venerdì, luglio 06, 2007

Ribellione giusta al Poetto di Cagliari

Chi si ribella gode, è il nostro motto. Bisogna ammettere però che c'è ribellione e ribellione. Ad esempio c'è una ribellione e un godimento individualista e reazionario, che non ci piace molto; e c'è una ribellione popolare e spontanea, dal godimento "socialista", che ci piace di più.
La rivolta fiscale del nord Italia è una forma della prima specie, fatta in buona parte da chi considera la comunità una vacca da spremere senza mai dargli da mangiare.
La ribellione cui abbiamo assistito l'altro giorno al Poetto di Cagliari è una forma della seconda specie.
Per comprendere appieno la storia, è necessario spiegare che il tratto di spiaggia che va da Marina Piccola all'Ospedale Marino rappresenta una delle memorie collettive più ricche della città. Per tantissimi decenni si sono succedute generazioni di cagliaritani che tra giugno e settembre hanno aperto i loro ombrelloni in riva al mare, con le spiaggiole e le sdraio, i panini e la pastasciutta, sa sindria e is pressius. Sulla spiaggia libera, al netto degli stabilimenti balneari storici. Stabilimenti che sono un pugno nell'occhio e che a nostro avviso andrebbero abbattuti per salvaguardare meglio la spiaggia. Ma questo è un altro discorso.
Il fatto è che da qualche anno a questa parte è avvenuta un'occupazione silenziosa della spiaggia libera da parte di alcuni soggetti economici che hanno ulteriormente "recintato" il Poetto, obbligando la gente ad accalcarsi negli spazi rimasti o a pagarsi ombrellone e lettino.
Quest'anno è stato autorizzato un altro stabilimento, tra il Lido e la quarta fermata, che si estende dalla strada (dove è stato tirato sù una specie di casermone con bar, ristorante e piazzola) fino quasi al mare, con tutto lo spazio chiuso perchè hanno fatto anche campi di beach volley e beach tennis. Una struttura in legno gigantesca e orribile, pessima imitazione dello stile casotto.
Allora: di norma è vietato piantare ombrelloni "privati" nei 5 metri demaniali, in riva al mare, e i titolari di questi stabilimenti sono molto attenti a far rispettare il regolamento per tutelare le prime file dei loro abbonati. Ma l'altro giorno un gruppo di cittadini ha deciso che quando è troppo è troppo. La calca della spiaggia libera era eccessiva e si sono quindi piazzati proprio lì, davanti al nuovo, ultimo arrivato stabilimento e hanno battibeccato con il personale che li invitava a sloggiare. "Sono 40 anni che veniamo qui e non ci facciamo espropriare da voi", "Non vedete che non c'è posto libero?" "Vi siete presi un ettaro di spiaggia, e noi dove andiamo?".
Neppure i vigili, prontamente intervenuti a difesa della concessione, sono riusciti a farli "ragionare". "Dovete rispettare le norme della Capitaneria di Porto". Niente da fare. Sono rimasti lì. E hanno fatto scuola perchè adesso, all'altezza della quarta fermata, proprio davanti a questi prepotenti del profitto (non sono neppure organizzati in cooperativa, come gli altri stabilimenti volanti) gli ombrelloni stanno anche in riva al mare.
Questa ribellione ci è piacuta. Innanzitutto perchè fatta da un gruppo di "famiglie" del ceto medio-basso; poi perchè pone dei problemi intorno all'utilizzo "privatistico-irrazionale" della spiaggia, voluto dagli amministratori pubblici. Non sarà il massimo del socialismo ma è positivo, secondo noi, che qualcuno si sia ribellato all'esproprio della ex "spiaggia dei centomila".
Certo, sul Poetto ci sono tanti altri discorsi da fare, e molti argomenti sono a favore di questi stabilimenti (sono amovibili, tengono pulito l'arenile, forniscno servizi per la sicurezza dei bagni a mare, ecc.), tanto che siamo del parere che andrebbero moltiplicati, ma dovrebbero essere gratis, pagati dal Comune, perchè non tutti possono permettersi di pagare per andare al mare. Soprattutto a Cagliari, soprattutto al Poetto.
Chi si ribella gode. E noi con lui.

