepito dalla gente. Ma io chiedo: quale gente? Quale? Se noi pensiamo a com'è la gente oggi, il termine gente lo abolirei, ci rendiamo conto che molte situzioni prima di poterti affidare all'intuito e alla comune opinione della gente devi fare un'opera di educazione che è stata interrotta. Allora meglio rivendicare la responsabilità dei poteri centrali, garantita dalla legge".

- E' cresciuta la sensibilità ambientale negli ultimi anni?

"Solo in porzioni minoritarie della popolazione. L'Italia è ancora il paese in cui la gente spazza l'immondizia fuori sulla strada perchè poi sulla strada ci pensano gli altri".

- Allora questo è un piano impopolare?

"Dipende da come funziona la Sardegna... i sardi che conosco hanno un grande orgoglio del proprio territorio, anche se poi non si traduce sempre in atti reali".

- L'eolico, professore. Giusto frenarne la diffusione?

"C'è stato purtroppo un gap fra le parole d'ordine dell'ambientalismo e l'attuazione pratica. L'ambientalismo ha detto giustamente: energie rinnovabili. Una è l'eolico. Dopo di che è mancato il passaggio del potere pubblico: studiare e verificare quali sono le fonti di energia rinnovabili, quali i vantaggi di ciascuna di queste e sulla base di questo fare un piano energetico nazionale. Quindi i progetti, gli standard per realizzare questo o l'altro, infine largo alle imprese. Qui l'iniziativa è partita dalle imprese, che portano enormi materiali assolutamente invasivi. Provocano enormi devastazioni nel paesaggio e sono impianti che non vanno bene in un terreno accidentato come quello sardo. Dove invece si potrebbe sviluppare il fotovoltaico".

- Nel piano manca una disciplina della luce, dell'uso dell'illuminazione pubblica.

"E' un problema che non ho mai visto trattato in uno strumento di pianificazione, certo poteva essere un'occasione visto che negli ultimi tempi se ne parla molto in Italia e in Europa. Ma guardi... non è mai stato fatto un piano paesaggistico così imponente in tempi così ridotti. Si è fatto il possibile".

- Qual è il prossimo passo?

"Dovremo lavorare sulla legge Floris, che partiva da un decreto sugli standard, sulle quantità minime di spazi pubblici. Sulle zone interne penso che sarà elaborato un piano a parte. Certo le pressioni e gli interessi sono minori, quindi non c'è urgenza. Forse però prima di trattare i problemi dell'interno sarebbe utile definire la legge urbanistica regionale e fare una pianificazione non solo paesaggistica. La legge Galasso dava due possibilità: fare diversi piani paesaggistici oppure piani ordinari con particolare considerazione ai valori paesistici e ambientali, i piani territoriali di coordinamento. Ecco, forse varrebbe la pena di fare un piano territoriale regionale".

I siti minerari in vendita.

Gentilissimo Ministro,

in Sardegna sta avvenendo una cosa curiosa e preoccupante: il governo regionale ha messo in vendita dei siti di enorme valore ambientale e storico-culturale per farne alberghi, centri benessere e campi da golf.
La scelta è, a mio avviso, sbagliata nel metodo e nel merito.
Personalmente, quindi - in quelle zone ci sono nato - , ho lanciato un appello a cui hanno risposto tantissimi Sardi, condividendo con me l'allarme.
Poi ho sollecitato la Rete Lilliput, di cui faccio parte, ad esprimersi in merito: ne è nato un comunicato che non si limita a contestare ma propone alternative ambientalmente sostenibili che se coraggiosamente perseguite porterebbero maggiore e duraturo sviluppo, con un totale rispetto dell'ambiente. Anche a questo comunicato, una parte importante dell'opinione pubblica sarda ha risposto positivamente.
Non risponde, invece, il Presidente della Regione: definendoci sprezzantemente "portatori di perplessità", prosegue testardamente nei suoi intenti dismissori: recentemente, e suscitando polemiche, pare abbia sorvolato, insieme a probabili acquirenti, le zone poste in vendita (con un elicottero dei carabinieri o della "forestale", non ricordo).
Due cose e urgentissime, le chiedo.
Il suo parere (politico) personale o, se vuole, "del Ministero", rispetto a questo progetto di alienazione di beni pubblici.
E se non ritenga necessario approfondire il tema, ovvero, anche alla luce dei molti vincoli esistenti a tutela di tali siti, se non sia il caso di promuovere un'ispezione ministeriale che appuri sinanche la "legalità" oltre che l'opportunità di tale operazione.

