domenica, maggio 28, 2006

SINDROME DI QUIRRA: altri due militari malati

Comitato sardo Gettiamo le Basi

27 maggio 2006

SINDROME DI QUIRRA: altri due militari malati dopo aver prestato servizio di leva nel poligono della morte e alla Maddalena




Da fonte autorevole abbiamo conferma di due nuovi casi, segnalati da tempo a Gettiamo le Basi, di militari di leva arruolati in Marina colpiti da leucemia dopo aver prestato servizio nel Poligono Interforze Salto di Quirra e alla Maddalena.
I due ragazzi, E. P. e S. L., sono in cura e sono sardi. Nel rispetto della loro scelta del silenzio e dell’anonimato, si evita di fornire dati che possano identificarli.
Inquieta constatare che nel luglio 2003 la stessa patologia ha ucciso M. M., anche lui sardo, anche lui arruolato in Marina, in servizio nel poligono della morte nello stesso arco di tempo: maggio/novembre 1999. Strane "coincidenze" che richiamano quelle analoghe verificatesi nel poligono di Capo Frasca: Maurizio Serra e Gianni Faedda colpiti entrambi da tumore cerebrale dopo aver prestato servizio di leva quasi nello stesso periodo.

I dati raccolti da Gettiamo le Basi, approssimativi per forte difetto, sui militari in servizio nel poligono Salto di Quirra colpiti da tumori emolinfatici salgono a quota 15. Quindici militari, in prevalenza ragazzi in servizio di leva, colpiti dalle stesse patologie correlate alle radiazioni ionizzanti ed eletromagnetiche che falcidiano i militari inviati nei teatri di guerra e le popolazioni aggredite. Le stesse patologie che stanno sterminando gli abitanti della piccola frazione di Quirra: 150 abitanti, 20 persone colpite da tumori al sistema emolinfatico. I dati della strage in corso sono noti dal 2001. La risposta finora è stata un susseguirsi di “indagini” compiacenti da due soldi finalizzate a NON TROVARE e acquietare l’opinione pubblica, “indagini” che hanno individuato fantasiosi agenti patogeni e indicato cervellotiche piste di ulteriori ricerche infinite per sviare i sospetti/certezze dalla struttura militare, l’unica fonte di radiazioni ionizzanti ed elettromagnetiche presente nel territorio.


Si ribadisce l'esigenza indilazionabile di una immediata sospensione di tutte le attività dei poligoni, almeno fino quando non siano stati individuati ed eliminati gli agenti killer. Lo impone il buon senso e lo impone la normativa internazionale che obbliga gli Stati all'osservanza del principio di precauzione (Protocollo di Rio).
E' improcrastinabile un'indagine seria e accurata, un'indagine controllata dal basso, un'attenta verifica del disastro sanitario e ambientale come preliminare ad un'azione di radicale bonifica.
Conosciamo bene la portata della richiesta. Fonti autorevoli e non sospette forniscono cifre precise e stime complessive: il costo di un'indagine adeguata, limitata alla sola zona a terra del poligono Quirra-Perdasdefogu, è paragonabile a quello di due manovre finanziarie. Per i costi successivi della bonifica si hanno le valutazioni del CNR riferite alla zona a mare prossima alla costa del poligono di Capo Teulada: "costi astronomici".

Il governo italiano può reperire i fondi necessari abbandonando le costose e immorali "missioni" di guerre coloniali in corso, può e deve investire subito le risorse adeguate per porre fine allo scempio della nostra terra e delle nostre vite.


Comitato sardo Gettiamo le Basi

sabato, maggio 27, 2006

ABBALIBERA PRO TOTTUS SOS SARDOS

CAGLIARI, 23 MAGGIO 2006

ABBALIBERA PRO TOTTUS SOS SARDOS
ACQUA PUBBLICA: UN BENE COMUNE PER TUTTI I SARDI


L’acqua, per la scarsità con cui è presente in natura, e per la sua contestuale funzione di bene di prima necessità, per la vita in generale e per lo sviluppo di un popolo e del suo territorio, è indubbio che costituisca una risorsa di rilevanza strategica fondamentale, e quindi da sempre ambita dai potenti di turno.

In Sardegna il Sistema Idrico Integrato nasce nel 1957, anno in cui, anticipando di 40 anni la Galli, vede la luce l’Ente Sardo Acquedotti e Fognature, costituito appositamente per gestire e potenziare le strutture acquedottistiche e fognarie regionali: il sistema idrico integrato per l’appunto.
Il legislatore nazionale, con la Legge 36/94 (la suddetta Legge Galli), nell’ottica di un complessivo riordino del settore idrico in campo nazionale, per ovviare all’eccessiva frammentazione nel governo e nella gestione del servizio, per effetto di diverse e successive modifiche normative, ha finito invece col trasformare l’accesso all’acqua potabile, da diritto universale a merce da consegnare al mercato.
La Sardegna poi, con la L.R. n. 29/97, nel recepire pedissequamente la Galli, ha, per l’ennesima volta, perso l’occasione per far valere la specialità del suo statuto, non riuscendo ad adattare la riforma, sicuramente necessaria, alle particolari e singolari caratteristiche della nostra regione.
Le sole note positive, contenute nella LR 29/97, sono: l’individuazione dell’unico ambito territoriale ottimale coincidente col territorio regionale; l’individuazione di un soggetto gestore unico, e conseguentemente, l’adozione di un’ unica tariffa regionale.
La L.R. 29/97, per tutti gli altri aspetti, è stata, fin dalla sua adozione, fortemente contestata dai dipendenti dell’ex ESAF sostenuti dai Sindacati della funzione pubblica di CGIL, CISL e UIL, e, nei contenuti, ritardata e in parte modificata nell’applicazione grazie a dieci anni di lotte, manifestazioni e scioperi, che, quantomeno, hanno scongiurato il ricorso alla gara internazionale per l’affidamento del servizio ad una delle spietate multinazionali delle acque.
Si è arrivati così, nel 2004, dopo diversi anni di lotte e modifiche normative, alla costituzione dell’Autorità d’Ambito territoriale ottimale (ATO) della Sardegna, e all’affidamento, nel 2005, attraverso il cosiddetto sistema “in house”, al soggetto gestore unico: Abbanoa s.p.a.

Questo avviene oggi in Sardegna, mentre in diversi paesi Europei si torna indietro dopo anni di evidenti fallimenti delle privatizzazioni di stampo liberista; tra questi paesi c’è la Germania (dove non si attuano più privatizzazioni del servizio idrico e da quelle già realizzate si torna indietro), il Belgio (in cui hanno oramai abbandonato ogni velleità di tipo privatistica), la Francia (nel paese di tre tra le più grandi multiutilities mondiali dell’acqua i Comuni stanno riprendendo in mano la gestione), la Svezia (di privatizzare l’acqua non se ne parla più da tempo), l’Olanda (dove, nel settembre 2004 il Parlamento ha deciso di impedire ogni forma di privatizzazione dell’acqua e dei servizi idrici), e il Regno Unito (paese in cui, seppur ancora non si ripensa alla ripubblicizzazione del servizio idrico così come è avvenuto in diversi altri casi di privatizzazione attuati dal Governo Tatcher, le ultime notizie parlano di servizi altamente scadenti, tariffe alle stelle, perdite idriche nelle infrastrutture intorno al 80% e, dulcis in fundo, forti crisi d’azienda con i lavoratori a rischio salario).
Quindi, mentre nella gran parte degli stati europei si inizia una graduale ripubblicizzazione della gestione dei servizi idrici, ed in Italia sono in corso diversi ripensamenti in tal senso, (vedi i recenti casi di Napoli, della Toscana e della Puglia), da noi in Sardegna, a conferma dell’atavico ritardo rispetto al resto del mondo industrializzato, l’attuale governo regionale procede, noncurante delle esperienze negative già fatte negli altri stati europei, verso una sconclusionata forma di privatizzazione. Per di più, lo stesso Governo regionale si mostra colpevolmente indifferente rispetto ai rischi ed ai problemi sociali che da tale privatizzazione ne scaturiranno; problemi già ampiamente denunciati sia dai Sindacati che dalle Associazioni in difesa dei consumatori e dei cittadini anche in questi ultimi giorni.