venerdì, maggio 04, 2007

Little Italy in Danimarca

PROVINCIA DI CAGLIARI
PROVINCIA DE CASTEDDU

COMUNICATO STAMPA

Obiettivo Danimarca:

nasce Little Italy




La crescente attenzione del mercato verso prodotti agroalimentari a coltivazione biologica, il rinnovato gradimento dei consumatori verso produzioni tradizionali rispetto a quelle standardizzate, rappresentano le linee guida di un progetto di cooperazione internazionale con la Danimarca, che ha mosso oggi a Cagliari i primi passi.


Il progetto, voluto dall’amministrazione provinciale di Cagliari e denominato Little Italy, sarà definito nelle prossime settimane attraverso il coinvolgimento di Focus Europe e Antenna Europe Direct, ma già da oggi ha trovato la necessaria condivisione e partecipazione di Henning Holmen Moler, Console onorario d'Italia in Aarhus, seconda città danese e importante realtà commerciale, nonché centro di innovazione a livello nazionale.


Il principale obiettivo del progetto (che vedrebbe la Provincia di Cagliari come soggetto capofila) è quello di ampliare lo spazio commerciale per i prodotti agroalimentari sardi e, più in generale italiani, promuovendo con questo l’intero sistema territoriale locale, anche dal punto di vista culturale e turistico. In estrema sintesi, il progetto intende realizzare un evento promozionale strutturato su più livelli presso la città danese di Aarhus.


La prima fase del progetto prevede la definizione di un bando di selezione che individuerà i produttori, associati in consorzi, che parteciperanno all’evento in Danimarca, con la necessaria selezione dei prodotti da promuoversi. I produttori che saranno così selezionati dovranno quindi impegnarsi a rappresentare il territorio di provenienza e a promuovere stabilmente in Danimarca i prodotti tipici della propria terra.


La seconda fase del progetto prevede la realizzazione di un evento pubblico (durata una settimana) che avrà luogo nella cittadina danese. La manifestazione vedrà la presenza di consorzi o associazioni di imprese appartenenti alla filiera agro-alimentare della Sardegna (ma non solo), in rappresentanza dei territori e province che saranno scelte come partner del progetto.


In tal senso il progetto prevede il coinvolgimento di 10 amministrazioni provinciali italiane ed ogni provincia dovrà impegnarsi ad assicurare l’organizzazione di almeno un evento culturale (musica, danza, teatro, etc) e/o di dimostrazione di lavorazione artistica di prodotti artigianali tipici (tessuti, vetro, ceramica, legno, etc) attraverso il sostegno a giovani artisti ed artigiani. Tali momenti “collaterali” espliciteranno il legame esistente tra produzioni agroalimentari tipiche e identità culturali locali, quali espressioni su livelli differenti di unica matrice identitaria.


La manifestazione verrà coordinata dall’Associazione FocusEurope in collaborazione con il Consolato Italiano in Danimarca. La manifestazione si concluderà con una workshop a cui parteciperanno produttori italiani e danesi per fare un bilancio dell’evento e definire le future collaborazioni.


Il progetto e, soprattutto, l’evento, avranno una sostanziale ricaduta economico-culturale sui territori interessati (Italia e Danimarca) grazie alla pubblicizzazione dei prodotti che verrà fatta su diversi piani di informazione: stampa locale danese, stampa locale italiana, sito internet, brochures divulgative e locandine pubblicitarie, TV locali.