La saluto cordialmente, e resto in ansiosa attesa di un riscontro

Sandro Martis
P.S. Più sotto trova il comunicato della Rete Lilliput Sardegna

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La Rete Lilliput Sardegna esprime netto dissenso e fortissima preoccupazione rispetto alla decisione della Regione Sarda di vendere alcune aree minerarie (Ingurtosu, Masua, Monte Agruxau, Naracauli, Pitzinurri) per realizzarvi "strutture alberghiere ricettive con annessi centri benessere, strutture sportive e per il golf".

Si tratta di zone di grandissimo valore culturale e naturalistico, all'interno del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, inserite in Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e dichiarati "Patrimonio dell'Umanità" dall'Assemblea Generale dell'UNESCO.
"Sono le architetture di un'epoca passata, elegantissime, sui fianchi delle alte colline affacciate verso il mare, a volte a ridosso delle spiagge, sovrastate dalle creste di una catena montuosa frastagliata, fra boschi di leccio, macchia mediterranea, foreste protette. Sorgono in una zona costiera, in gran parte intatta e “scampata” alla edificazione che ha interessato molti altri tratti della costa Sarda, e carica di suggestione, di bellezza e fascino. Un vero spettacolo della natura". (fonte: Bando di vendita della Regione)

"La costa sulla quale si affacciano questi villaggi, è scampata alla edificazione che ha interessato molti altri tratti della Sardegna. Il Piano Paesaggistico consentirà solo il recupero dell'edilizia e dell'architettura industriali, con volumetrie aggiuntive determinate dalle esigenze di moderni iniziative turistico-alberghiere di alta qualità" ... La Sardegna offre l'opportunità di un investimento turistico in riva al mare: l'ultima occasione di realizzare anche nuove volumetrie... " (fonte: www.regione.sardegna.it)
Inserite in un ecosistema fragilissimo già messo a dura prova da un disordinato e crescente impatto turistico, dall'elevata domanda imprenditoriale di trasformazione delle zone costiere e dai fenomeni di inquinamento derivante dalle miniere dismesse, con estese superfici coperte da detriti e fanghi, e i principali corsi d’acqua (Rio Piscinas, Rio Irvi e Rio Naracauli) contaminati da Zn, Cd, Pb e altri metalli pesanti.
A pochi passi da Piscinas, il più vasto complesso dunale d'Europa e dell'intero bacino del Mediterraneo, estremamente fragile e ad alto rischio di degradazione.

"Il tratto di costa e' caratterizzato da dune di sabbia con presenza di fitta macchia mediterranea. La gran parte del biotopo e' caratterizzato da ambiente collinare. Il paesaggio vegetazionale delle coste sabbiose associato alle elevate altezze delle dune costituiscono elemento caratterizzante della parte del biotopo di Piscinas. Biotopo costiero con presenze litologiche di enorme valore nella ricostruzione della storia geologica della Sardegna. Esistenza di diverse serie vegetazionali climaciche e pedoclimaciche. E' l' unico biotopo a comprendere bioclimi termomediterraneo secco mesomediterraneo inferiore e mesomediterraneo medio. Da segnalare la presenza di uno degli ultimi tre nuclei originari di Cervo sardo. La piccola area umida retrostante la costa e' frequentata da interessanti specie ornitiche svernanti. L'alto valore di biodiversità delle specie vegetali e delle Formazioni vegetali conferisce al sito rilevanti qualità ambientali, di tutto interesse europeo. Sistema molto fragile...". (fonte : Ministero dell'Ambiente della Tutela del Territorio)
Nella zona è stato avviato il progetto LIFE-Natura “Dune di Piscinas – Monte Arcuentu” per la tutela e conservazione delle specie locali quali il cervo, l’aquila reale, il ginepro.

Le aree e i fabbricati messi in vendita, furono acquistati, nel '98, dalla IGEA SpA (di proprietà regionale), con un contratto in cui la Regione rinunciava ad esigere "il ripristino, il risanamento e il riassetto, anche ambientale" dalla società venditrice (la SNAM, del gruppo ENI) quindi se ne assumeva l'onere, per poi, "terminati i lavori di riabilitazione e recupero", trasferirli "gratuitamente agli Enti Locali interessati", ovvero ai Comuni.

Risanamento che non c'è stato, passaggio agli Enti Locali che non c'è stato.
Nonostante siano state spese cifre ingenti.

La Regione potrebbe e dovrebbe impegnarsi, anziché alienare quei beni, ad ottenere un risarcimento per le cifre stanziate a fronte di prestazioni e servizi mai ottenuti, per quanto (non) forniti da enti e società di sua stessa proprietà, o esigere la bonifica dei siti, ovvero individuare, nelle sedi opportune, malfunzionamenti, responsabilità, inadempienze.