Si pensi che l’attuale tariffa media stabilita dall’Ambito di € 1,14 mc (la tariffa media praticata dall’ESAF fino al 2004 era di € 0,70 mc), si è già dimostrata insufficiente per la copertura dei soli costi di gestione.
Infatti, per questo motivo, Abbanoa pensa di portarla già per l’anno in corso ad € 1,40 mc (+ € 0,26 rispetto a quella oggi autorizzata dall’ATO; e ben + € 0,70 rispetto a quella dell’ex gestore pubblico regionale: l’Esaf). Ma non basta, infatti Abbanoa prevede di doverla portare ad € 1,99 mc entro il 2012.
Se si tiene quindi conto che ai costi di sola gestione (a totale carico della tariffa), vanno poi aggiunti gli oneri, per adesso non ancora considerati, relativi agli investimenti per il rifacimento delle infrastrutture, si arriverà, come da tempo denunciato, ad un costo medio di produzione di 1 mc d’acqua intorno ai €.3,00 che, lo ribadiamo ancora una volta, dovrà essere coperto per intero dalla tariffa applicata, sia secondo la Galli e la LR 29/97, sia secondo il recentissimo testo unico dell’ambiente (D.Lgs 152/06).

L’oggetto del contendere quindi è il costo di produzione dell’acqua potabile che, per questioni oggettive relative alla conformazione orografica prevalentemente montuosa della nostra regione, ed alla scarsa qualità e quantità della risorsa in natura (niente laghi naturali, fiumi o ghiacciai), fanno si che il costo industriale di produzione a mc dell’acqua potabile in Sardegna salga considerevolmente.
Questo principio vale ancor di più se si paragona il caso Sardegna, per esempio, col caso Roma, dove, seppur l’ACEA applica tariffe più alte rispetto ad Abbanoa, come noto, dispone di acque sorgive di ottima qualità vicine all’utenza (Apennini), trasportate per sola gravità e per di più attraverso schemi acquedottistici semplici che in molti casi coincidono con i tracciati originali degli antichi romani.
E’ quindi il principio fondamentale della Galli (la tariffa deve coprire i costi di gestione e di investimento), che in Sardegna trova difficile applicazione senza importanti ripercussioni sull’intero sistema sociale. L’ESAF dal canto suo, proprio a causa delle tariffe di tipo sociale applicate, beneficiava di un contributo regionale di circa 25 M€ per portare a pareggio il proprio bilancio. Esisteva quindi un giusto contributo della fiscalità generale allo scopo di sostenere la tariffa, di tipo sociale, applicata (€ 0,70 mc).

Quale è allora la ratio di questa assurda riforma? Meramente una questione economica? Oppure di sola facciata e tendente ad alleggerire le spese della Regione? Oppure, ancora peggio, quella di arricchire le tasche di qualche privato in agguato?

Questo mistero, come uno spettro, aleggia tra le stanze della Giunta e del Consiglio Regionale sotto la regia della Politica e dei poteri forti che contano. Quello che è certo invece, è che a pagare i conti, a prescindere dalla vera natura della riforma, saranno, da una parte tutti i cittadini attraverso le future tariffe, e dall’altra i lavoratori del comparto dove, già oggi, circa 300 (precari) rischiano il posto di lavoro ed hanno già visto ridotti i propri diritti contrattuali, altri 500 (appalti) non conoscono il proprio futuro lavorativo, e dove altri 500 (gli ex dipendenti ESAF), malgrado le leggi, rischiano di vedere ridotti i propri diritti contrattuali.
Il nostro obiettivo non può quindi essere l’accettazione passiva dell’affidamento in house ad Abbanoa s.p.a. della gestione del S.I.I., poiché questa soluzione è altamente rischiosa e lascia aperta la possibilità di successive privatizzazioni in momenti di difficoltà economica del gestore (ricapitalizzazione della società o vendita delle quote azionarie dei comuni). Già oggi, Abbanoa, si viene a trovare in una situazione di estrema difficoltà a soli 5 mesi dall’inizio della sua attività (70 M€ di esposizione verso banche e fornitori).

L’affidamento in house, che conferisce la gestione diretta ad una S.P.A. a totale capitale pubblico, risulta incompatibile con qualsiasi controllo democratico, ed è inaccettabile per chi, come noi, si batte per un governo pubblico e partecipato dei beni comuni. Le società per azioni, infatti, pubbliche o private che siano, hanno come fine la massimizzazione dei profitti e l’esternalizzazione dei costi.
Noi, dunque, pur essendo consapevoli che la riforma nel settore era ed è necessaria, riteniamo debba essere finalizzata alla realizzazione del miglior servizio ed all’abbattimento dei costi, e non, come invece si prefigura oggi, debba effettuarsi attraverso l’aumento indiscriminato delle tariffe e all’attacco dei diritti dei lavoratori. Per invertire il processo di privatizzazione della gestione dell’acqua innescato in Sardegna dal pedissequo recepimento della Galli, occorre intraprendere un analogo percorso a quello già avviato dai movimenti delle altre regioni italiane. I movimenti Toscani, ad esempio, hanno raccolto 40.000 firme per la presentazione al Consiglio Regionale della Toscana, di una proposta di legge di iniziativa popolare.

Noi chiediamo che l’acqua, come bene essenziale alla vita, sia parte integrante di una politica dei beni comuni, ed il governo regionale riveda completamente il quadro legislativo e regolatore, operando un profondo aggiustamento alle leggi fin qui adottate, i cui principi devono essere sviluppati ed adattati alle specifiche realtà. Al Governo regionale chiediamo di riappropriarsi della maggioranza delle quote di Abbanoa SpA al fine di, ricapitalizzando la società, scongiurare il fallimento o la cessione di quote ai privati.
Per far si che questo avvenga, e col fine di invertire questo assurdo e sbagliato processo di privatizzazione, occorre intraprendere una iniziativa analoga a quella dei movimenti delle altre regioni.
Nasce anche in Sardegna il comitato per far riconoscere l’acqua come bene assoluto di prima necessità, denominato ABBALIBERA, con lo scopo di ricondurre dentro la gestione pubblica il bene comune dell’acqua, anche attraverso una raccolta di firme per una proposta di legge di iniziativa popolare, al comitato aderiscono:

CGIL-FP; CISL-FP; UIL-FPL; FEDRO; ADICONSUM; SOCIAL FORUM; LEGAMBIENTE; A.R.N.M. QUARTU; BANCA DEL TEMPO GUSPINI; FIDAPA; ECOLOGIA POLITICA; ASS.NE ASQUER DIR. BENI PUBBL.; S.C.I .; ACQUA GRAVITÀ’; LA PERGAMENA; ASSOCIAZIONE APRILE; CITTÀ CICLABILE; ASSOCIAZIONE I SARDI; COM.TO REDDITO CITTADINANZA; FORUM DELLE DONNE; CAROVANA SARDA DELLA PACE; COM.TO PARTECIPAZIONE POPOLARE DI MONSERRATO;

Precipitano due aerei militari nei mari sardi

COMITATO SARDO GETTIAMO LE BASI

Comunicato stampa: 23 maggio 2006

Oggetto: precipitano due aerei militari nei mari sardi

Ancora una volta dobbiamo ringraziare Sant’Efisio, o la Dea Fortuna, per la
scampata strage.
La gioia per la tragedia evitata, anestetizza e appanna l’inquietante
conferma del rischio costante cui siamo esposti dalle perenni manovre di
guerra nella nostra terra, nel nostro mare, nel nostro cielo.
Non si può, però, abusare della benevolenza e della pazienza, neanche di
quella di un santo o di una dea, continuando a sfidare la sorte. Non si può
continuare a permettere che la Sardegna sia usata come un campo di battaglia
che non conosce punti protetti, una palestra di guerre infinite “giocate”
con vere armi e veri strumenti di guerra.
L’incidente di ieri notte deve segnare la fine del tempo di denunce,
recriminazioni e piagnistei.
Ogni ulteriore esercitazione militare va considerata come atto di ostilità
nei confronti del popolo sardo.
Non è più tollerabile un’altra aggressione, si chiami “Spring Flag” o
“Destined Glory”.

L’anno scorso è precipitato “l’aereo da rottamazione” AMX, ieri due F16 che
ci vengono presentati come veri gioiellini da guerra tecnologica. E il
prossimo aereo? Precipiterà su
Cagliari? Su qualche sperduto paesino dello sterminato campo di battaglia
che è la Sardegna?
Non è più sopportabile che si continui a fare scempio della nostra isola e
si mantengano le nostre vite sospese al filo della sorte.

INVITIAMO
-il Capo supremo delle FF. AA, Presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano
-il ministro alla Difesa, Arturo Parisi
ad impartire disposizioni per l’abolizione immediata di tutte le
esercitazioni in corso e in programma in Sardegna.

