domenica, agosto 27, 2006

PROGETTO TAPIS ROULANT

RELAZIONE SUGLI EFFETTI AMBIENTALI
Inerente il
PROGETTO DEFINITIVO DI
“REALIZZAZIONE DI UN SISTEMA COORDINATO DI PARCHEGGI DI SCAMBIO E TRASPORTO
MACCANIZZATO NEL CENTRO STORICO

Ente Proponente il progetto
COMUNE DI CAGLIARI

Ente istruttore del procedimento
REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA
Servizio SIVEA

Responsabile del Procedimento
DOTTORESSA ROSANNA CARCANGIU

Scrivente
Antonio Gregorini –Legambiente Cagliari

Toni Corona

Cagliari 22 agosto 2006



Premessa

Lo scrivente Antonio Gregorini, nato a .... il ...., ivi residente in via ...,
il giorno 21 agosto u.s. si è recato presso gli uffici dell’Assessorato
all’Ambiente della Regione Autonoma della Sardegna dove ha preso visione
della Relazione sugli Effetti Ambientali inerente il Progetto Definitivo di
“REALIZZAZIONE DI UN SISTEMA COORDINATO DI PARCHEGGI DI SCAMBIO E TRASPORTO
MACCANIZZATO NEL CENTRO STORICO, ivi depositata dal Comune Di Cagliari, ente
proponente il progetto.
Sulla base di quanto riportato sulla relazione in oggetto produce le
seguenti note affinché chiunque abilitato a esprimere parere sul progetto e
sulla REA ne tenga debito conto e sia agevolato nella formazione di un
parere quanto più obiettivo, frutto di diverse osservazioni.

Presupposti del progetto
I presupposti sono condivisibili e rientranti nei principi generali di
sviluppo sostenibile.
Il progetto è stato redatto perché:
Pag.3 “…l’ambiente, l’attività, il tipo di veicoli, le infrastrutture, la
gestione e l’organizzazione dei servizi; agiscano in modo integrato e
sinergico al miglioramento dell’ambiente urbano…”.
Pag. 17 “…l’azione del camminare sia parte integrante della tradizione
europea;…”
Pag. 18 “…Promuovere il cammino come modo di trasporto alternativo non
poteva prescindere dal considerare come basilare l’accessibilità degli spazi
pubblici urbani aperti focalizzando l’attenzione sulle categorie più deboli
(bambini, anziani, disabili,…) … l’introduzione di sistemi meccanizzati di
trasporto…concepiti per rendere ogni spazio fruibile.”
Pag. 19 “…le analisi economiche di progetto hanno opportunamente individuato
le esigenze di personale e quelle manutentive necessarie per l’ottimale
esercizio dell’opera…”
Non si capisce però come “l’azione del camminare” possa essere ritenuta
coerente con la realizzazione del progetto, dal momento che si prevede
l’inserimento di impianti meccanizzati proprio per evitare il camminare. Ad
un attenta lettura si scoprirà che è lo stesso progetto a stabilire
l’impossibilità per le categorie più deboli e disabili di poter liberamente
usufruire degli impianti di risalita meccanizzata.
Allo scrivente appare incomprensibile come si possa prevedere un complesso
sistema impiantistico di risalita, in salite di non forte pendenza
(dislivello 25 mt e pendenze del 10 – 15 %) per evitare l’azione del
camminare.
Dalle analisi economiche si evince che il ristorante sul Rivellino viene
progettato anche e soprattutto per dare giustificazione economica
all’intervento. Non si dice che negli immediati dintorni esistono già dei
locali analoghi avviati.
Si riporta come quota dei maggiori introiti quelli inerenti la tariffazione
dei parcheggi. Non si menziona però una realtà incontestabile: i parcheggi
in struttura realizzati dall’altra parte di Castello sono deficitari e
spesso semi vuoti; non risulta che gli abitanti di Castello ne abbiano
usufruito come previsto; non si dice che anche gli attuali parcheggi
esistenti nel Cammino Nuovo e in via Santa Margherita sono inutilizzati per
gran parte del giorno e della notte.
La logica economica sottostante il progetto si percepisce chiaramente priva
di buone argomentazioni di base. Il rischio è lo spreco di denaro pubblico
per la realizzazione di opere impattanti e inutili.

Strumenti di tutela locale e norme di pianificazione del territorio.
Il Piano Paesaggistico Regionale rappresenta “sempre un punto di riferimento
per l’analisi degli impatti degli interventi antropici nel contesto
ambientale e paesaggistico e per lo sviluppo sostenibile”, ci si domanda se
un intervento di questa portata non debba essere ricompreso nelle more del
PPR e sottostare quindi ai principi di salvaguardia del Paesaggio Urbano
Storico, dal momento che le mura di Santa Croce rappresentano una delle
icone della Città di Cagliari.
Ammesso e non concesso che il ristorante sia esteticamente ben inserito nel
paesaggio delle mura e delle architetture antiche, non appare comunque
rispettato il principio di preminenza del recupero degli edifici esistenti
rispetto alla affermata ma non dimostrata necessità di realizzarne di nuovi.
Nonostante lo stato di relativo abbandono del quartiere e la grande quantità
di edifici da recuperare si è preferito realizzare nuove cubature sulle mura
con un profilo avulso dal contesto e dalla memoria della Città.
Le aree soggette a trasformazione sono identificate nel Piani di Assetto
Idrogeologico come Hg3 cioè “ zona con frane quiescenti con tempi di
riattivazione pluriennali…”. Lo stesso PAI identifica possibili rischi di “
danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale”
per l’area adibita a parcheggio e “ possibili problemi per l’incolumità
delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con
conseguente inagibilità degli stessi” per la zona della fossa di S.
Guglielmo.
La REA, giustamente , sottolinea a pag.40 che “potrebbe essere necessaria la
predisposizione di uno studio specifico di Compatibilità Geologica e
Geotecnica”..
La stessa REA evidenzia a pag. 42 che il “Piano di sistemazione degli spazi
verdi circostanti il Castello, cfr. del. 201 del 17/12/97 non prevedeva il
parcheggio, né i tapis roulant e scale mobili ne tanto meno il ristorante
sul Rivellino Piemontese, era pertanto molto più rispettoso del paesaggio.