Cagliari, 3 maggio 2007

mercoledì, aprile 18, 2007

La vertenza Eridiana-Sadam approda in Parlamento

PROVINCIA DI CAGLIARI

PROVINCIA DE CASTEDDU

COMUNICATO STAMPA

La vertenza Eridiana-Sadam

approda al Parlamento



Milia: dalla parte dei lavoratori

per ribadire l’assoluta contrarietà

a insostenibili delocalizzazioni



A pochi giorni dal vertice cagliaritano sulla vertenza Eridiana-Sadam di Villasor, promosso dalla Provincia di Cagliari con i lavoratori dell’azienda, le organizzazioni sindacali e degli agricoltori, e le rappresentanze istituzionali del territorio, arriva oggi la notizia della presentazione di una interrogazione parlamentare (a prima firma Emanuele Sanna, L’Ulivo) che chiede al ministro delle Politiche agricole e forestali “se non ritenga di dover richiamare l’Azienda (Eridiana-Sadam) e le istituzioni territoriali interessate al pieno rispetto degli impegni assunti per salvaguardare i livelli occupativi e le attività agro-industriali ed energetiche nei territori storicamente interessati dalla coltivazione della barbabietola evitando delocalizzazioni produttive assolutamente insostenibili sul piano economico e sociale” (si allega testo integrale).

Il presidente della Provincia di Cagliari, Graziano Milia, nell’apprendere favorevolmente dell’interrogazione parlamentare degli On.li Emanuele Sanna, Amalia Schirru e Paolo Fadda, ha dichiarato: “L’economicità di un intervento di riconversione dell’azienda, che abbia ricadute dirette, compatibili e sociali sull’agricoltura sarda, le ragioni del diritto, quelle del buonsenso e, non ultime, quelle dei lavoratori, esigono che ogni tentativo dirigista di delocalizzare gli impianti dell’Eridiana nel porto industriale di Oristano venga sospeso”.

Il presidente Milia, nel ringraziare i parlamentari dell’Ulivo per avere mantenuto l’impegno a farsi carico della problematica, ha aggiunto: “A questo punto spero che al Ministero, alla Regione Sardegna e all’Azienda Eridiana-Sadam appaia evidente la necessità di convocare al più presto un nuovo e più collegiale tavolo istituzionale tra tutte le parti interessate, un’occasione quindi di leale confronto e di condivisa decisione finale, che oltretutto porrebbe fine al deleterio contrasto che è venuto a crearsi tra le legittime preoccupazioni dei lavoratori dell’ex stabilimento di Villasor e le aspettative di lavoro dei disoccupati di Oristano”.


Cagliari, 17 aprile 2007

venerdì, aprile 13, 2007

Vertenza Eridiana-Sadam di Villasor

COMUNICATO STAMPA Provincia di Cagliari

Vertenza Eridiana-Sadam di Villasor:

mobilitazione corale contro la delocalizzazione

degli impianti nella Provincia di Oristano


“Sia ben chiaro che la delocalizzazione in Provincia di Oristano dell’ex stabilimento Eridiana-Sadam di Villasor e quindi, loro malgrado, dei lavoratori, vede l’assoluta contrarietà della Provincia di Cagliari”. Così il presidente della Provincia di Cagliari, Graziano Milia, ha avviato quest’oggi l’incontro sulla problematica della riconversione industriale dell’ex zuccherificio, convocato a Palazzo Regio con le rappresentanze sindacali, le organizzazioni degli agricoltori, i lavoratori dello stabilimento di Villasor e i rappresentanti politici e istituzionali del territorio. Grandi assenti – e per questo più volte criticati – il presidente della Regione, gli assessori regionali all’industria e all’agricoltura, il rappresentante dell’azienda Eridiana-Sadam, Ennio Ciliberti.


“Sappiamo già – ha aggiunto Milia – che la prospettata nuova configurazione dello stabilimento Eridiana-Sadam prefigura una produzione a ciclo continuo, con lavorazioni che sono definite usuranti. Quindi, e tanto più, non si può chiedere ai lavoratori di farsi ulteriormente carico dello spostamento di 160 km giornalieri per raggiungere il posto di lavoro”.


Per la Provincia di Cagliari, infatti, il nuovo stabilimento deve vedere la luce “nel posto più vicino a quello originario di produzione” e, in tal senso, “l’area industriale di Cagliari è quella più indicata per ospitare gli impianti”.