INVITIAMO
- Governo, Parlamento, Senato, forze politiche e organizzazioni di massa
ad attivarsi in modo da non rendersi complici dell’aggressione.

COMITATO SARDO GETTIAMO LE BASI
tel 3386132753
******************
UNA LEZIONE DI "EDUCAZIONE AMBIENTALE" CON LE STELLETTE

Parlando in conferenza stampa (24/5/06) il capo di Stato Maggiore, il
generale Tricarico, ha escluso che sia necessario recuperare gli aerei
precipitati a ridosso dell'Area marina protetta di Capo Carbonara in quanto
"le potenzialità inquinanti dei velivoli sono assolutamente insignificanti e
trascurabili".
Pur prendendo per buone le rassicurazioni sulla non pericolosità delle
sostanze contenute a bordo, non si può non registrare l'ennesima lezione di
"educazione ambientale" che ci viene impartita: è lecito abbandonare rottami
e rifiuti in mare anche in prossimità delle Aree protette.
Non sappiamo se le Forze Armate propugnino questo "diritto" anche per tutti
i cittadini o se rivendichino l'esclusiva, il monopolio assoluto all'uso
della pattumiera mare.

Comitato sardo Gettiamo le Basi

giovedì, maggio 25, 2006

De profundis per l'Italia

Ansa 24/5/06

ROMA - Povertà stabile (7,6 milioni gli indigenti) negli ultimi otto anni in Italia che resta però fra i paesi europei con più alto grado di sperequazione dei redditi. Questo vale soprattutto al Mezzogiorno, dove le famiglie percepiscono circa 3/4 del reddito delle famiglie che vivono al Nord. Lo rileva l'Istat nel rapporto annuale presentato oggi. Pur con molta variabi-lità, una famiglia su due ha un reddito mensile netto inferiore a 1.670. Ma ben un milione e mezzo di persone percepisce un reddito mensile basso, mediamente meno 783 euro, e vive in contesti familiari economicamente disagiati.

DISUGUAGLIANZE, ITALIA QUASI PRIMA IN EUROPA - L'indice di concentrazione dei redditi (pari a 0,30) colloca in basso l'Italia, insieme a Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia. Il mezzogiorno è il più fragile in questo contesto non solo rispetto al nord ma anche all'interno delle proprie regioni. I fattori individuali che influenzano la distribuzione dei redditi sono il livello di istruzione, il genere, l'età. Le famiglie del 20% più ricco detengono il 40% del reddito totale.

COME SONO I REDDITI - Nel 2003 il reddito medio per famiglia è stato di 24.950 euro, circa 2.079 euro al mese. Il red-dito è composto per il 43,1% da lavoro dipendente e per il 32,9% da trasferimenti pubblici (il 92% riguarda pensioni). Le famiglie che hanno come fonte principale il reddito da lavoro autonomo possono contare, in media, su entrate maggiori. Al sud di solito c'é un solo percettore di reddito, mentre al nord due o più.

CHI PERCEPISCE REDDITI BASSI - Il 28,2% delle donne contro il 12,3% degli uomini; il 36% dei giovani con meno di 25 anni; il 32% di chi ha un basso titolo di studio; il 21% delle persone che lavorano nel settore privato; il 40% dei lavora-tori a tempo determinato. Ruolo importante è assunto anche dal numero di ore lavorate durante la settimana: è a basso reddito il 46,7% di chi lavora meno di 30 ore contro il 13% di quelli che ne lavorano almeno 30. Le donne con basso red-dito vivono spesso in famiglie dove ci sono altri percettori di reddito. Oltre il 50% dei lavoratori a basso reddito opera nel-l'agricoltura, nella caccia e pesca e il 42% svolte professioni non qualificate.

POVERE 2 MILIONI 600 MILA FAMIGLIE - Sono l'11,7% del totale per complessivi 7,6 milioni di poveri. Si riferisce alla povertà relativa, quella misurata sulla base dei consumi, che dal 1997 al 2004 è rimasta invariata, pur essendo stretta-mente legata alla mancanza di lavoro e registrando negli anni un minimo del 10,8% ed un massimo del 12,3%. L'emer-genza riguarda il Sud dove una famiglia su 4 è povera e dove le persone povere nell'ultimo anno, un record, sono au-mentate di circa 900 mila persone interessando oltre 1.800.000 famiglie. La povertà interessa per lo più i nuclei con tre o più figli minori, le famiglie dove il riferimento è pensionato o donna, sia anziana o comunque sola.

MOBILITA' SOCIALE RIGIDA, ULTIMI POSTI PER L'ITALIA - Il nostro paese si trova fra i paesi europei con minore mobilità sociale (Francia, Germania, Irlanda) a differenza di Norvegia, Paesi Bassi e Svezia. E' difficile passare da una classe sociale all' altra. Le donne hanno una probabilità maggiore di quella maschile di permanere nella classe di origine: è il caso delle figlie della classe operaia agricola e della borghesia.

PREZZI A RISCHIO CON ASPETTATIVE SALARIALI
L'inflazione, che si è mantenuta sotto controllo negli ultimi mesi, potrebbe risalire a causa delle pressioni salariali dal mondo del lavoro. E' l'allarme lanciato da Luigi Biggeri, presidente dell'Istat, nella presentazione del rapporto annuale. "L'accumularsi di aspettative di recupero salariale, in parte rese probabili dai ritardi dei rinnovi contrattuali e dall'incom-pleto recupero della perdita di potere d'acquisto - ha sottolineato Biggeri - può avere effetti destabilizzanti sulla dinamica dei prezzi e sul quadro macroeconomico". Il presidente dell'Istat ha anche ricordato i rischi sull'inflazione che possono derivare dall'aumento del prezzo del petrolio e da un possibile rafforzamento dell'euro rispetto al dollaro.

ITALIA NON AGGANCIA RIPRESA, POTENZIALE DIMEZZATO
"L'economia italiana non ha agganciato la ripresa mondiale perché esprime un potenziale di crescita inferiore, che di-pende da fattori strutturali, pari a circa la metà dell'euro". Lo ha detto il presidente dell'Istat, Luigi Biggeri, presentando il rapporto annuale sulla situazione del Paese nel 2005. Il sistema economico italiano è costellato da "elementi di debolez-za" ai quali "si aggiungono fattori di vulnerabilità più specifici, quali le esposizioni ai rischi di ulteriore perdita di competiti-vità - ha sottolineato Biggeri - e l'elevata dimensione del debito pubblico, che ci portiamo dietro da decenni". Biggeri ha sottolineato anche la graduale riduzione negli anni dell'avanzo primario che "pone limiti molto forti alla possibilità di con-tribuire alla crescita attraverso la leva della spesa pubblica, e rende necessarie misure strutturali per riportare il debito pubblico dentro un sentiero di sostenibilità".

SISTEMA ECONOMICO RESTA VULNERABILE E FRAMMENTARIO
Se i primi mesi del 2006 l'economia italiana ha cominciato a girare in positivo il sistema resta strutturalmente "vulnerabi-le" e "frammentario". E' quanto evidenzia l'Istat nel Rapporto annuale che fotografa la situazione del Paese nel 2005. "Nel primo trimestre del 2006 - sottolinea l'istituto di statistica - l'espansione riprende forza". Ma alle spalle c'é un 2005 "stagnante" in cui la crescita in Italia ha segnato "una battuta d'arresto" a fronte di un'economia mondiale dove invece "la crescita nel 2005 si è mantenuta vigorosa". Meno drastico il divario di crescita, che comunque permane, se si fa il con-fronto tra l'Italia e gli altri Paesi dell'area euro. "Il nuovo episodio di arresto della crescita dell'economia del nostro Paese - rileva l'Istat - si è inserito all'interno di un quadro di indebolimento dell'attività diffuso tra i Paesi dell'area dell'euro. Il dif-ferenziale negativo del nostro Paese rispetto all'insieme dell'Uem, che aveva già raggiunto 0,9 punti percentuali nel 2004, si è ulteriormente allargato, salendo a 1,3 punti percentuali". In ogni caso la ripresa economica dovrà innestarsi in un sistema, quello italiano, dove la produttività è più bassa che in altri paesi e dove il potenziale di crescita - evidenziano gli esperti dell'Istat citando studi anche esterni all'Italia - è di circa la metà rispetto a quello dell'area euro. I problemi sono legati proprio a quella "frammentarietà" e "vulnerabilità" evidenziate dall'istituto di statistica. La pluralità di soggetti pronti a fare economia può essere un valore se c'é interazione. Quanto invece alla debolezza del sistema produttivo, gli stati-stici evidenziano che è una caratteristica diffusa e che situazioni anche positive nascondono in realtà un equilibrio precario.