Descrizione del progetto
Nel capitolo così intitolato, l’Ing. Frongia, redattore della REA, evidenzia
giustamente che la costruzione delle opere sarà accompagnata da lavori di
“risanamento delle antiche mura”. Descrive questi lavori come “cuci e
scuci”, inserimento o sostituzione di conci e la ripresa con malta. Non è
questo pertanto un vero consolidamento delle mura né un miglioramento della
coerenza di queste con l’ammasso roccioso retrostante. Allo scrivente questa
appare come una carenza piuttosto grave.
Negli Aspetti Economici e Gestionali viene evidenziato un deficit di
gestione nonostante la sovrabbondante stima dei ricavi ed escludendo
sopravvenienze negative e guasti straordinari.
L’Esame delle soluzioni alternative giunge frettolosamente alla conclusione
che il progetto è inserito in un quadro strategico di vecchia data e
trascura ipotesi ben più plausibili d’intervento quali, per esempio, quelle
in precedenza prospettate nel Piano di sistemazione del 1997.

Analisi dei possibili effetti ambientali dell’opera
A pag. 111 della REA si afferma:
“ Non si può disconoscere come dal processo di meccanizzazione dei percorsi
auspicato dal progetto, proprio perché inserito in un contesto di alto
valore culturale e storico, possa scaturire, in assenza di un’opportuna
ricerca di equilibrio fra conservazione e trasformazione, il rischio di
un’alterazione dei connotati paesaggistici con deterioramento dei caratteri
di riconoscibilità dei luoghi.”
Evidenzia il relatore che “anche le scale mobili previste tra la Piazzetta
Dettori e la Via Manno e in Via Santa Margherita si identificano per la
dominanza fisica degli impianti rispetto agli spazi disponibili.” Propone
egli stesso delle indicazioni per ridurre gli impatti paesaggistici ma anche
quelli sulla stabilità dei versanti. Chiede che venga prevista la crescita
di rampicanti sulle pensiline metalliche e vetrate di protezione degli
impianti…sic.
Appare più volte rimarcata, dalla stessa REA, l’incongruenza dell’opera con
le preesistenze paesaggistiche.
E’ altresì rimarcata la possibilità che i lavori di scavo per la
realizzazione del parcheggio e per l’inserimento delle scale mobili sulla
fossa di San Guglielmo possano provocare danni agli edifici civili e alle
infrastrutture esistenti e si evidenzia la necessità di “affinare le
conoscenze sullo stato delle condizioni geologiche – idrogeologiche -
geotecniche dell’area”.
Viste le premesse, ci si domanda se il danneggiamento dell’esistente è un
rischio rapportabile all’utilità delle scale mobili?
Per quanto riguarda i 25000 mc di terra provenienti dallo scavo ancora non
si è trovata una destinazione. Anche in questo caso sarebbe d’obbligo
affinare le conoscenze.
Un capitolo è dedicato infine alle strategie per l’acquisizione del
consenso. In esso è dato per scontato che l’introduzione delle innovazioni
va perseguita attraverso una politica di partecipazione e condivisione del
progetto. Allo scrivente non risulta che sul progetto ci sia mai stata una
forte adesione della cittadinanza, anzi risulta che intere parti di esso non
siano comprese e in parte vengano rigettate. Il numero di firme raccolte da
un comitato di quartiere di Castello ne è la dimostrazione. Ne consegue che
la prosecuzione dell’iter di realizzazione, in assenza di modifiche
sostanziali, condivise dagli abitanti e dal resto dei cittadini potrebbe
essere motivo di conflitto.
Tutto ciò premesso, in conclusione, con la presente si chiede alle
istituzioni competenti per il rilascio del parere in questione di:
• Decidere perché l’opera sia sottoposta a Studio di compatibilità
ambientale.
• Decidere perché sia richiesta la rinuncia a realizzare tutto il
sistema di scale mobili e tapis roulant in vista nel Cammino Nuovo,
compresi anche quelli situati nel quartiere Marina.
• Decidere perché sia approfondita e verificata la necessità di
realizzare un ristorante sul Rivellino Piemontese, che ha un’architettura
avulsa dal contesto paesaggistico.
• Decidere che venga effettuata una preliminare verifica della
possibilità di utilizzare, all’uopo, edifici preesistenti da restaurare.
• Decidere perché sia verificata la reale rispondenza del quadro
economico di gestione riportato in progetto.
• Decidere perché sia richiesto un approfondimento delle conoscenze
geologiche – geotecniche - idrogeologiche ad evitare qualsiasi possibilità
di danneggiamento di edifici e infrastrutture pubbliche e private e se del
caso decidere perchè venga richiesta la stipula di una polizza assicurativa
a garanzia della proprietà privata.
• Decidere perché venga verificata la reale condivisione del progetto
da parte dei cittadini residenti e operanti nel circondario, nonché, data
l’importanza culturale del sito, anche dei cittadini cagliaritani nel
complesso e di chiunque abbia interesse.
Firmato
Antonello Gregorini
LEGAMBIENTE CAGLIARI

giovedì, agosto 10, 2006

Miniere. Diamoci una scossa, signor Presidente

Diamoci una scossa! E' tempo di riflessioni e di risposte alle tante domande
che ci poniamo in questo periodo su cosa siano per noi le miniere e su come
vogliamo che sia la nostra vita qui.

