domenica, maggio 16, 2010

Le due destre e i nostri desideri

La destra italiana è divisa. Da una parte quella che rappresenta il “peggior spirito di Romagna”, buttatasi in politica per gestire direttamente affari leciti e meno leciti, rappresentante e parte di quella Italia dell’egoismo fiscale e dell’evasione legalizzata. forse persino garante dei poteri mafiosi; dall’altra la destra di chi ha capito che rischia parecchio a stare ancora troppo attaccata a questi loschi figuri. E’ una divisione che nel PDL è sempre esistita – tanto che Berlusconi non riesce a governare nonostante la netta maggioranza parlamentare -, ma che da qualche tempo è uscita allo scoperto, quasi ad anticipare le inchieste giudiziarie che stanno travolgendo molti personaggi illustri.

Platone dimezzato

Magari Calvino si è basato sul Simposio di Platone, per creare Medardo (il buono e il cattivo, e ogni riferimento a Sergio Leone è puramente casuale).

Il filosofo scrive:

“Un giorno Zeus, volendo castigare l’uomo senza distruggerlo, lo tagliò in due. Da allora ciascuno di noi è il simbolo di un uomo, la metà che cerca l’altra metà, il simbolo corrispondente. [...] In seguito, per curare l’antica ferita, Zeus, dopo averla inflitta, inviò Amore, fra gli dèi l’amico degli uomini, il medico, colui che riconduce all’antica condizione. Cercando di far uno ciò che è due, Amore cerca di medicare l’umana natura.”

Quindi la condizione della nostra esistenza è la scissione che si ricompone attraverso l’amore. L’amore che unisce e che insieme alla parola restituisce il senso della nostra esistenza.

Cioè soffriamo perchè esistiamo, e abbiamo solo bisogno di relazioni di qualità e di tempo per ascoltarci, se vogliamo superare questo status.

Offuscare la sofferenza con droghe o farmaci serve forse a farci rientrare nei ranghi e nella norma che altri hanno stabilito per noi, ma non a renderci più felici, o più umani. E i medici della mente e del corpo dovrebbero curare più la società e meno i soci.  Amen.



Ho visto Nina volare

Perchè le persone vanno ai concerti? Perchè stanno lì, ferme, ad ascoltare qualcosa che non ha niente a che fare con la vita concreta del villaggio? La musica a teatro non fa ballare, non condisce feste, cerimonie, nè accompagna altri momenti importanti della vita della comunità.  E allora?

Allora boh. Cosa volete che ne sappia? Cosa volete che scriva? Da quando la nostra società si è dedicata alla omologazione e ha sventrato le vite dei cittadini per riempirle di concetti e stili adatti alla bisogna, la gente va ai concerti per:

a) sentirsi parte del mondo omologato, appunto

b) fuggire l’angoscia che questo gli crea.

Ma per fortuna la musica riesce anche a dare:

1) l’esperienza unica del diverso scorrere del tempo

2) l’opportunità di raggiungere un godimento estetico meno banale del solito.

Chi vuole suggerire qualcosa di altro e di di diverso, lo dica ora o taccia per sempre.

Bene. Stefano Di Battista al sax soprano (bis eseguito con sax tenore), Fabrizio Bosso alla tromba con e senza sordina, Roberto Tarenzi al pianoforte, Dario Rosciglione al contrabbasso e Marcello Di Leonardo alla batteria, hanno omaggiato Fabrizio De Andrè al Teatro Massimo di Cagliari. I cinque jazzmen hanno ripreso alcuni brani del cantautore ligure, li hanno arrangiati in chiave “european-jazz” con tanto, tanto buon swing, ci hanno quasi improvvisato sopra con un telaio ben strutturato  e delicato (per non offendere le orecchie poco educate dell’ascoltatore medio) e hanno rapito la platea (ma anche la loggia) su un tappeto volante i cui motori soffici e assolutamente avvolgenti erano quelli azionati dal trio ritmico (batteria, pianoforte e contrabbasso).