LAVORO, DONNE SEMPRE PIU' FUORI. MAI COSI' DA ANNI '90
Nel 2005 il mercato del lavoro ha perso una quota di lavoro femminile determinando ''un ulteriore ampliamento del diva-rio con l'Unione europea". Lo rileva l'Istat nel Rapporto annuale sulla situazione del Paese. Nel 2005 "per la prima volta dalla metà degli anni Novanta il contributo delle donne all'aumento dell'occupazione - sottolinea l'Istat - è stato inferiore a quello degli uomini". La quota delle lavoratrici sul totale degli occupati è scesa dal 39,2% del 2004 al 39,1% del 2005. Nella Ue a 25 il trend è invece opposto: "l'incidenza dell'occupazione femminile è infatti aumentata di due decimi di punto rispetto a un anno prima, portandosi nel 2005 al 44,2%". Le donne hanno contribuito alla diminuzione nel 2005 (del 3,7% pari a 72.000 unità) delle persone in cerca di lavoro. "Il contemporaneo forte incremento del numero di donne inattive residenti nel Sud e nelle Isole e di giovani che proseguono gli studi - evidenzia l'istituto di statistica - indica il diffondersi di fenomeni di rinuncia a intraprendere concrete azioni di ricerca di un impiego". Più complessivamente "continua a ral-lentare la crescita dell'occupazione", che invece era stata sostenuta a partire dal '95. E aumenta il tasso di disoccupa-zione, soprattutto tra i giovani (nel 2005 al 24%, con un incremento sul 2004 dello 0,4%). Sostanzialmente ''le forze di lavoro risultano in crescita grazie agli stranieri regolarizzati".

OGNI ANNO NASCONO MIGLIAIA IMPRESE, NE MUOIONO DI PIU'
Anche il mondo delle imprese ha il suo indice demografico che registra "il declino della natalità, sistematico a partire dal 2000" e, al contrario, "un andamento ascendente del tasso di mortalità ". Lo rileva l'Istat che snocciola al proposito gli ultimi dati a disposizione, quelli del 2002: "il bilancio demografico delle imprese italiane si è chiuso con un passivo di cir-ca 21.000 imprese (circa 304.000 cessazioni contro circa 283.000 nascite)". Si tratta delle nascite e cessazioni reali di attività, al netto dunque di quello che l'Istat definisce il "rumore amministrativo", ovvero la registrazione di eventi che comportano solo formalmente la nascita o la cessione di un'azienda, come le fusioni, le scissioni, i cambiamenti di forma giuridica. Nel periodo 1999-2002 "il saldo del movimento demografico è risultato positivo e pari a circa 40.000 imprese". Il più alto tasso di turn-over riguarda le ditte individuali, che però restano stabili. Tengono invece le società di capitali, nelle quali "si rilevano la natalità più elevata (9,5%) e una bassa mortalità (6,0%)". In declino invece le società di persone e le cooperative che chiudono il quadriennio 1999-2002 con un saldo negativo di 31.000 imprese e 10.000 addetti in me-no.

IMPRENDITORI IN ECCESSO MA PRODUTTIVITA' E' MODESTA
Il nostro sistema produttivo è caratterizzato da "un eccesso di imprenditorialità " e da un tasso di produttività "modesto", più basso di dieci punti percentuali rispetto alla media europea. Lo sottolinea l'Istat nel Rapporto annuale. Il modello pro-duttivo resta dunque legato alle micro-imprese dove la specializzazione è "debole" proprio nei settori ad alta tecnologia ed elevata intensità di conoscenza, che risultano più forti rispetto alle pressioni concorrenziali internazionali, soprattutto dall'Asia, rispetto a quelli più tradizionali del made in Italy. Se si guarda, per esempio, al settore manifatturiero, a fronte di una produttività del lavoro (cioé il valore aggiunto per addetto in migliaia di euro) pari al 57,6% del Regno Unito e del 56,5% in Germania, in Italia è solo al 42,3%. "Nonostante la bassa produttività il costo del lavoro contenuto - rileva l'isti-tuto di statistica - mantiene la redditività delle imprese italiane in linea con quelle europee". L'impresa italiana "sopporta un costo del lavoro per dipendente decisamente più basso, in particolare nella manifattura, dove la differenza è pari a circa 9.000 euro con la Francia e 14.000 euro con la Germania". La conclusione, dunque, è che la redditività di un'impre-sa resta tutta ancorata ai "vulnerabili", così li definisce lo stesso istituto di statistica, equilibri contrattuali.

TAGLIO CUNEO: BENE A COMPETITIVITA', NO A INNOVAZIONE
L'annunciata misura del taglio del cuneo fiscale può essere salutare ai fini della competitività delle imprese, ma "rischia di fornire un disincentivo all'innovazione". Lo ha detto il presidente dell'Istat Luigi Biggeri, nella presentazione del rappor-to annuale. "Le misure in discussione sulla riduzione del cuneo contributivo - ha sottolineato Biggeri - forniscono segnali solo parzialmente coerenti con le esigenze di trasformazione del sistema delle imprese. La riduzione proposta di 5 punti percentuali dei contributi sociali, con un costo netto per il bilancio pubblico pari a circa 10 miliardi di euro - spiega il pre-sidente dell'Istat - avrebbe l'effetto di ridurre il costo del lavoro e aumentare la redditività lorda di circa 2-3 punti percen-tuali se l'intero risparmio andasse a favore delle imprese. Ciò rappresenterebbe uno choc positivo in termini di competiti-vità, ancorché una tantum. Questa misura rischia però - avverte Biggeri - di fornire un disincentivo all'innovazione di pro-dotto e di processo e al passaggio verso tecnologie più capital-intensive e, in assenza di meccanismi di selezione virtuo-sa, premerebbe sostanzialmente le imprese meno produttive". Per Biggeri anche "se una parte dei benefici fosse trasfe-rita ai lavoratori, l'impatto sui redditi disponibili delle famiglie sarebbe comunque modesto, senza concentrarsi su quelle in condizioni di disagio a meno che non si limiti il provvedimento a gruppi target selezionati".

LAVORO, BOOM FLESSIBILITA'ORARI,SOLO 1/3 IMPIEGATO 9-18
Sempre più italiani lavorano con orari flessibili: il film "Dalle 9 alle cinque orario continuato" vale solo per otto milioni di lavoratori, circa un terzo del totale mentre per gli altri sono sempre più frequenti i turni, il lavoro nel week end e quello notturno. Grazie alla crescita dell'impiego nei servizi e alla liberalizzazione degli orari nel commercio è aumentato anche il numero degli addetti impiegati di sabato (il 48,8% del totale) e della domenica (18,8% del totale) mentre il 22,1 è impe-gnato di sera e l'11,2% di notte. Il 13,3% degli occupati fa i conti con i turni. Il lavoro "full time standard" riguarda quindi il 36,1% della popolazione ed è più alto tra i dipendenti (41%) che tra gli autonomi (22,6%) mentre lavorano full time ma a volte anche nei week end il 26,9% degli italiani (22,8 dei dipendenti e il 38,3 degli autonomi). Gli italiani - sottolinea l'Istat nel suo rapporto Annuale - lavorano in media 38,1 ore a settimana, oltre un'ora in più della media Ue a 15: ma il dato ri-sente del basso livello del ricorso al part time nel nostro Paese (12,8% contro il 20,2 della media Ue) che alza la media delle ore lavorate. Nella sostanza invece un lavoratore a tempo pieno in Italia è impegnato per 40,6 ore, circa mezz'ora in meno della media europea. Il numero medio di ore lavorate è molto diverso se si considerano i lavoratori dipendenti e quelli indipendenti. Per i primi la media in Italia è di 36,5 ore a settimana (compresi quelli in part time) a fronte delle 35,6 della media europea. Per i lavoratori indipendenti la media di ore lavorate è di 42,4 ore contro le 43,5 dei lavoratori auto-nomi europei. Se il mercato del lavoro italiano avesse la struttura di quello dell'Ue a 15 - sottolinea l'Istituto di statistica - l'orario medio sarebbe del 3,9% inferiore a quello effettivo (per un'ora e 12 minuti). In Italia si lavora più ore soprattutto nelle aziende più piccole: in quelle con 10-49 addetti i lavoratori sono impegnati per una media di 1.744 ore all'anno (a fronte delle 1.621 dell'Ue a 15) mentre in quelle con una fascia dimensionale tra i 500 e i 999 ddetti i dipendenti sono im-pegnati per 1.592 ore (1.554 nella media Ue a 15). L'impegno orario torna a salire nelle aziende con oltre 1000 dipen-denti con un orario medio di 1.634 ore all'anno (1.500 nella media Ue a 15). Uno stesso impegno lavorativo pro capite comunque può essere espressione di combinazioni molto diverse di orari e tassi di occupazione: a fronte di bassi tassi di occupazione e poco part time in Italia nei Paesi bassi si rilevano molti occupati e ampia diffusione del tempo parziale. Gli uomini lavorano in media molte ore in più delle donne (41 ore a fronte di 33,5) soprattutto a causa dell'utilizzo del tempo parziale dalla parte femminile del mercato. Ma anche se si considera solo il tempo pieno le donne lavorano in azienda circa quattro ore in meno degli uomini con una media di 37,9 a fronte di 41,9 ore. Un vantaggio immediatamente perso con il lavoro familiare: ogni giorno infatti le donne impiegano nel lavoro di cura in media circa 4,07 ore a fronte di un ora e cinquanta minuti degli uomini.