La memoria della miniera muore (tra una decina d'anni ci saranno ben pochi
minatori!) e si stanno investendo milioni di euro pubblici per valorizzare
questa memoria, ma, sostanzialmente, per distruggerla ristrutturando edifici
minerari che perdono qualunque connotazione di ciò che erano e non si sa
bene cosa saranno. La vecchia scuola elementare di Monteponi (il nostro
"modesto ma strategico laboratorio/museo"?!) è stata rimessa "a nuovo": non
è più un massiccio edificio scolastico degli anni '40/'50, ha un portone non
più in legno ma una vetrata in una struttura di metallo, una scala enorme
all'esterno per la sicurezza, qualche mosaico in meno. Non è e non sarà mai
ciò che volevamo che fosse: un luogo per noi e per le future generazioni,
per i bambini di viva memoria, di scoperta e di passaggio per entrare nella
buia miniera.
I ruderi minerari stanno crollando e le discariche di sterile ci invadono
con tutto il loro potere distruttivo di veleni accatastati in secoli di
lavoro. Con un atteggiamento un po' romantico, un po' retorico/decadente a
noi piace tanto questa nostra selvaggia natura così rovinata, squarciata,
inquinata, la guardiamo con occhi incantati e ci sembra di vederli là questi
minatori idealizzati, eroi del lavoro, della fatica, della lotta. Ma
dobbiamo superare questa mentalità.
C'è da fare in fretta se si vuole recuperare qualcosa e c'è da pensare ad un
possibile loro utilizzo (in senso turistico?) se si vuole mangiare anche
domani, quando si uscirà dalla misura uno della Comunità Europea, perché gli
stati dell'est sono più poveri di noi e quando le pensioni di silicosi degli
ultimi minatori non ci saranno più.
E allora che si fa. Si fa il bando internazionale di gara per la "cessione,
riqualificazione e trasformazione di ambiti di particolare interesse
paesaggistico del Parco Geominerario della Sardegna (Masua, Monte Agruxau,
Ingurtosu, Pitzinurri e Naracauli)
Le domande sono state quattro: l'immobiliare Lombarda s.p.a., la Pirelli, la
Hines Italia (fondo di investimento immobiliare americano) e la società
temporanea di imprese Sviluppo Sardegna.
Tutto sembra organizzato nel miglior modo: non si sta vendendo al miglior
offerente, rassicura il Presidente Soru, ma a chi presenta il miglior
progetto dal punto di vista paesaggistico-ambientale, dal punto di vista
della qualità architettonica, dell'integrazione col resto del territorio,
che vuol dire capacità di collaborare con gli artigiani, con gli
agricoltori, col sistema integrato dell'ospitalità diffusa. Tutto sarà
sancito da un accordo di programma che sarà firmato dalla Giunta regionale,
dalla Provincia, dai Comuni e dall'Igea.
Qui tutti (quasi) sembrano convinti che sia la nostra grande opportunità.
Poche le voci critiche, la solita Rete di Lilliput (netto dissenso e
fortissima preoccupazione rispetto alla decisione della Regione Sarda di
vendere alcune aree minerarie per realizzarvi "strutture alberghiere
ricettive con annessi centri benessere, strutture sportive e per il golf"),
il Gruppo d'Intervento Giuridico e gli Amici della Terra (che hanno
presentato un'istanza di radicale modifica del bando, esprimendo contrarietà
alla privatizzazione di aree di così grande rilievo storico-culturale ed
ambientale e chiedendo una politica dei "piccoli passi" con il risanamento
di un sito minerario alla volta, la programmazione della sua gestione, la
sua apertura alla fruizione turistica mediante il coinvolgimento di soggetti
imprenditoriali locali) la CISL e la destra che strumentalizza l'argomento
per attaccare la giunta Soru.
Insieme a Teresa Piras e all'Associazione Centro sperimentazione
autosviluppo che ha messo su in questi anni una splendida esperienza di
turismo fatto di accoglienza in famiglia chiamata "Domus amigas" si voleva
creare un momento di approfondimento su queste tematiche.
La storia delle miniere ci dà chiaro il limite della modernità, di un
modello di sviluppo (di un modello di società) che incurante degli uomini e
dell'ambiente, della natura, della terra, prende, prende, prende senza
limiti. Le miniere sono chiuse, ma la mentalità è uguale. E al padrone
francese o belga sostituiremo quello magari arabo o lombardo e invece di
mamma-miniera avremo mamma-turismo. Nuovi padroni assoluti che daranno il
nome delle proprie mogli non più a gallerie o laverie, ma ad alberghi e
campi da golf. E noi sempre lì a "vendere" non più il minerale, ma il mare,
il faraglione, la galleria, il ricordo.
Possibile che non riusciamo a fare a meno di un ricco signore che viene
dall'esterno e di un modello di sviluppo (o di distruzione) che accentra,
monopolizza, ci toglie il controllo, il potere, ci trasforma in pedine che
con molta facilità possono anche non servire più. E' possibile che lo
sviluppo turistico sia necessariamente fatto di alberghi (anche) centri
benessere e campi da golf!! Non si tratta solo di soldi, ma di mentalità,
di cultura, di stile di vita. Possibile che la storia delle miniere non ci
abbia insegnato nulla!!
"Queste terre violate raccontano storie finite, sono musei per eccellenza,
raccontano epoche compiute ma vicine a noi, raccontano soprattutto la
modernità: società internazionali che investono, usano territori, danno
lavoro, esauriscono sottosuoli, seguono le leggi del mercato, abbandonano
siti, lasciano sul lastrico uomini con abitudini secolari, spingono gente a
chiedere che le miniere siano aperte in eterno, siano rivalutate, riusate.
Usare le storie di vita per capire questo mondo è fondamentale, soprattutto
per un antropologo che cerca di ascoltare le voci di coloro che lo hanno
vissuto". (tratto da "Tra miniere e campagne: i paesaggi, visioni del
ricordo" di Pietro Clemente)

"Ne ho conosciuta di gente di miniera, tante cose mi ricordo, ma,
invecchiando, una cosa mi è successa, che le cose brutte, quelle brutte
brutte, me le sono dimenticate, non proprio dimenticate, è come che . E'
come che siano capitate a un'altra, e penso: scedà, tutto quello che ha
passato quella donna! Ma poi me ne rido perché mi ricordo che sono io. Ne
conosco io di storie di miniera . Vecchia sono e ho visto l'erba crescere
sopra i pozzi, i villaggi abbandonati .. Vecchia sono, e mi pare di essere
l'unica
a ricordare quando c'era vita qua, c'era vita nei paesi nostri. Ne ho girato
di posti . Cernitrice, cameriera, cuoca, locandiera sono stata. Perché il
marito mio, dove lo pagavano meglio andava, il lavoro non lo temeva, non
voleva paga di manovale, lui ..
Quando uscivano da miniera, tutti uguali parevano i minatori, soldati
stanchi, tornati da una guerra, con quelle facce sporche, ma, sotto quella
polvere scura, ognuno una storia aveva ." (Tratto da "Scavi, storia di
miniere" di Mariangela Sedda)
Povera gente venuta da ogni parte, dignitosa, battagliera, che riempiva le
gallerie, le piazze e le bettole. La storia delle miniere non è stata
un'epopea,
ma una storia di uomini e di donne dipendenti, subordinati, malati nei
polmoni e nelle ossa. Una generazione che ha visto nella miniera, nel
dopoguerra, il riscatto dalla fame, dalla povertà, dall'ignoranza che ha
voluto che i propri figli studiassero, non parlassero il sardo, si
preparassero a fare altro. Ma altro cosa? Noi non abbiamo la vocazione di
essere gli imprenditori di noi stessi, si dice e le poche iniziative sono
fallite fra scontri e invidie.
Forse nei millenni abbiamo maturato una concezione dell'ambiente, del
territorio profondamente errata che considera la terra estranea a noi
stessi, da forare, svuotare e invadere di discariche, residui tossici,
inquinanti. Abbiamo considerato l'ambiente come estraneo da noi, in una
visione solo utilitaristica e predatoria delle sue risorse. Ma noi stessi
siamo stati considerati da spremere e buttare via. E così ci siamo
deresponsabilizzati.
Ma non ci ha insegnato niente questa esperienza?!
Dobbiamo ricadere in mano di multinazionali!! Non c'è proprio alternativa!
Possibile che insieme ad una intera comunità non si riesca a trovare un
senso, una forza, una dimensione di profondo cambiamento?! Ci deve pur
essere una strada diversa che ci dia dignità e coraggio, che ci metta di
fronte alle nostre responsabilità, ma anche al nostro potere, che ci faccia
sentire minatori, cernitrici, agricoltori, pastori, artigiani, maestri di
nostre idee, di nostri progetti, di nostre iniziative culturali,
imprenditoriali aperti al mondo, alla terra, al cosmo.
Ho continuato imperterrita in questi anni a parlare di miniere con i bambini
e le bambine: interviste, visite guidate, rappresentazioni teatrali,
filmati, murales per conoscere, capire, non dimenticare.
Non per i turisti, ma per noi per il nostro essere e sentirci figli di
un'esperienza
millenaria di minatori. Nelle magliette realizzate per inaugurare il murales
c'era scritto "Nel cuore un nonno minatore e una nonna cernitrice" Ma chi li
sente nel cuore, e fino a quando?!