Per Milia “è stato un errore mandare avanti delle interlocuzioni che prefiguravano precisi scenari e decisioni di vertice senza un preventivo confronto con tutte le istituzioni territoriali, le parti sociali e i lavoratori: così facendo si sono create un deleterio contrasto tra le legittime preoccupazioni dei lavoratori dello stabilimento di Villasor e le aspettative di lavoro dei disoccupati di Oristano”.


Salvatore Malloci, segretario regionale della FLAI CGIL, nel criticare l’assenza della Regione dalla riunione odierna, ha voluto mandare all’esecutivo regionale un preciso segnale: “Si deve partire, prima di tutto, dai lavoratori, non dalla delocalizzazione e dal piano industriale”.


Nicola Tradori, esponente della RSU aziendale, dopo avere anch’esso criticato l’assenza e il disinteresse della Regione, ha detto che “si parla tanto di riconversione ma si tratta in verità della sconfitta della Regione: è chiaro a tutti che prima avevamo uno stabilimento che si occupava di trasformare produzioni agricole locali, mentre in futuro avremo un’industria che dovrà trasformare prodotti importati in Sardegna dall’estero”. Sempre Tradori ha aggiunto: “Un bel giorno qualcuno si è svegliato e ha deciso, a nostra insaputa, che la riconversione delle produzioni doveva partire dalla delocalizzazione degli impianti e non dai lavoratori. Ed abbiamo finalmente capito che dobbiamo questa scelta al responsabile regionale dell’agricoltura: che fine ha fatto il Consiglio regionale ? che fine ha fatto la Commissione regionale competente ? subiscono le decisioni di altri e non fanno nulla ?”.


Paolo De Cesare, direttore della Coldiretti di Cagliari, ha detto che “appare fin troppo chiaro come la decisione di ubicare i nuovi impianti a bocca di porto di Oristano prefigura di fatto – per decisione della Regione - che la materia prima arriverà necessariamente da fuori, ovvero – per quanto sappiamo – dal Sud America”. Per Coldiretti, “se si vuole davvero il bene della Sardegna, bisogna invece pensare all’utilizzazione di materie prime prodotte in Sardegna e, con questo, al fatto che ciò presuppone un accordo con i lavoratori agricoli, perché la loro attività sia remunerativa”.


Efisio Pisanu, sindaco di Villasor, ha lamentato il fatto di avere appreso della delocalizzazione degli impianti in Oristano soltanto nella riunione ministeriale del marzo scorso e – dichiarandosi in tal senso contrario - ha richiamato l’attenzione di tutti sulla possibilità di studiare l’utilizzo, seppur parziale, dei vecchi impianti di Villasor per altre produzioni.


Piergiorgio Massidda, parlamentare di Forza Italia, anch’esso contrario alla delocalizzazione degli impianti a Oristano, dopo avere criticato il sistema agricolo sardo che la Regione intende attuare nell’isola, su basi ancora assistenzialiste, ha raccontato di essere stato informato telefonicamente dall’ambasciatore delle Filippine che la materia prima che verrà utilizzata nei nuovi impianti sarà l’olio di palma e che la stessa arriverà non dal Sud America, bensì dalle Filippine.


Emanuele Sanna, parlamentare dell’Ulivo, dopo avere lamentato l’assenza della Regione, “interlocutore principale”, ha criticato la politica agricola europea “che sta sempre più cancellando le nostre produzioni locali” e si è detto convinto “che in Sardegna c’è ancora spazio per un settore agroalimentare di qualità”. Anche Sanna si è espresso contro l’ubicazione nella provincia di Oristano del nuovo impianto Eridiana-Sadam.


Amalia Schirru, parlamentare dell’Ulivo ha detto che “occorre battersi non solo contro la delocalizzazione dello stabilimento a Oristano, ma anche contro l’importazione della materia prima, contro una riconversione che non abbia ricadute dirette sull’agricoltura sarda”.