12 MILA IMPRESE CONTROLLO ESTERO, FANNO BENE A SISTEMA
Le imprese che operano in Italia ma che hanno un controllo estero hanno conquistato "un ruolo importante nella diffusio-ne di nuove conoscenze e competenze, non solo di tipo scientifico ma anche di tipo organizzativo e manageriale, nonché di stimolo a una maggiore concorrenzialità nei mercati". Lo sottolinea l'Istat ricordando che queste imprese in Italia sono circa 12.000 e che occupano un milione di addetti. "Di notevole interesse - sottolinea l'Istat nel Rapporto annuale - sono anche le informazioni sui trasferimenti di conoscenze e competenze dall'Italia verso l'estero, che consentono di qualifica-re come investimento potenzialmente strategico una quota significativa delle imprese a controllo estero operanti in Italia".

PREZZI ALTI, 30% FAMIGLIE COMPRA MENO CARNE
L'aumento dei prezzi fa stringere la cinghia degli italiani anche quando si tratta di cibo: il 25% delle famiglie compra me-no pane e pasta mentre oltre il 30% meno carne, frutta e verdura; il 37,2% riduce l'acquisto di pesce; il 41,9% fa minori compere per l'abbigliamento e le scarpe. Il 15% opta per alimenti di qualità più bassa. Emerge dal rapporto annuale del-l'Istat che per la prima volta analizza il reddito e le condizioni di vita relativi al 2004.

DIDATTICA UNIVERSITA' NON RISPONDE A RICHIESTA MERCATO

La riforma dell'università ha puntato "troppo sull'attività didattica che non sempre corrisponde alla richiesta del mercato" del lavoro. E' quanto rileva l'Istat nel rapporto annuale sulla situazione del paese nel 2005, aggiungendo che è anche "fondamentale puntare sulla ricerca, motore dello sviluppo delle conoscenze e dell'economia". In generale, aumentano gli iscritti nell'anno accademico 2004/2005 che sono 1,8 milioni contro i 1,7 del 1999/2000 (+8,7%) e le immatricolati (quasi 332 mila con un +20,4% rispetto al 1999/2000). Aumentano anche gli studenti in corso, "anche se gli abbandoni - rileva l'Istat - continuano a rappresentare un problema: circa uno studente su cinque non si iscrive al secondo anno". I corsi attivi aumentano (+55%) ma nello stesso periodo il numero dei docenti cresce del 12%, con una riduzione del nu-mero medio di docenti per corso (dal 24 a 17) e un corrispondente calo del rapporto tra studenti e docenti (da 32,3 a 31,2). Tra le notizie positive, l'aumento dei laureati, passati da 152 mila del 1999 a quasi 269 mila del 2004 (+92 mila nei nuovi corsi triennali, +4 mila circa nei nuovi corsi biennali).

SCUOLA: SEMPRE PIU'STRANIERI IN AULA, +152% IN 5 ANNI
La aule italiane sono sempre più affollate di alunni stranieri. In cinque anni il numero degli studenti con cittadinanza non italiana è aumentato del 152%, passando da 147 mila del 2000/2001 ai 372 mila del 2004/2006, con un incremento degli extracomunitari europei e del continente americano. E' quanto rileva l'Istat nel rapporto annuale con la situazione del pa-ese nel 2005. Il numero di stranieri ogni cento alunni è salito, sempre in cinque anni, da 1,7 a 4,2, con una punta di 5,3 stranieri per cento iscritti nella scuola primaria. La presenza maggiore è di cittadini europei extra Ue (in totale 176 mila): di questi, il 90% vengono da Albania, Romania ed ex-Jugoslavia. Il 25% viene dai paesi africani (in diminuzione 2000/2001 quando erano il 29%) specie dal Marocco. Gli asiatici, in gran parte cinesi, sono il 15%, il 12% sud americani (Ecuador e Perù). Gli alunni stranieri sono presenti in netta maggioranza nelle scuole del Nord e del Centro e soltanto il 7% studia in istituti del Sud e il 3% in Sicilia e Sardegna. La Lombardia è la regione con più alunni non italiani (90 mila) ma è l'Emilia Romagna quella con maggiore incidenza : più di 8 studenti stranieri ogni cento iscritti, dieci nelle scuole primarie. Al Sud, Basilicata, Campania, Sicilia e Sardegna sono sotto l'1%. Per quanto riguarda l'offerta scolastica, gli istituti nel nostro paese sono 57.707 (anno 2004/2005 43% scuole dell'infanzia, un terzo le primarie, il 14% le medie, l'11% le superiori), il 78,8% dei quali sono pubbliche (si va dal 93% della Basilicata al 69,2% del Veneto. L'offerta di ser-vizi di istruzione primaria e secondaria è sostanzialmente omogenea sul territorio, rileva l'Istat, anche se nel Mezzogior-no permane una minore offerta di servizi extra scolastici come mensa, scuolabus e spazi gioco.

SPESA SOCIALE REGIONI PARI A 1/4 SPESA PUBBLICA
Nel 2003 la spesa delle Amministrazioni pubbliche destinata agli interventi sociali (per le funzioni sanità, istruzione, assi-stenza e beneficenza) é stata pari a circa 3.000 euro pro-capite, in crescita di oltre 900 euro nell'arco 1996-2003. Nello stesso periodo, la crescita di questa voce di spesa è stata superiore in termini nominali alla crescita del Pil. Sono alcuni dei dati che si ricavano dal Rapporto Istat 2005, più esattamente dal capitolo dedicato alla spesa sociale nelle Regioni. Le dimensioni della crescita non sono omogenee nelle diverse aree geografiche e nei diversi settori in esame. La stessa incidenza della spesa sociale sul complesso della spesa pubblica é cresciuta in termini percentuali, nel periodo 1996-2003, dal 21,9 a quasi il 25% del totale. * SPESA PIU' ALTA NEL NORD-OVEST, PIU' BASSA IN SUD E ISOLE Gli in-crementi maggiori della spesa sociale hanno riguardato il Nord-Ovest, circa 1.300 euro; i più bassi le regioni del Sud con 685 euro. Per quanto riguarda l'istruzione sono TRENTINO-ALTO ADIGE e VALLE D'AOSTA le Regioni che hanno regi-strato gli incrementi maggiori di spesa pro-capite, mentre per la sanità il primato spetta alla LOMBARDIA con un incre-mento di spesa quasi doppio rispetto al sistema delle Regioni. Per quanto riguarda l'assistenza l'incremento maggiore di spesa è stato del LAZIO, mentre SARDEGNA e ABRUZZO sono maglie nere, avendo registrato un decremento della spesa pro-capite anche in termini nominali. Il Rapporto Istat ha trovato una forte correlazione tra la spesa sociale media pro-capite e il Pil pro-capite: la spesa più alta è stata registrata nelle Regioni del nord e quella più bassa nel Mezzogior-no.