Possiamo pensare prima di tutto a riscattare la nostra storia. Perché non
puntiamo su una comunità (su uomini e donne che ricordino "che gli uomini
sono della terra e non è invece la terra degli uomini" come scrive
l'antropologo
Pietro Clemente) che sappia maturare e crescere nella consapevolezza della
storia dei propri antenati (le miniere quali sepolcri di famiglia); sappia
essere protagonista di tante e piccole iniziative che insieme facciano
lievitare un grande progetto, una grande prospettiva umana e ambientale che
riesca a costruire risposte ai bisogni primari essenziali di tutti.

Mi sento cittadino del mondo in questa ricerca, mi sento vicina a mio padre
minatore come al contadino eritreo in questa ricerca di essere "padroni",
responsabili di noi stessi, della nostra esistenza, del nostro futuro.

Fare i camerieri negli alberghi di Masua o di Rimini non fa molta
differenza, è solo maggiore la distanza da casa!! La differenza la fa se
l'albergo
di Masua (che magari è stato costruito e viene gestito dalla ditta
Lombarda - meglio certo se è sarda) fa parte di un progetto della mia terra,
integrato con i campi di agricoltura locale biologica, il campeggio di
Fontanamare - Gonnesa, la cooperativa che conduce nei percorsi di miniera
(da Acquaresi a Sa scalitta!!), la scuola di ., la musica, la cultura, il
museo, il belvedere e le tante persone che vivono e lavorano, i tanti
"imprenditori" locali che gestiscono, in un progetto integrato, il tutto.
Non vendiamo o diamo in concessione un pezzo di territorio! Anche con le
migliori regole, vincoli, accordi di programma con gli enti territoriali, è
comunque un modo per delegare, per recedere dalle nostre responsabilità, per
aspettare, con troppe aspettative e prospettive, chi dall'esterno ha i
soldi, ma soprattutto ha il potere di comandare e guidare il nostro futuro.
Stimoliamo il nostro orgoglio, le nostre forze ed energie migliori per
costruirci sentieri di autosviluppo duraturi, sostenibili, "nostri". Non
creiamo grandi aspettative da ciò che non sollecitiamo o creiamo da noi
stessi.
E allora cerchiamo le risorse finanziarie, culturali, creative; facciamo
arrivare i migliori progettisti per darci una mano, ma partecipiamo
attivamente e creiamo questo processo noi, con piccoli passi, guidando e
sostenendo chi può da noi investire e mettersi in gioco. E che il Parco
Geominerario storico ambientale sia capace di guidare questo processo, non
facendosi imprenditore, ma ideatore, coordinatore, motore.

Il nostro territorio è per intero un museo, ma nessuno fa da guida, nessuno
ce lo racconta o lo racconta a chi lo vive come estraneo, muto. Non è una
guida fisica ciò che serve ma una voce che entra dentro di noi e ci svela i
segreti di chi ha vissuto, lavorato, amato, riso, pianto in quelle case, in
quei sentieri, in quelle gallerie.
Nessun altro può raccontare questa storia se no noi, figli di miniera
nonostante tutto (nonostante il distacco, il rifiuto, la cultura
consumistica senza tempo e senza spazio). E possiamo raccontare questa
storia solo se sentiamo "nostra" questa terra e l'amiamo e la valorizziamo,
e la bonifichiamo e la percorriamo con tanti nostri "ospiti", turisti
educati e responsabili a cui offrire il racconto di vita insieme ad un
letto e i nostri cibi e sapori migliori e passeggiate e profumi e
affascinanti paesaggi, filtrati con i nostri occhi e con il nostro cuore.
Nessun altro, anche con tanti soldi, può costruire il nostro domani. " Noi
siamo importanti, siamo grandi, se la smettiamo di pensare in piccolo,
affidando ad altri responsabilità che invece ora ci dobbiamo assumere come
popolo" (Presidente Soru)

"La mia Sardegna è quella degli spazi infiniti, privi di tracce di
antropizzazione, ricca di risorse altrove introvabili, e per questo
preziose: il buio, il silenzio" (Presidente Soru - Corriere della Sera
23/11/2003)
E' una frase bellissima. Io ci aggiungerei:
" La mia Sardegna è anche quella delle tracce di una antropizzazione di
rapina, di sfruttamento, di dipendenza, tracce che sono oggi silenziose e
buie. Che devono restare per raccontare a noi e al mondo storie di uomini e
di donne che hanno lavorato e sofferto"