Maria Grazia Calligaris, consigliere regionale dei socialisti democratici italiani, ha ripercorso la storia e le vicissitudini dell’ex zuccherificio di Villasor, ricordando che le aziende, “quando si è trattato di prendere e di godere delle agevolazioni e dei benefici non si sono mai tirate indietro e quindi oggi non possono non fare la loro parte, restituendo al territorio quello che hanno preso fino a ieri”.


Enzo Costa, segretario territoriale della CGIL, ha lanciato precise critiche all’esecutivo regionale ed ha spiegato che la decisione di ubicare il nuovo stabilimento della Eridiana-Sadam nasce da un “tavolo di concertazione in cui erano rappresentati solo alcune amministrazioni, ad esempio quella di Oristano, ma dove mancavano tante altre che avrebbero dovuto essere coinvolte e informate”. “Il fatto è - ha aggiunto Costa – che non esiste ancora un Piano industriale, che lo stabilimento è chiuso, che i lavoratori sono in cassa integrazione e che le coltivazioni agricole di barbabietola sono state dimesse senza che venissero sostituite da altre”. “Le cose – ha concluso Costa – non possono rimanere ancora nascoste nelle segrete stanze della Regione e del Ministero”.


In chiusura dei lavori il Presidente Graziano Milia ha ricordato che “occorre tenere conto degli scenari che abbiamo dinanzi, evitando di avere un approccio che metta sul tavolo troppe cose e problematiche insieme: se occorre essere realisti, riconoscendo l’impossibilità materiale di riavviare la produzione dello zucchero a Villasor, non per questo non dobbiamo però pretendere il rispetto della legge 81/2006, che parla di riconversione dei siti industriali e non di delocalizzazione degli stabilimenti e dei lavoratori”.


“Peraltro – ha aggiunto Milia – nel leggere il verbale dell’incontro tenutosi tra la Regione e i rappresentanti dell’Eridiana-Sadam, abbiamo scoperto che il Piano industriale è stato già anticipato alla Regione, un Piano che noi non conosciamo ancora e che forse contiene qualcosa di più, visto che ci risultano allegate delle precise planimetrie”.


L’incontro è stato aggiornato con la decisione di trasmettere alla Regione Sardegna le risultanze dei lavori odierni e quindi con la convocazione, da oggi ai prossimi 15 giorni, di una nuova occasione di confronto che dovrà avere luogo con la presenza non solo della Regione ma anche dei rappresentanti aziendali della Eridiana-Sadam, con una mobilitazione dei parlamentari sardi che si sono già da oggi dichiarati disponibili a presentare una precisa ed urgente interrogazione parlamentare.


Cagliari, 11 aprile 2007

Ufficio Stampa

martedì, aprile 10, 2007

Vertenza Sadam di Villasor

PROVINCIA DI CAGLIARI

PROVINCIA DE CASTEDDU


COMUNICATO STAMPA


Vertenza Sadam di Villasor

Una soluzione condivisa e una diversa localizzazione

per il progetto di riconversione dello zuccherificio


Si terrà domani a Cagliari, 11 aprile (Palazzo Regio, ore 10.00) il vertice istituzionale convocato dal Presidente della Provincia di Cagliari per definire una strategia comune tra tutti i soggetti interessati alle problematiche dello zuccherificio SADAM di Villasor.


ll primo passo operativo verso la riconversione degli zuccherifici è stato fatto il 31 gennaio, quando il Comitato interministeriale dello zucchero ha approvato il piano generale di riconversione dei 13 siti etilico-saccariferi italiani in dismissione, a seguito alla riforma europea dello zucchero. La direttiva stabilisce infatti che, salvo motivate eccezioni, i progetti dovranno essere presentati e avviati entro i prossimi mesi, corredati da un accordo di riconversione produttiva con la Regione competente per territorio e con tutte le parti interessate, le amministrazioni e i soggetti pubblici coinvolti.