SANITA': DA SUD A NORD PER CURE, 7% RICOVERI FUORI CASA
Non accenna a diminuire il fenomeno della mobilità ospedaliera, soprattutto dalle regioni meridionali verso quelle del Nord. E nella maggior parte dei casi, alla base della scelta di 'migrare' per farsi curare vi è la mancanza di centri adeguati nella propria regione, specie nel settore dei trapianti. A fotografare il fenomeno è l'Istat, nel Rapporto annuale 2005. Tra il 1999 e i 2003, sottolinea infatti l'Istat, la mobilità ospedaliera interregionale non diminuisce: la percentuale di dimissio-ne di residenti ricoverati in un'altra regione passa dal 6,7% al 7,1%. Così, nel 2003 quasi 600.000 ricoveri, il 7% del tota-le di quelli ordinari per acuti, sono avvenuti in una regione diversa da quella di residenza del paziente. Le cause di questi 'viaggi'? Possono essere varie: "La mobilità - spiega l'Istat - può essere analizzata secondo due componenti: una 'fisiolo-gica', dovuta alla prossimità di strutture ospedaliere in una regione limitrofa o per la temporanea presenza in un luogo diverso da quello di residenza (per lavoro, turismo ecc.) e una motivata da fattori sanitari". E quest'ultima, si legge nel Rapporto, "può essere espressione sia di un'offerta non adeguata di strutture, sia di un'insoddisfazione del cittadino ver-so la qualità dei servizi erogati dalla specifica regione, sia infine dalla necessità di rivolgersi a centri specializzati per de-terminate patologie". Le regioni che hanno flussi in uscita più consistenti di quelli in entrata sono quelle del Mezzogiorno (a eccezione di Abruzzo e Molise) e fra queste, le regioni con una percentuale d'emigrazione superiore alla media sono Campania, Basilicata e Calabria. La maggior parte delle regioni del nord e del centro, invece, hanno al contrario flussi di entrata più consistenti di quelli in uscita e sono, quindi, "regioni d'attrazione". La mobilità di lunga distanza, rileva l'Istat, riguarda in particolare i residenti nelle regioni Puglia, Calabria, Sicilia, e Sardegna verso la Lombardia e l'Emilia Roma-gna. Così, in Lombardia ben 134.000 ricoveri riguardano non residenti e nell'Emilia Romagna circa 80.000. Quanto ai tipi di interventi per cui la mobilità è particolarmente elevata, al primo posto ci sono i trapianti. Altri settori ad elevata mobilità riguardano gli interventi per malattie endocrine e nutrizionali, le biopsie del sistema del sistema muscoloscheletrico, gli interventi per obesità, le ustioni e le terapie riabilitative per dipendenze da alcol e farmaci.

FORTE RITARDO NELLE TECNOLOGIE, SIAMO COME 20 ANNI FA
Il nostro sistema economico resta antiquato e "la situazione dell'Italia è caratterizzata dal permanere di un forte ritardo nella produzione di tecnologie e nel loro impiego nel sistema economico". Lo rileva l'Istat aggiungendo che "qualche mi-glioramento relativo si è invece manifestato per quanto riguarda la formazione di risorse umane, sia pure in maniera non uniforme". In ricerca e sviluppo la spesa dell'Italia "é rimasta intorno a un livello poco superiore all'1% del Pil, come a metà degli anni Ottanta". In Germania si spende il 2,5%, in Francia il 2,2% e nel Regno Unito l'1,8-1,9%. "Un divario no-tevole" con il resto d'Europa emerge anche nell'ambito delle tecnologie dell'informazione.(ANSA).

LAVORO: IN 10 ANNI 2,7 MILIONI OCCUPATI IN PIU'

Tra il 1995 e il 2005 l'occupazione in Italia è cresciuta di 2,7 milioni di persone raggiungendo quota 22.563.000 unità: è quanto si legge nel Rapporto annuale dell'Istat secondo il quale però la percentuale di occupati tra i 15 e i 64 anni pur crescendo dal 53% al 57,5% resta molto al di sotto della media europea del 2005 (64,6%). Il tasso di disoccupazione nella media 2005 era del 7,7% in calo rispetto al 9,1% del 2001 ma l'Istat segnala come questa riduzione sia stata possi-bile anche grazie alla crescita della popolazione inattiva dovuta alla rinuncia alla ricerca di occupazione soprattutto al Sud.

mercoledì, maggio 24, 2006

PROTOCOLLO D’INTESA TRA REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA

COMUNICATO STAMPA

A tutti gli organi di informazione
All’Ufficio stampa della
Presidenza della Regione

PROTOCOLLO D’INTESA TRA REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA
E DIREZIONE MARITTIMA DELLA SARDEGNA

RELATIVO AI RAPPORTI DI COLLABORAZIONE IN MATERIA DI AMBIENTE,
DEMANIO MARITTIMO, PESCA E PROTEZIONE CIVILE

Ieri 23 maggio 2006, il Presidente della Regione Renato Soru, accompagnato dall’assessore regionale alla Difesa dell’Ambiente Antonio Dessì e il Direttore Marittimo delle Capitanerie di Porto della Sardegna, Comandante di Vascello Domenico De Michele, alla presenza del Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera, Ammiraglio Ispettore Capo Luciano Dassatti, hanno stipulato un Protocollo d’Intesa finalizzato alla collaborazione in materia di ambiente, demanio marittimo, pesca e protezione civile, salvaguardia della salute e della sicurezza.
Le attività oggetto di collaborazione sono specificate dall’articolo 3 del Protocollo d’Intesa:
- Osservazione e protezione delle zone costiere;
- Demanio marittimo;
- Protezione civile;
- Pesca.
Il Protocollo d’Intesa prevede all’art. 5 la costituzione di un Tavolo istituzionale, composto dall’Assessore regionale della Difesa dell’ambiente (con competenze anche sulla pesca e sulla protezione civile), dall’Assessore regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica e dal Direttore marittimo della Sardegna al fine della definizione dei rispettivi ruoli e responsabilità delle azioni e delle risorse umane, finanziarie e strumentali da attivare e della valutazione dei risultati raggiunti.

“Con la Direttiva Assessoriale del 29.3.2006, la Regione ha assunto il coordinamento del servizio di Protezione civile sul territorio e nei mari della Sardegna – ha ricordato l’Assessore alla Difesa dell’Ambiente Antonio Dessì – ciò comporta nuove modalità di raccordo e di leale cooperazione con le strutture operative dello Stato. Il protocollo d’Intesa costituisce un documento fondamentale per rafforzare l’efficacia operativa del controllo territoriale a fini ambientali e di tutela della salute e della sicurezza dei cittadini della comunità sarda”.
L’Ufficio di Gabinetto

PROTOCOLLO D’INTESA
TRA
REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA
E
DIREZIONE MARITTIMA DELLA SARDEGNA
relativo ai rapporti di collaborazione in materia di ambiente,
demanio marittimo, pesca e protezione civile

L’anno duemilasei, il giorno ventitre del mese di maggio in Cagliari,
TRA
la Regione Autonoma della Sardegna rappresentata dal Presidente, Dott. Renato Soru
E
la Direzione marittima della Sardegna rappresentata dal Direttore marittimo C.V. (C.P.) Domenico De Michele, all’uopo autorizzato dal Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia costiera, Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Luciano Dassatti.

PREMESSO CHE:

In materia di ambiente, demanio marittimo, pesca e protezione civile la Regione Sardegna:
- concerta con lo Stato gli indirizzi generali in materia ambientale e determina gli obiettivi di qualità e sicurezza e con l’Unione Europea quelli relativi all’attuazione delle politiche comunitarie di settore;
- assicura il coordinamento e l’integrazione dei diversi livelli istituzionali operanti nell’ambito della prevenzione ambientale e collettiva;
- individua le aree ad alto rischio ambientale e le misure urgenti per rimuovere le situazioni di rischio nonché gli indirizzi per il ripristino ambientale;
- programma attività di monitoraggio delle proprie acque superficiali sia per la salvaguardia della salute dei cittadini sia per l’accertamento della qualità ambientale delle acque medesime;
- svolge attività di difesa del suolo, di tutela dei corpi idrici, di risanamento e conservazione delle acque,al fine della fruizione e della gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale assetto economico e sociale;
- svolge attività connesse alla protezione dell’ambiente marino e costiero;
- promuove interventi di adeguamento e recupero ambientale;
- promuove l’informazione, l’educazione e la formazione ambientale;
- svolge attività connesse alla protezione civile nell’ambito costiero terrestre;
- attua politiche di sostegno al settore della pesca e dell’acquacoltura, garantendo una gestione razionale e responsabile delle risorse alieutiche, al fine di preservarne la conservazione nel tempo.
Le principali attività di competenza della Direzione marittima della Sardegna sono:
- ricerca e soccorso in mare;
- sicurezza della navigazione con controlli ispettivi sistematici su tutto il naviglio nazionale mercantile, da pesca e da diporto e attraverso l’attività di Port State Control anche sul naviglio mercantile estero che scala nei porti nazionali;
- protezione dell’ambiente marino, in rapporto di dipendenza funzionale dal Ministero dell’ambiente della tutela del territorio;
- attività di polizia amministrativa e verifica del corretto utilizzo dei beni demaniali marittimi e delle attività che si svolgono;
- controllo sulla pesca marittima, in rapporto di dipendenza funzionale con il Ministero delle politiche agricole forestali;
- amministrazione periferica delle funzioni statali in materia di formazione del personale marittimo, di iscrizione del naviglio mercantile e da pesca, di diporto nautico,di contenzioso per i reati marittimi depenalizzati;
- polizia marittima comprendente la disciplina della navigazione e la regolamentazione di eventi che si svolgono negli spazi marittimi soggetti alla sovranità nazionale,il controllo del traffico marittimo,la manovra delle navi e la sicurezza nei porti,le inchieste sui sinistri marittimi,il controllo del demanio marittimo, i collaudi e le ispezioni periodiche di stabilimenti e depositi costieri di sostanze infiammabili ed esplosive e degli impianti di distribuzione di oli minerali, loro sottoprodotti ed altri carburanti.

RILEVATO CHE

- la Regione Sardegna e la Direzione marittima della Sardegna, nel rispetto delle rispettive competenze, condividono la necessità di operare in modo coordinato e mediante azioni sinergiche, per l’impiego ottimale delle risorse della pubblica amministrazione, al fine di garantire una costante verifica sul territorio, per la salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente e della salute e sicurezza dei cittadini.
SI CONVIENE E SI STIPULA QUANTO SEGUE

Art.1
Durata del protocollo d’intesa
La Regione Sardegna e la Direzione marittima della Sardegna, nel rispetto dei principi di collaborazione fra le Istituzioni, con il presente Protocollo d’intesa convengono sull’opportunità di instaurare un rapporto di cooperazione che avrà durata, dalla data di sottoscrizione, sino al 31 dicembre 2009, salvo successiva proroga o rinnovo tra le parti.

Art.2
Materie oggetto della collaborazione
La collaborazione tra la Regione Sardegna e la Direzione marittima della Sardegna riguarderà, nell’ambito delle rispettive competenze istituzionali, le seguenti materie:
- Osservazione e protezione delle zone costiere;
- Demanio marittimo;
- Protezione civile;
- Pesca.

Art.3
Attività oggetto della collaborazione
Le attività oggetto della collaborazione nelle materie indicate dall’articolo 2 saranno le seguenti:
Osservazione e protezione delle zone costiere
- ricognizioni aeree finalizzate al monitoraggio delle acque marine per la prevenzione, controllo e lotta contro l’inquinamento da traffico marittimo e di origine tellurica;
- attività di verifica e controllo sulle opere marittime in fase di realizzazione e sugli interventi di riutilizzo dei materiali (quali ripascimenti, riempimenti, casse di colmata) sulla fascia costiera;
- vigilanza e controllo delle operazioni di bonifica in mare ai fini della salvaguardia dell’ambiente e del rispetto delle norme e prescrizioni autorizzative;
- monitoraggio della qualità delle acque costiere;
- adempimenti di cui al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182, recante “Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico”;
- condivisione dei dati relativi agli aspetti ambientali di interesse reciproco rispettivamente prodotti nelle attività di competenza.
Demanio marittimo
- predisposizione di linea guida per assicurare uniformità e coordinamento degli atti di competenza concorrente, con particolare riferimento alle ordinanze per la regolamentazione delle attività balneari;
- definizione di criteri e modalità, ispirati a principi di semplificazione delle procedure, per l’emanazione degli atti per i quali sussistono profili di competenza concorrenti, relativi in particolare, alla dominicalità dei beni;
- sopralluoghi e vigilanza, supporto all’esercizio dell’attività sanzionatoria di competenza regionale;
- definizioni di criteri e modalità, ispirati a principi di semplificazione delle procedure, per l’emanazione degli atti per i quali sussistono profili di competenze concorrenti nonché di reciproco interesse, relativi in particolare, alle demanialità dei beni e segnatamente ai procedimenti afferenti gli istituti della sdemanializzazione e delimitazione;
- attività istruttorie connesse all’espressione dei pareri di competenza nell’ambito delle procedure di approvazione dei nuovi porti turistici, regolamentazione delle attività all’interno dei porti turistici;
- monitoraggio dell’utilizzazione del demanio marittimo nell’ambito delle Aree marine protette.
Protezione civile
- condivisione dei processi pianificatori e gestionali collegati alle rispettive competenze in ambito meteomarino e terrestre;
- condivisione ed interconnessione dei dati meteomarini e terrestri derivanti dai sistemi previsti e dalle reti di monitoraggio al fine di sperimentare opportuni programmi di previsione e prevenzione associati alle varie tipologie di rischio;
- realizzazione delle connessioni di radiocomunicazioni tra le reciproche sale operative;
- collaborazioni finalizzate alla impostazione delle procedure di intervento congiunto;
- attività formative, informative ed esercitative anche attraverso l’impiego del Volontariato.
Pesca
- aggiornamento delle mappe delle zone destinate alla molluschicoltura, acquacoltura per consentire alla Regione lo svolgimento dei propri compiti in materia;
- condivisione di dati relativi alla flotta di pesca ed ai relativi procedimenti amministrativi di interesse reciproco anche mediante supporti informatici appositamente predisposti.

Art. 4
Definizione della modalità della collaborazione
Le modalità di svolgimento delle attività stabilite dall’articolo 3 saranno definite attraverso successive convenzioni di dettaglio stipulate tra gli Assessori regionali competenti per materia e il Direttore marittimo della Sardegna nelle quali saranno indicati ruoli, compiti e risorse.

Art. 5
Costituzione tavolo istituzionale
Per l’attuazione del presente Protocollo d’intesa viene costituito un tavolo istituzionale, integrabile a seconda delle materie trattate, composto dall’Assessore regionale della difesa dell’ambiente con competenze anche sulla pesca e protezione civile, dall’Assessore regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica e dal Direttore marittimo della Sardegna al fine della definizione dei rispettivi ruoli e responsabilità delle azioni e delle risorse umane, finanziarie e strumentali da attivare e della valutazione dei risultati raggiunti.

Art. 6
Modifiche e/o integrazioni
La Regione Sardegna e la Direzione marittima della Sardegna si impegnano ad apportare, previo consensuale accordo, le modifiche e le integrazioni del presente Protocollo d’ intesa, che dovessero rendersi necessarie per migliorare le forme di collaborazione o per estendere gli ambiti di intervento a seguito di sopravvenute esigenze.
Il presente Protocollo di intesa, redatto in carta semplice su tre esemplari, viene letto, accettato e sottoscritto dalle parti contraenti.

Regione Autonoma della Sardegna
Il Presidente
Renato Soru Direzione Marittima della Sardegna
Il Direttore Marittimo
Domenico De Michele

venerdì, maggio 19, 2006

MILIA sulla Consulta per il nuovo Statuto regionale

PROVINCIA DI CAGLIARI
PROVINCIA DE CASTEDDU

COMUNICATO STAMPA


MILIA sulla Consulta per il nuovo Statuto regionale:


“Forse con la presidenza Cossiga si potrebbe

riaprire il dialogo con l’opposizione“



“L’approvazione della legge che istituisce la Consulta per il nuovo statuto regionale rappresenta un risultato rilevante, ma soprattutto un’occasione storica per l’intera Isola. Se sapremo accettare la sfida con il futuro e trovare le forme e gli strumenti più idonei per una partecipata e ampia discussione, riusciremo finalmente a superare l’insufficienza di autonomia della politica sarda”. Così il presidente del Consiglio delle Autonomie Locali, Graziano Milia, sull’importante provvedimento licenziato ieri dal Consiglio regionale.