Marina Muscas

Carissimo presidente,
Sono Teresa Piras, presidente dell'Associazione Centro Sperimentazione
Autosviluppo, che ha promosso, tra l'altro, il progetto di ospitalità in
famiglia "Domus Amigas".
In merito al Bando Internazionale, vorrei esprimere riflessioni e
considerazioni che nascono dalle scelte fatte e portate avanti in questi
anni nei territori ex-minerari del Sulcis Iglesiente.
Alcune sue affermazioni sono perfettamente in sintonia con i nostri progetti
di autosviluppo:
· 08/03 2004 - "La Terra non si vende. E' diverso se a gestire la
nostra Terra, promuoverla, accompagnarla verso il futuro siamo noi con la
nostra testa, con la nostra cultura, con la volontà di continuare a viverci,
a crescere i nostri figli, piuttosto che qualcuno che arriva qui, magari con
l'orizzonte temporale d' un fondo di investimento."
· 23/09/2003 - "Non è dignitoso vendere la propria Terra, non è
dignitoso aspettare sempre che qualcuno ci dica che cosa dobbiamo fare"
· 27/03/2004 - "Noi siamo importanti, siamo grandi.dobbiamo smettere
di credere alle bugie di chi, non sardo, pensa di insegnarci come rilanciare
e sviluppare la nostra isola.Se un domani dovessimo fare un monumento nella
hall dell'Università del Turismo in Sardegna, quel monumento non dovrà
essere quello di un principe venuto da fuori che ha scoperto le nostre
coste, ma dovrà essere Peppineddu Palimodde che ha visto i lecci, ha visto i
sugheri, ha visto i cinghiali, ha visto quello che sapevano fare a casa sua,
che ha capito che l'ambiente è il valore delle cose che sappiamo fare, che
può essere preziosissimo e fonte di sviluppo per un'intera comunità".
Il Bando Internazionale non ci sembra figlio di dichiarazioni così
inequivocabili. La coerenza l'abbiamo ritrovata invece nella Progettazione
Integrata come modello esemplare di democrazia partecipata e scuola di
autosviluppo per i nostri territori.
Occorre tempo per passare dalla millenaria cultura della dipendenza
all'autonomia,
per avviare processi che inducano a contare sulle proprie forze e sulle
risorse locali, che si danno tanto per scontate da non apparire bene
prezioso. Continuare su questa strada, incoraggiando e accompagnando la
nascita dell'imprenditoria locale, è uno dei nodi cruciali del passaggio da
un passato che ha visto noi sardi dipendenti e subordinati ad un futuro in
cui possiamo responsabilmente assumere la gestione di noi stessi e della
nostra Terra (non in un'ottica di chiusura e orgoglio nazionalistico ma in
quella della tutela e condivisione della nostra specificità e ricchezza
culturale).
Occorre cambiare la mentalità di tutti noi superando i miti della modernità
basati sul saccheggio della terra e sulla concentrazione delle risorse nelle
mani di pochi, miti di cui i nostri territori ex-minerari vivono oggi le
drammatiche conseguenze.
Le strade da percorrere sono altre: dal risanamento ambientale alla tutela
dei beni primari (suolo, acqua e aria pura), dal benessere di pochi alla
comunità in cui si possa star bene tutti (intendendo il benessere non in
termini monetari ma di beni primari condivisi).
E' questo il sogno che stiamo cercando di realizzare con il progetto di
autosviluppo: far rivivere i nostri territori, partendo da noi, dal potere e
dalla responsabilità di ciascuno per cercare di costruire comunità il più
possibile autosufficienti e solidali, aperte all'incontro e alla
condivisione.
In questi anni abbiamo cercato di sperimentare forme di economia alternativa
(sostegno agli agricoltori biologici, agli artigiani sostenibili, creazione
di una rete di ospitalità in famiglia, Domus Amigas) basate su modi di
vivere non consumistici, più sobri ed ecologici, ispirati alla semplicità,
alla bellezza, al dono, alla convivialità, ad un rapporto aperto e solidale
con tutti.
Questo progetto ci ha permesso di conoscere, sostenere e collaborare con
tante piccole realtà produttive del territorio e di riscoprire la gioia di
progettare insieme la nostra vita e quella delle nostre comunità.
In questa prospettiva ci stanno a cuore scelte politiche non estranee ai
nostri contesti culturali, che permettano di preservarci dall'omologazione e
di conservare luoghi, storie, percorsi della memoria, ricreando condizioni
idonee alla rinascita di tante piccole realtà locali che pesino il meno
possibile sull'ambiente.
Vorremmo vedere riconsegnati gli antichi edifici della miniera ai nostri
giovani perché possano svolgere attività culturali e produttive sostenibili
( artigianato, centri per le energie alternative, danza, teatro, luoghi di
accoglienza per gruppi di giovani.).
Auspichiamo pertanto non una politica di vendita-svendita di alcune delle
più belle aree minerarie ma una politica di piccoli passi verso il
risanamento ambientale, con la bonifica di un sito minerario alla volta, la
programmazione pubblica della sua gestione, il coinvolgimento di soggetti
imprenditoriali locali.
Liberiamo dalle catene dell'immobilismo il Parco Geominerario Storico
Ambientale che ha acceso tante speranze per la conservazione e tutela di un
patrimonio storico, culturale e ambientale unico al mondo.

Iglesias 1 agosto 2006-08-01

La presidente dell'associazione C:S.A.