Disconoscendo ogni precedente accordo o "protocollo d'intesa", come quelli inerenti i cosiddetti "Progetto Montevecchio" e "Progetto Ingurtosu" - la cui stesura costò non poco alle pubbliche casse: riguardavano "interventi in campo turistico" ma parevano quantomeno più "sostenibili"da un punto di vista ambientale: previsti, tra l'altro, un "trenino verde", il ripristino di vecchi sentieri, la valorizzazione di laghetti collinari, la promozione di piccole realtà produttive, come l'apicoltura (sono presenti specie arboree rarissime) o la "coltivazione" delle erbe officinali -, ora la Regione decide di vendere "i gioielli di famiglia" per farne alberghi di lusso.

La costruzione ex novo (di questo, di fatto, si tratterebbe, visto lo stato delle rovine, e non di "ristrutturazione") di enormi fabbricati (previsti 160.000 mc di cemento nel compendio di Masua, Monte Agruxau e 100.000 mc in quello di Ingurtosu, Naracauli, Pitzinurri) introdurrebbe, sia nella fase di costruzione (disboscamento, traffico di operai e mezzi pesanti, ruspe, betoniere, camion, estrazione, movimentazione, utilizzo "pietrisco", sabbie, terra, lavorazione cementi, calcestruzzi, costruzione vie di accesso, sistemi idrici e fognari, palificazioni energia elettrica e telecomunicazioni, inquinamento del suolo, acustico, atmosferico), sia in quella successiva di "fruizione turistica" (carico antropico, scarichi fognari, inquinamento atmosferico e acustico, traffico veicoli), scompensi dannosissimi e irreparabili all'ambiente circostante.

Come non bastasse, il bando prevede la costruzione di campi da golf.
In Italia abbiamo la più bassa media di giocatori d'Europa (234 giocatori per ogni campo da golf, la media europea è di 1031, quella mondiale di 1848), ma continuiamo a fare campi. Migliaia di ettari di terreno sottratti alle comunità per destinarli ad uno sport elitario che nulla ha a che fare col nostro ambiente e la nostra cultura.
Proprio perché costosissima, la pratica del golf vanta pochi appassionati, e i campi "lavorano" normalmente "in passivo" (vedere i casi di Is Molas Golf Club, a Pula, e Villaggio Bagaglino, a Stintino, entrambi "falliti"), ovvero, per compensarne le perdite, sono spesso associati ad operazioni immobiliari a carattere speculativo.
Poi, in una regione come la nostra, a rischio desertificazione, c'è il problema acqua: un campo di dimensioni medie ne consuma ogni giorno quanto un paese di 8-9000 abitanti.
Se il campo sorge vicino alla costa, i pozzi scavati per l'irrigazione possono provocare la salinizzazione della falda, mentre l'impiego di pesticidi e diserbanti sfiora ogni anno le due tonnellate; in entrambi i casi, le conseguenze sono disastrose in termini di salinizzazione, inquinamento e conseguente avvelenamento di specie animali e vegetali. (Fonte:antigolf.org)

La Rete Lilliput Sardegna ritiene che le risorse storiche, culturali ed ambientali della zona, come di tutta l'Isola, possano essere, se rispettate e valorizzate, fonte di reddito e benessere per i Sardi.

La vendita, o la cessione a qualsiasi titolo anche temporanea, di quelle risorse di proprietà dei Sardi, a multinazionali, che trasferirebbero altrove i profitti(i requisiti economico finanziari richiesti dal Bando ne precludono la partecipazione a piccole imprese locali), fermi restando i danni ambientali e storico-identitari, arrecherebbe grave pregiudizio all'economia isolana. La ricaduta in termini occupazionali sarebbe minima e limitata al lavoro temporaneo, precario e subordinato (lavoratori edili, camerieri stagionali), mentre la devastazione ambientale quindi la conseguente perdita economica anche in termini di "richiamo turistico" sarebbero enormi.