Milia, che non nasconde il rammarico per il mancato accoglimento della proposta avanzata all’unanimità, nei mesi scorsi, dal Consiglio delle Autonomie Locali (massimo organo di rappresentanza istituzionale, autonoma ed unitaria dei 377 Comuni isolani e delle 8 Province), ovvero sulle modalità di designazione dei propri rappresentanti all’interno della Consulta (con una riduzione da 16 ad 8 ed una diretta designazione) si dice comunque certo di poter recuperare questo piccolo dissenso contribuendo fattivamente ai lavori della Consulta, in cui saranno sviluppate e argomentate le ragioni del mondo delle autonomie locali, che già da oggi si sente unitariamente impegnato.

“Mi auguro – ha detto Milia – che venga assunta da tutti, con il giusto senso di responsabilità e capacità – la consapevolezza che se non possiamo essere che noi a scrivere le nostre regole, se non possiamo essere che noi a risolvere i nostri problemi, allora non possiamo più nemmeno demandare ad altri la responsabilità di quello che facciamo. In tal senso, nella stesura del nuovo statuto occorre uno sforzo culturale per acquisire consapevolezza della propria identità: capire quello che si è stati, quello che si è, ma soprattutto quello che si vuole diventare” .

Per il presidente Milia occorre “uno sforzo teso a rafforzare i poteri locali, come garanzia per la democrazia, senza per questo chiudersi all’esterno, ma anzi aprendosi oltre i nostri confini, ai processi di cambiamento, di mutazione, che stanno trasformando il mondo e che bisogna cercare di governare”.

“Questo nuovo percorso istituzionale – ha aggiunto Milia – non può vedere assenti le forze politiche di minoranza, che ieri hanno deciso di non partecipare all’approvazione della legge. Per questo motivo mi appello alle loro responsabilità e chiedo di lasciarsi alle spalle ogni polemica per mobilitare invece tutte le loro intelligenze, per un comune sforzo e confronto. L’ipotesi di una presidenza Cossiga della Consulta per il nuovo Statuto ci vede quindi favorevoli ed anzi può rappresentare quel segnale di apertura della maggioranza verso l’opposizione”.

Milia si dice certo che una presidenza di così alto profilo “assommerebbe in se due caratteristiche uniche per la Sardegna e l’Europa, che sono sempre state riconosciute al senatore Cossiga, quella della competenza tecnica e scientifica sulle materie costituzionali e quella di grande sensibilità ed esperienza politica”.

“Con una presidenza Cossiga – ha concluso Milia – potremo quindi contare su una indiscutibile caratura politica ed istituzionale della Consulta, su una figura superpartes in grado di raccogliere e mettere a frutto anche il contributo delle forze politiche di minoranza”



Cagliari, 19 maggio 2006

giovedì, maggio 18, 2006

DICHIARAZIONE DELLA SEGRETARIA GENERALE DELLA UIL SARDA

COMUNICATO STAMPA



DICHIARAZIONE DELLA SEGRETARIA GENERALE DELLA UIL SARDA
FRANCESCA TICCA

Ritengo di grande importanza l’avvio del dibattito in Consiglio regionale sul progetto di legge che prevede l’istituzione della Consulta per la riforma dello Statuto sardo.
Dopo anni di estenuanti e improduttivi confronti tra le parti politiche, oggi si prefigura la nascita di un organo istituzionale che, finalmente, consentirà alla Sardegna di affermare con maggior forza i principi autonomistici, adeguando la nostra Carta statutaria alle radicali trasformazioni che in quest’ultimo decennio hanno inciso profondamente non solo sulle istituzioni nazionali, ma anche sull’assetto sociale della nostra regione e dell’intero Paese.
Rendere coerente lo Statuto all’attuale realtà significa riaffermare i principi autonomistici che da poco meno di un secolo sono alla base delle tensioni ideali del nostro popolo, e creare un efficace strumento capace di far valere quei diritti che oggi ci sono negati.
Ritengo però che il compito della Consulta non potrà essere limitato alla stesura di uno Statuto riformato che tende a ottenere maggior potere istituzionale e legislativo, ma dovrà anche affermare il diritto della Sardegna ad avere risorse sufficienti per sviluppare e governare il proprio processo di crescita autonomistica.
A questo risultato si potrà giungere solo se l’azione di riforma verrà sostenuto da una vasta partecipazione popolare, che dovrà essere ricercata attraverso un’intensa campagna di comunicazione e di sensibilizzazione, con assemblee pubbliche diffuse capillarmente sull’intero territorio.



Francesca Ticca
Segretaria generale Uil Sardegna

Comunicato stampa Associazione Regionale Imprese Produzione Cinetelevisiva

Associazione Regionale Imprese Produzione Cinetelevisiva
(presso Artevideo – località Is Coras C/P 330 09028 Sestu (CA) - tel. 070/260628)

Cagliari 18 maggio 2006
COMUNICATO STAMPA

Si è recentemente costituita a Cagliari l’Associazione Regionale delle Imprese di Produzione Cinetelevisiva denominata anche Associazione IPC Sardegna.
Le principali aziende del settore che operano nell’isola, hanno dato vita a questa Associazione per dare impulso allo sviluppo della produzione cinematografica e televisiva come risorsa economica potenzialmente capace di produrre sviluppo per la Sardegna.
In un momento così importante per la nostra regione, dove tutti si devono sentire responsabili e soggetti attivi nell’individuare nuovi modelli di sviluppo, i promotori di questa iniziativa, che in quanto imprese nella loro quotidianità devono rispondere alle esigenze di sviluppo e affermazione nel mercato, hanno inteso compiere uno sforzo concreto e guardare anche agli interessi generali e alle implicazioni sociali che possono derivare dallo sviluppo della propria attività economica.

Il Cinema, l’industria dell’audiovisivo e più in generale il settore dei media e della comunicazione possono rappresentare per la Sardegna una seria opportunità. Fino ad oggi nel dibattito su questi importanti temi le imprese sono state poco presenti e questo senza dubbio è avvenuto anche per una scarsa propensione politico-sociale delle imprese.
La costituzione di questo nuovo soggetto plurale, rappresentativo del punto di vista dell’impresa e capace di guardare al sistema piuttosto che al singolo, ci è parsa la formula più giusta per incanalare una parte del nostro impegno professionale.
L’associazione come luogo di incontro e confronto fra interessi collettivi e del singolo in una prospettiva di crescita culturale e sviluppo economico allargato alla collettività.

Attualmente lo sviluppo economico e culturale del Cinema e dell’industria dell’audiovisivo sta interessando e animando il dibattito politico, fuori e dentro le istituzioni, questo anche grazie alla spinta e all’impegno degli operatori del settore. Autori, registi, operatori culturali e associazioni hanno dato fino ad ora un contributo determinante affinché le istituzioni regionali (Giunta e Consiglio) si interessassero a questi temi. Da oggi, attraverso propri rappresentanti, anche le imprese della produzione cinetelevisiva sentono il dovere di impegnarsi affinché gli interventi istituzionali (leggi di settore, delibere dell’esecutivo ecc.) possano avvantaggiarsi del contributo di idee e di analisi di chi opera come soggetto economico, professionalmente in questo mercato e ne conosce quindi a fondo il funzionamento e le esigenze.
Una legge sul Cinema, una Film Commission Regionale, possono davvero rappresentare delle grosse opportunità se si instaurerà un proficuo rapporto di collaborazione e di complicità tra le istituzioni e tutti gli operatori culturali ed economici per lo sviluppo della Sardegna.

Alcune note informative:
L’Associazione regionale delle Imprese della Produzione Cinetelevisiva è stata promossa e costituita dalle seguenti società:
Artevideo – Cagliari, Bencast – Sassari, Ennelle Eventi & Produzioni TV – Cagliari, Movie People - Milano/Cagliari, Videogum - Cagliari.
L’associazione senza scopo di lucro è un soggetto aperto alla partecipazione di tutte le imprese e operatori professionali della produzione cinetelevisiva della Sardegna.
Le imprese che compongono l’Associazione sono le principali aziende che operano nella nostra regione, nello specifico settore della produzione cinetelevisiva e dei servizi connessi; sono tutte operanti nel mercato nazionale e internazionale e hanno fra i loro clienti i principali operatori e broadcasters.
Nel loro insieme queste aziende rappresentano una realtà economica importante che garantisce occupazione stabile per più di 25 addetti a tempo indeterminato, a cui si devono aggiungere un consistente numero di collaboratori esterni che abitualmente sono coinvolti per singoli servizi o progetti di produzione. Complessivamente queste imprese sviluppano un fatturato annuo di circa 3 milioni di euro.
L’associazione è rappresentata da un consiglio direttivo composto da: Marco Benoni – presidente, Carlo Dessì - vicepresidente e Roberto De Martis - consigliere.