Teresa Piras
Avete letto bene. Duecentosessanta mila metri cubi di cemento si
abbatteranno sulle miniere abbandonate del Sulcis. Questo il dato che,
aldilà delle polemiche strumentali di un'improbabile destra ecologista,
riassume il senso dell'operazione voluta dal governo Soru.
Come mai chi si era distinto per una dichiarata sensibilità per tradizioni,
identità, ambiente - che gli faceva dire: «La Sardegna, cinquant'anni fa,
senza alberghi, valeva più di oggi» -, pare rimangiarsi tutto con un'operazione
che sa tanto di grandi numeri e poco di turismo responsabile, affidata com'è
ai Tronchetti Provera, ai Ligresti?
Soru sembra rispondere così: «Con la legge "salvacoste" e le norme del Piano
Paesaggistico, eviteremo l'edificazione selvaggia sulla costa; che male c'è
se in zone che ne sono prive favoriamo la costruzione di alberghi di lusso e
campi da golf? ».
Che male ci sia cerchiamo di spiegarlo.
Un campo da golf beve l'acqua di una cittadina di diecimila anime, e due
tonnellate l'anno di diserbanti; se è vicino al mare provoca salinizzazione
delle falde quindi moria di piante e animali; è spesso seguito da
speculazioni immobiliari, senza cui si rivela economicamente deficitario.
La costruzione ex novo, visto lo stato dei ruderi, di enormi fabbricati,
poi, introdurrebbe, e in fase di edificazione (disboscamento, traffico di
operai e mezzi pesanti, estrazione, movimentazione, lavorazione inerti e
cementi, costruzione vie di accesso, sistemi idrici, fognari, palificazioni
elettricità e telefonia, inquinamento suolo, aria, acqua) e in fase di
fruizione (carico antropico, scarichi, traffico veicoli, inquinamento suolo,
aria, acqua), danni irreparabili all'ambiente.
Di quale ambiente parliamo? Spiega il bando di vendita: "Sono le
architetture di un'epoca passata, elegantissime, sui fianchi di alte colline
affacciate verso il mare, a volte a ridosso delle spiagge, sovrastate dalle
creste di una catena montuosa frastagliata, fra boschi di leccio, macchia
mediterranea, foreste protette. Sorgono in una zona costiera, in gran parte
intatta e scampata alla edificazione che ha interessato molti tratti della
costa, e carica di suggestione, di bellezza e fascino."
Luoghi incantevoli e silenziosi, icone del lavoro e dell'identità dei sardi,
dove l'opera dell'uomo, edifici minerari di un secolo fa, il tempo ha
sposato con rara armonia agli alberi, alle pietre, al mare sempre furente.
Siti di Importanza Comunitaria (SIC), dove incontrare il cervo sardo e molte
specie protette.
Masua, col suo Pan di Zucchero. Naracauli, imponente come una reggia antica.
Piscinas, ecosistema fragilissimo, sistema dunale unico in Europa. Tre
esempi tra tanti.
Impossibile descrivere: visitateli. Ma fate presto.
E' il Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna, Patrimonio dell'Umanità
per l'Unesco, che nella Carta di Cagliari fissava le linee guida per la sua
tutela. Disattese.
Ad aprile, la Regione ha presentato un "Bando per la cessione" di siti all'interno
del Parco - Ingurtosu, Masua, Monte Agruxau, Naracauli, Pitzinurri - per
farne "strutture alberghiere ricettive ... e per il golf".
In vendita. Previa bonifica da residui di miniera a spese del contribuente.
Con costi stimati elevatissimi, ammette la Regione. Concessione, forse, non
vendita, minimizza.
Bisogna vendere perché c'è da bonificare, aggiunge poi.
Il bando dice vendita. In ogni caso, i danni non sarebbero molto diversi. E
gli ecologisti: «Per bonificare ... servono migliaia di miliardi di vecchie
lire» (Tiana, Legambiente); «Un impegno economico ... così gravoso da far
supporre senza particolari difficoltà rischi di ipotesi di danno erariale»
(Deliperi, Amici della Terra). Ovvero, il rapporto costi benefici - il
prezzo "a base d'asta" è molto basso - sarebbe così sbilanciato da far
ipotizzare il danno erariale.
Perché si vende, allora?
Posti di lavoro, si dice. Una colata di 260 mila metri cubi di cemento per
pochi posti di lavoro - operai, camerieri - subordinato, temporaneo,
stagionale?
Ovvio che le popolazioni - si chiama ricatto occupazionale - potrebbero
essere favorevoli, ovvio lo siano i sindaci, ma dal presidente Soru ci
aspettavamo altro.
Dalla chimica alle servitù militari passando per il turismo, la Sardegna è
un crogiuolo di scelte "condivise" rivelatesi devastanti.
Allora?
Partendo da valutazioni di carattere generale - quel quinto di umanità che
divora i quattro quinti delle risorse, la corsa all'accaparramento, le
guerre conseguenti, i limiti dello "sviluppismo", il tracollo socio
ambientale del pianeta, la necessità di decrescita; dalla consapevolezza che
molto disagio sociale nasce dai richiami della cultura del consumo, che
spinge allo spreco e al conseguente impoverimento, e solo in parte dalla
relativa assenza di benessere; occorre percorrere la via dell'equità, della
cura, non della devastazione sociale od ambientale.
Come?
Pensiamo che maggiore qualità della vita per le comunità verrebbe da un
progetto che persegua il ponderato restauro di pochi stabili - poco per
volta, qual è la fretta? - da far gestire a imprese di giovani formati e
motivati in corsi di studio ad hoc, nel settore artistico (teatro, musica,
danza, poesia, tra dune e rovine), agrobiologico, energie alternative,
archeologia industriale, turismo geologico, paleontologico, escursionismo
sportivo, naturalistico, trattamenti medici, riabilitativi, campi di studio
e lavoro di ONG, gite scolastiche didattiche, mostre, albergo diffuso,
ristorazione con prodotti locali, biologici, equo solidali.
Promuovendo la magia dei luoghi, intercettando i flussi in crescita di
viaggiatori consapevoli, in fuga dalla pesante impronta ecologica di
villaggi vacanze e hotel di lusso.
Con un'opera di coinvolgimento delle popolazioni, impiegate gratuitamente
(quanti pensionati darebbero il loro apporto?) o secondo i principi della
banca del tempo (maturando soggiorni nelle strutture?) o remunerati (quanti
disoccupati troverebbero reddito?), che le portasse a far proprio il
processo di bonifica socioculturale ed ambientale delle aree.
E i soldi?
Si sta creando un comitato, crede in queste idee, le vuole finanziare con l'azionariato
popolare.
Ha bisogno di stimoli e proposte da chi, sul tema, ha maturato saperi ed
esperienze: scriveteci.
Due gli obbiettivi immediati: portare l'amministrazione regionale a cambiare
rotta, e dare ali al progetto.
Domani potremmo svegliarci con 260 mila metri cubi di cemento in più e un po'
di dignità in meno. Oppure creare un grande e bellissimo esperimento di
economia alternativa. Noi ci crediamo.