Una delle ragioni che giustificherebbero, secondo la Regione, la vendita, sarebbe la possibilità di finanziare con essa la "bonifica" da fanghi, detriti, metalli pesanti, eredità dello sfruttamento minerario. Ma, a fronte di un prezzo di vendita molto basso, come già avvenne nei confronti della SNAM la Regione si prende anche l'onere della bonifica.
"Gli interventi di messa in sicurezza, riqualificazione ambientale e bonifica delle aree interessate dalla gara saranno a carico dell’Amministrazione Regionale Sarda, che si avvarrà, per la realizzazione degli interventi, dei soggetti istituzionalmente preposti, quali l’Igea, proprietaria delle aree. Verranno stipulati accordi di programma con le amministrazioni locali interessate e con gli organismi aventi competenza istituzionale in materia". (fonte: Bando di vendita della Regione)
Spese di bonifica che potrebbero essere, dicono gli esperti di Legambiente, ben superiori agli introiti ricavabili dalla vendita. Tanto che, secondo il Gruppo di Intervento Giuridico di Cagliari, potrebbe configurarsi un'ipotesi di danno erariale.

La Rete Lilliput Sardegna, ritiene che
con una serie di misure che prevedano la bonifica, la messa in sicurezza degli stabili, il coinvolgimento delle comunità locali, la formazione, l'incentivazione di piccole imprese, che trasformino e rendano ecologicamente fruibili quelle località, già incantevoli, per un turismo "rispettoso e silenzioso";
lavorando alla limitazione del traffico di mezzi inquinanti, e alla contestuale promozione di escursioni e visite guidate, con personale motivato e preparato, a piedi, a cavallo, in bicicletta;
studiando mezzi collettivi, alternativi, ecologici, caratteristici, per la visita alle miniere e l'accesso alle spiagge;
restaurando alcune strutture per adibirle a sale convegni, esposizione mostre, manifestazioni artistiche e culturali (si provi ad immaginare il fascino del teatro, della musica, tra ruderi e dune lunari);
dando in concessione, con opportuni vincoli e verifiche, piccole strutture, ai margini dell'area, in zone già relativamente urbanizzate (Montevecchio, Ingurtosu), che valorizzando il silenzio, ospitino centri ristoro, piccoli "alberghi minerari", agriturismo di qualità, con prodotti biologici e (realmente) locali (sarebbe anche importante incentivo alla agricoltura di qualità, ora soffocata dalla grande distribuzione);
promuovendo l'"albergo diffuso" tra le comunità residenti ai confini del Parco (Arbus, Guspini, Fluminimaggiore, Nebida, Masua, ... )
contrastando seriamente il bracconaggio e lo sfruttamento venatorio dell'area, con la costruzione di "oasi", dove cervi, e altre specie, possano dissetarsi e sfamarsi, e di "punti di avvistamento" per cervi, cinghiali, rapaci;
provvedendo alla classificazione, alla cura, alla "esposizione" delle rare specie di piante e arbusti;
valorizzando i bellissimi sentieri, alcuni già "segnati" dal CAI, divulgandone i tracciati;
reimpiegando quelle professionalità, come i lavoratori di IGEA, che con l'attuale politica di cessioni rischierebbero la perdita del lavoro, in questo innovativo processo di tutela, valorizzazione, promozione;
dando attuazione ad un processo "partecipativo" e "dal basso" che veda le popolazioni coinvolte, informate, consultate nelle scelte che riguardano il loro territorio, il loro futuro, la loro dignità;
con una efficace campagna che diffonda, a livello internazionale, l'immagine di un tale paradiso (ex minerario) terrestre, fortemente valorizzato proprio dalla assenza di quelle strutture di cui l'attuale "Bando di Cessione" auspica la costruzione, e provvedendo alla intercettazione di quei flussi in crescita di viaggiatori consapevoli, alla ricerca di ambienti e culture integri, lontano dalla devastazione e dalla insostenibile "impronta ecologica" del turismo dei villaggi vacanze o degli alberghi a cinque stelle, alla ricerca di un "percorso equo e solidale" più coerente con l'ambiente e la cultura circostante, che non generi sfruttamento (di ambiente, animali, lavoratori) e stress da vacanza;
organizzando, nelle comunità locali, eventi di formazione su Ambiente e Turismo, che educhino al rispetto del primo quale premessa alla valorizzazione del secondo, e allontanino il miraggio dell'arricchimento facile (a danno di ambiente, persone, e "immagine" della Sardegna), perseguito purtroppo da troppi improvvisati "operatori turistici" attuali;
ricorrendo finanche all'azionariato popolare per il reperimento delle risorse;
possa cominciare un viaggio che, partendo dai beni preziosi della nostra Isola (identità, cultura, tradizioni, ambiente), tutelandoli e valorizzandoli, porti le popolazioni, e una classe dirigente attenta, a comprendere che dalla cura, non dalla dissipazione, di tali beni provengano opportunità di benessere e speranza di futuro per i Sardi e la loro isola.
In una Sardegna non più discarica di rifiuti, tossici o nucleari, non più colonia turistica, industriale, penale, militare.