Il jazz è stato ed è anche questo: incontrare musiche non jazz e rielaborarle. In Italia l’hanno fatto in tantissimi, a partire da Gianni Basso e Franco Cerri e la tradizione continua con questo Stefano di Battista che più che virtuoso dello strumento è un raffinato arrangiatore.

Momento centrale del concerto, la magia della tecnica di mix che ha permesso al quintetto jazz di accompagnare la voce di De Andrè nel brano “Ho visto Nina volare”.  Struggente pezzo sui primi amori di Fabrizio e sulla disobbedienza al padre, con sopra l’ottimo intreccio dei cinque.

Dunque, ha svolto il suo compito, questo concerto? Ha esaudito i desideri dei paganti?

Direi di sì. La musica ha rinnovato il suo impegno di essere astrazione pura e, in quanto tale, capace di cancellare i rapporti col tempo dimostrandone la relatività, come Albert Einstein.

Il mio piede è stato in costante ritmico movimento per 90 minuti, a testimonianza e prova che si è trattato di un concerto jazz in cui il swing l’ha fatta da padrone. I ritmi hanno spaziato tra quattro e cinque quarti; le cadenze armoniche rielaborate per nascondere e poi esaltare le linee melodiche di De Andrè, anch’esse abbastanza camuffate (perfetto, a mio avviso, Don Raffaè); i fraseggi di Bosso e Di Battista, complessi, ricchi, tecnicamente puliti, arzigogolati da capogiro, con escursioni ampie, anche se Bosso non ha mai toccato note altissime.

L’unico appunto: il pianoforte troppo sacrificato. Non so se per scelta o per errore del tecnico del suono che non ha ben regolato il volume dell’audio, ma gli “assolo”  di Tarenzi, bellissimi, sono rimasti nell’ombra. Peccato, avrei dato nove.

Voto al concerto: 8



sabato, maggio 01, 2010

Basilicata, coast to coast


Basilicata, coast to coast

Alla fine del film (sì perchè Basilicata coast to coast è un film, scritto, diretto e interpretato da Rocco Papaleo)  lo spettatore ritorna alla domanda iniziale del protagonista: ma esiste la Basilicata? E dove era fino ad ora? Perchè non me ne sono mai accorto?

Insomma, tra inquadrature ricercate e fotografia “nebbiosa”, paesaggi naturali mozzafiato e scorci di paesi arroccati tra le nuvole, il film è un grande e gradevole spot sulla Basilicata e le sue bellezze (bellissime bellezze), ma anche la storia delicata di un cammino (dal Tirreno allo Ionio, a piedi) di un gruppo di musicisti alla ricerca di se stessi e di un senso da dare alla propria vita,ognuno smarrito in una vicenda passata.

Direi un film hippy (quanti di noi hanno fatto o sognato un “pellegrinaggio” laico in tenda e sacco a pelo tra boschi e paesini medievali, con amici e chitarre al seguito) che rende implicitamente omaggio a Luis Bunuel e Sergio Leone e, esplicitamente, a Carlo Levi e alla “sua” Gagliano (Aliano). Come in Levi, è la gente di Basilicata, il suo volto e la sua sospensione in un tempo senza tempo ad essere il valore aggiunto del film, se non il suo oggetto/soggetto principale.

Ma è anche un film con una grande sorpresa, per me, cioè Rocco Papaleo. Lo conoscevo solo come attore comico, lo scopro scrittore sensibile e attento, nonchè regista “colto” e “raffinato”, con il gusto per la citazione e l’omaggio, senza velleità strabordanti e pretenziose, eppure con un gusto originale ben definito. E poi i soliti Alessandro Gassman e Giovanna Mezzogiorno, che aggiungono al film un tocco di sapiente profondità interpretativa.

Basilicata coast to coast, voto: 7