Sandro Martis
Lettere dell'Istituto n. 15
Marcinelle: 8. agosto 1956
8. agosto 2006
I Fatti.
A causa di un errore umano, l'otto agosto 1956 il Belgio venne
scosso da una tragedia senza precedenti, un incendio scoppiato in
uno dei pozzi della miniera di carbon fossile del Bois du Cazier,
causò la morte di 262 persone di dodici diverse nazionalità,
soprattutto italiane, 136 vittime, poi belghe, 95; fu una tragedia
agghiacciante, i minatori rimasero senza via di scampo, soffocati
dalle esalazioni di gas. Le operazioni di salvataggio furono
disperate fino al 23 agosto quando uno dei soccorritori pronunciò in
italiano: " Tutti cadaveri!".
In quegli anni partirono per il Belgio 140.000 lavoratori, 18.000
donne e 29.000 bambini.
Dal 1946 al 1956 il numero dei lavoratori, provenienti dall'Italia,
morti nelle miniere belghe e in altri incedenti sul lavoro è di
oltre seicento.
Nel 50° vi sono state iniziative e dichiarazioni da parte di
partiti e rappresentanti delle Istituzioni.
Tutto è stato proiettato in una dimensione asettica del disastro, di
qui la commemorazione. C'è chi ha voluto leggere tali morti come
momento della costruzione dell'Unione Europa, contributo del lavoro
italiano alla comune casa europea, come il Presidente del Consiglio
Romano Prodi.
Il Presidente della Camera da parte sua ha fermato invece il grave
dato che i morti sul lavoro continuano a mietere vittime, se la
stampa proprio dell'8. agosto. 2006 riportava accanto alla
Commemorazione di Marcinelle:
* Incidente anche alla Eskigel di Terni: 19 operai all'ospedale,
intossicati dall'ammoniaca
** Napoli, apprendista muratore di 16 anni muore in un cantiere.
Che vi sia un governo di centro sinistra non giustifica
affatto la vergognosa rimozione.
I crimini, i misfatti della borghesia italiana devono sempre essere
ben stigmatizzati, proprio perché tali crimini indicano bene cosa
sia " il mercato", " la centralità dell'impresa", la vera natura
della borghesia, della società capitalistica e la logica di morte e
disperazione del profitto.
Le cose stanno ben diversamente dall'asettico incidente.
I fatti indicano in maniera inappellabile un autentica: tratta degli
schiavi.

La tratta degli schiavi degli operai italiani
Alla fine della 2a guerra mondiale la civile Europa
occidentale avvia un profondo processo di riconversione industriale,
un nuovo ciclo di riproduzione allargata, basata sul modello
statunitense del fordismo. Questo richiede una massa di nuovi
lavoratori senza specializzazione, manovalanza. dalla ricostruzione
e sviluppo in campo edile, al potenziamento industriale ed
estrattivo.
Nella divisione internazionale del lavoro, scaturita dalla 2a guerra
mondiale, le zone povere dell'Italia sono destinate, deputate, a
fornire tramite l'emigrazione questa massa di forza-lavoro per il
nuovo ciclo economico dell'Europa occidentale e del nord d'Italia.
Contadini poveri, braccianti, artigiani piccoli commercianti,
venditori ambulanti ed il semiproletariato più in generale furono le
classi investite dal forte flusso migratorio. Nei paesi rimasero
solo donne vecchi e bambini: un autentico esodo biblico, uno
sradicamento politico, sociale, culturale violento.
Per poter emigrare in Belgio, Francia, Germania, Inghilterra,
Svizzera e nel nord d'Italia occorrevano soldi per poter pagare il "
viaggio della speranza". Venivano così venduti per poche lire la
casa, il fazzoletto di terra, arredi e strumenti di lavoro, tutto
per raggranellare i soldi per il " viaggio della speranza" e per il
restante ci si indebitava con prestiti usurai, fatti dagli stessi
agrari che compravano, pagati con il salario che si sarebbe
guadagnato con il lavoro in Francia, Germania, Svizzera,
Inghilterra, Belgio, nord Italia.
Costituì un'autentica rapina, una selvaggia accumulazione forzata,
un'estensione del latifondo agrario, della rendita parassitaria; un
violento processo di concentrazione monopolistica in cui la mafia,
la camorra, la ndrangheta ebbero un ruolo importante e costituì per
loro un autentica miniera di affari. erano essi che costituivano la
rete organizzativa di questi " viaggi della speranza" ed erano essi
la vera agenzia di lavoro.
Un periodo di inaudita violenza, di sanguinaria arroganza a cui
queste masse di lavoratori furono sottoposte per il nuovo ordine
internazionale del capitalismo monopolistico, per la nuova divisione
internazionale del lavoro del campo imperialista, uscito dalla 2a
guerra mondiale.
E… mafia, camorra, ndrangheta costituirono i referenti per le varie
Direzioni del Personale delle grandi fabbriche del nord d'Italia,
masse di lavoro in affitto, che dovevano parte del salario al
caporalato mafioso trapiantatosi al nord con i suoi referenti nelle
Direzione del Personale delle fabbriche e che costituiva massa di
manovra, controllata da forze reazionarie, per sindacati gialli
aziendali, anch'essi ben accreditati presso le Direzioni delle
fabbriche, nella lotta della borghesia contro il movimento dei
lavoratori, il movimento sindacale, il PCI e la CGIL.
Il governo centrale e periferico, le autorità centrali e periferiche
dello Stato ben sapevano di tali violenze, coprivano per garantirsi
sacche di voti di scambio, masse di manovre a comizi e codazzi
elettorali dei vari deputati e senatori e ministri e Presidenti di
turno e tutto sotto l'italica bandiera degli italici interessi,
dell'italico sviluppo.
Si costruisce qui una nuova alleanza tra mafia, camorra e
ndrangheta e borghesia monopolistica, che costituirà un pezzo
importante del blocco sociale che governerà il Paese.