La Rete Lilliput, chiedendo con forza il superamento del "Bando di Cessione" e impegnandosi a contrastarlo, si rende disponibile
ad incontrare il Presidente della Regione, gli assessori competenti, le strutture e le amministrazioni interessate, le associazioni ambientaliste, i sindacati, le popolazioni, per discutere e studiare, coi metodi della democrazia partecipata, quale futuro dare alle aree minerarie e al Parco.
a portare avanti un'opera di sensibilizzazione e "coscientizzazione critica" nelle comunità, con altre associazioni e singole e singoli che si riconoscano in questo appello creare un Comitato, e redigere un Manifesto per la Riconversione Ecologica della Aree Minerarie Dismesse che riesca a coniugare il rispetto dell'ambiente con le opportunità di lavoro per gli abitanti di quelle zone.

La festa del poligono della morte

La festa del poligono della morte
e la foglia di fico del sottosegretario alla Difesa


La partecipazione di Emidio Casula, sottosegretario alla Difesa, ai macabri festeggiamenti del poligono della morte "Salto di Quirra" e' una ferita bruciante alla sensibilita' della stragrande maggioranza del popolo sardo e un funesto segnale di continuita' con la politica dell'insabbiamento dei "morti scomodi" e del potenziamento della struttura di guerra perseguita dai precedenti governi di centrodestra e centrosinistra.

Il poligono della morte Salto di Quirra e' l'esempio peggiore della colonizzazione militare selvaggia inflitta all'isola, fondata sulla rapina delle risorse, della salute e della vita della popolazione. Ricordiamo le cifre della strage in atto, emerse fin dal gennaio 2001 (governo D'Alema):
Poligono Interforze Salto di Quirra, 15 militari affetti da tumore; Quirra, 150 abitanti, 20 persone colpite da tumori emolinfatici; Escalaplano, 2.500 abitanti, 14 bambini con gravi alterazioni genetiche.

Il sottosegretario tenta goffamente di coprire l'oscenità con la foglia di fico dell'ennesima promessa di improbabili ricerche sull'uranio impoverito (sarebbe l'indagine numero 9!) "dimenticando" che:

1) il proseguimento dell'indagine sull'uranio impoverito (DU), avviata dal Senato nella passata legislatura, e' atto dovuto;

2) il DU e' solo uno dei tanti veleni, noti e non noti, sparsi a piene mani dalle multinazionali delle armi e dalle forze armate di mezzo mondo nel corso dei 50 anni di vita del poligono della morte.

Il sottosegretario, in rispetto del suo ruolo istituzionale, si attivi affinche' il nuovo Governo non si renda complice della strage, ponga fine all'illegalità permanente e si adegui alle norme internazionali, sottoscritte dall'Italia, che sanciscono l'obbligo degli Stati di osservare il principio di precauzione. Da questo DOVERE discende la necessita' urgente di sospendere tutte le attivita' del poligono, almeno fino a quando non siano stati individuati e isolati gli agenti killer e il territorio sia stato
decontaminato.

Solo dopo aver attivato la procedura di moratoria delle devastanti attivita' belliche si puo' parlare e discutere di studi e accertamenti. Il miraggio di "indagini scientifiche" e' stato usato troppo a lungo come oppio per narcotizzare l'allarme sociale.

Il sottosegretario DICA:

1) a quanto ammontano le risorse finanziarie che ministero della Difesa e Governo intendono stanziare per indagini e bonifica. Secondo le stime condivisibili del Procuratore militare di Cagliari Carlo Rosella effettuate per la sola area a terra del poligono di Capo Teulada, il costo equivale a quello di una manovra finanziaria;

2) come intendano reperire i fondi e in quale capitolo di spesa intendano iscrivere i costi ingenti. Noi diamo un'indicazione: dirottamento delle risorse finanziarie sperperate per le disumane missioni di guerra in Irak e Afghanistan.

3) a quanto ammontano le risorse stanziate, stando agli impegni del precedente Governo, per bonificare il tratto di mare prossimo alla costa del poligono di Capo Teulada. Lo studio commissionato dal precedente ministro alla Difesa al CNR indica "costi astronomici".

E' del tutto ovvio che ad indagini da due soldi corrispondano risultati a credibilita' zero, a bonifica a costo zero corrisponde una decontanimazione zero.

Invitiamo i sindaci che hanno partecipato alla festa della morte ad attenersi al loro dovere istituzionale di garanti dell'incolumita' e della salute dei loro cittadini.

Comitato sardo Gettiamo le Basi