Ma …. sorte ben peggiore toccherà a chi emigrerà fuori dal
Paese.
I passaporti di questi lavoratori saranno di tipo particolare,
di un particolare colore, in grado di ben distinguerli. Si disse per
distinguere la massa dei cittadini che si recavano all'estero.
Saranno i passaporti rossi.
La borghesia italiana, lo stato italiano, i governi democristiani e
suoi alleati di turno: repubblicani, liberali, socialisti e
socialdemocratici, monarchici e missini vendettero letteralmente
questi lavoratori ai padroni europei di Francia, Germania,
Inghilterra, Svizzera, Belgio, ecc.
Per ogni passaporto rosso la borghesia italiana riceveva
gratuitamente ogni anno una quota di materie prime o merci, quota
precedentemente stabilita; cosicché le varie borghesie europee oltre
al profitto, al sovrapprofitto, doveva estorcere dal lavoro di
questi italiani, questa autentica carne da cannone, un surplus che
ripagasse il costo delle materie prime e merci varie che dovevano
versare alla borghesia italiana.
Ovviamente l'Italia, lo Stato italiano, il governo democristiano
italiani, e quindi gli stessi consolati e le stesse ambasciate,
dovevano tacere sulle disumane condizioni di vita e di lavoro, le
condizioni quasi schiavili in cui venivano tenuti i lavoratori
italiani.
Un'autentica tratta degli schiavi.
Incaprettati venivano consegnati ai fratelli macellai d'Europa.
Questi lavoratori vivevano in baracche, ammassati in 5-7 e più
persone e dove la propaganda razzista contro i meridionali
costituivano la foglia ideologica per prezzi esorbitanti d'affitto,
l'esclusione da locali, servizi, per la ghettizzazione, la foglia
ideologica per esercitare, e giustificare, una repressione feroce in
violazione di tutti i diritti umani, di privacy, di diritti
personali, per aumentare il ricatto ed asservire i lavoratori
italiani ancora di più. Ed a tutto questo ben serviva la propaganda
ideologica razzista contro i lavoratori italiani ed ovviamente essa
era ben più prospera ed attiva nelle località di maggiore
concentrazione di lavoratori immigrati.
Molti moriranno di fame, di stenti, di malattie professionale e non.
Le condizioni igieniche, le condizioni alimentari erano pessime
mentre pesante era il lavoro, che richiedeva un apporto
nutrizionale, calorico e proteico, maggiore. Ma tutto doveva essere
risparmiato e di tutto si privavano i soldi dovevano inviarli al
paese alle mogli, ai figli , ai genitori, che si erano di tutto
privati per raccogliere i soldi per " il viaggio della speranza".
Bisognava pagare il prestito usuraio contratto con gli agrari che
avevano rastrellato prima tutti gli averi per pochi centesimi ed
avevano provveduto ad integrare quanto mancava con prestiti usurai:
terra, beni diversi rastrellati anche dalla Chiesa tramite loro
società immobiliari, finanziarie, terra e beni che andavano a
rafforzare il latifondo vaticano, la rendita parassitaria agraria ed
immobiliare vaticana. Non c'era famiglia da tutelare qui, non c'era
la vita da salvaguardare: c'erano i prestiti usurai da esigere e
terre e beni e sfratti e vendite fallimentari da tutelare, c'era la
vita del capitale finanziario parassitario vaticano da salvaguardare.
E … con questa rimessa degli emigrati il bilancio dello Stato
italiano andrà in pareggio negli anni 1960-65, unica volta in tutta
la storia dell'italico bilancio, pareggio che consentirà un surplus
per l'accumulazione allargata e che costituirà la base reale,
concreta, materiale del " boom economico" : " boom economico"
prodotto dalle sofferenze, le sopraffazioni, le violenze subite dai
lavoratori italiani.
Ferma e decisa sarà l'opposizione. la denuncia e la lotta
dei comunisti, primo fra tutti Giorgio Amendola, Li Causi, ma lo
stesso Reichilin e tanti altri, eccellenti meridionalisti,
opposizione segnata da morti ed attentati da parte di mafia,
camorra, ndrangheta e forze reazionarie, segnata da una scia di
sangue, violenza sopraffazione, angherie, arroganze, " cammurria",
in cui tra gli altri cadde l'Onorevole del P.C.I. Pio La Torre.
In chiusura, Bisogna dire del severo monito del Presidente della
Camera, che commentando i fatti di Marcinelle ha fatto rilevare come
tali morti continuano a segnare il Paese, non ultimi proprio gli
incidenti sul lavoro, di cui uno mortale, proprio segnalati dalla
stampa lo stesso 8. agosto. 2006 ove un operaio di appena 16 anni
moriva a Napoli e 16 operai di Terni venivano ricoverati per gravi
intossicazioni.
Monito severo e di alto profilo, se inquadrato nel momento in cui
tale affermazione è stata fatta dal Presidente della Camera, che ha
voluto caratterizzare il suo insediamento richiamandosi ai
lavoratori ed al movimento operaio italiano. Il richiamo del
Presidente della Camera avviene all'indomani dell'approvazione da
parte del Parlamento dell'Indulto, ove per la prima volta sono
inclusi i reati inerenti la sicurezza sul lavoro.
" Il disegno di legge n. 525 sull'indulto, riduce di tre anni le
pene irrogate per procedimenti penali già conclusi o ancora in corso
per reati commessi entro il 2 maggio 2006.
Nel campo del lavoro il colpo di spugna sarà pressoché totale e non
soltanto per gli illeciti attinenti alla sicurezza del lavoro, le
cui pene non sono mai molto alte, ma anche per odiosi illeciti di
carattere economico quali il doloso impossessamento di trattenute
previdenziali e fiscali operate sulla busta paga e i comportamenti
truffaldini all'ordine del giorno nella fascia del lavoro nero o
grigio. Si pensi in proposito alla diffusa prassi vigente nel mondo
delle imprese medio piccole e marginali di obbligare il lavoratore
alla restituzione di parte della retribuzione percepita o di
costringere, con il ricatto occupazionale, a dare quietanza per
importi superiori a quelli effettivamente ricevuti.
Il venir meno del timore di sanzioni penali concrete comporterà,
come è ovvio (e già se ne è fatta l'esperienza in molte controversie
in tema di omicidi "bianchi" per amianto), un irrigidimento o un
rifiuto dei responsabili nel risarcire le vittime degli illeciti o
dei loro eredi. Da questo punto di vista l'obiezione, pur
tecnicamente fondata, che un indulto fa venir meno la pena, ma non
il reato e dunque lascia aperta la strada al risarcimento del danno
dell'illecito sul piano civile, non tiene conto delle effettive
dinamiche della controversia. Infatti la sanzione penale e non
quella civile, soggetta a tempi lunghissimi, è quella che
maggiormente pone le basi per un'effettiva disponibilità del reo a
pervenire a soluzioni risarcitorie.
Ricordiamo che in occasione di precedenti provvedimenti di clemenza
si sono esclusi i reati riguardanti specificamente il cosiddetto
diritto penale del lavoro, proprio in considerazione della valenza
prevenzionistica e non solo repressiva della punibilità penale di
atti illeciti commessi in danno dei lavoratori e dunque di
particolare rilievo sociale.
In conclusione gli esempi che si potrebbero fare sono numerosi.
Oltre la violazione del d.lgs. n. 626/1994 in materia di sicurezza
del lavoro (in particolare artt. 89 e ss.), si può citare ancora il
mancato adempimento all'obbligo del giudice in caso di condotta
antisindacale (art. 650 c.p.); Somministrazione fraudolenta;
Caporalato illecito; Truffa per erogazioni pubbliche disciplinate
dall'art. 640 bis c.p.; Art. 38 dello Statuto dei lavoratori in
materia di accertamenti sanitari illeciti; Controlli illeciti della
guardiania dell'azienda; Discriminazione nelle assunzioni per
appartenenza sindacale."

ISTITUTO DI STUDI COMUNISTI
KARL MARX – FRIEDRICH ENGELS

mercoledì 9 agosto 2006