Come si ricorderà, nell’ultimo tavolo di concertazione, tenutosi a fine marzo a Roma, presso il Ministero delle Risorse e Politiche agricole, è stato presentato il progetto della filiera bioenergetica legata alla riconversione dello zuccherificio di Villasor, (da cui dovrebbe nascere una centrale per la produzione di energia da biomasse), senza che però si raggiungesse un condiviso accordo sull’ipotesi prospettata dalla Regione Sardegna di spostare la sede dei nuovi impianti nell’area del porto industriale di Oristano. Tale ipotesi ha registrato la contrarietà dei lavoratori dello stabilimento, delle organizzazioni sindacali, del sindaco di Villasor e dello stesso Presidente della Provincia di Cagliari, Graziano Milia.


All’incontro di domani, cui sono stati invitati il sindaco di Villasor, il presidente della Regione Sardegna, gli assessori regionali dell’Industria e dell’Agricoltura, prenderanno parte - oltre ai lavoratori dell'ex zuccherificio - anche le rappresentanze sindacali nazionali e regiuonali di categoria (FAI CISL, FLAI CGIL, UILA UIL), il Presidente della V^ Commissione del Consiglio regionale, Coldiretti, Confagricoltura, Confederazione italiana agricoltori (CIA), Copagri, Confcooperative Sardegna, Lega delle cooperative, Associazione generale Coop italiane (AGCI) e l’Eridiana Sadam SpA.


In questa sede si valuterà pertanto l’ipotesi di riconversione dello stabilimento di Villasor alla luce di diverse, più opportune e congrue ipotesi di localizzazione rispetto a quella prospettata nella Provincia di Oristano dalla Regione Sardegna.


Cagliari, 10 aprile 2007

giovedì, marzo 22, 2007

La Sardegna apre le porte ai rifugiati

COMUNICATO STAMPA



La Sardegna apre finalmente le porte ai rifugiati

A Cagliari il primo Centro di soccorso e accoglienza



Nasce a Cagliari il primo Centro di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati della Sardegna. L’iniziativa verrà illustrata nei dettagli domani, 23 marzo 2007 (Palazzo Regio, Sala del Consiglio provinciale, ore 10.45) alla presenza del Sottosegretario di Stato all'Interno, Marcella Lucidi (delegato per le materie dell'immigrazione e dell'asilo), del Presidente della Provincia di Cagliari, Graziano Milia, dell’assessore provinciale ai Servizi sociali, Angela Quaquero e di don Ettore Cannavera.



Il Centro cagliaritano, ora inserito all’interno del Programma Nazionale Asilo (PNA) è stato segretamente realizzato (per evidenti ragioni) dalla Provincia di Cagliari ricorrendo alla legge 189/2002 in materia di immigrazione e asilo, grazie anche ad uno specifico bando pubblico nazionale di finanziamento che ha premiato la proposta progettuale presentata dall’esecutivo provinciale guidato da Graziano Milia (2° posto assoluto in graduatoria) e con un contributo finanziario di 150mila euro, pari a 2/3 del costo complessivo del progetto. La Sardegna, a ieri, era l’unica regione italiana a non essersi ancora dotata di questo strumento di soccorso, assistenza, accoglienza e integrazione.



La gestione operativa del Centro di accoglienza (l’inserimento degli ospiti avverrà su segnalazione ed invio da parte delle Prefetture tramite il Servizio Centrale del Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati) sarà formalizzata domani durante la conferenza stampa (anche con l’intitolazione del Centro ad una importante figura politica sarda) con l’affidamento alla Cooperativa “Cooperazione e confronto” di don Ettore Cannavera, organizzazione che vanta una esperienza pregressa nella gestione di strutture di accoglienza per minori e giovani adulti italiani e stranieri provenienti dal circuito carcerario.



Grazie a questa nuova realtà, che prevede l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati appartenenti a categorie vulnerabili (ed in particolare donne sole con minori e uomini singoli vittime di tortura), sarà possibile consentire ai beneficiari di sperimentare graduali percorsi di autonomia ricreando all’interno della struttura condizioni di vita il più possibile “normali”.



“Questa iniziativa – ha detto il presidente Milia – è la dimostrazione più concreta di come ci stiamo muovendo nel quotidiano amministrare la cosa pubblica. Si possono quindi raggiungere importanti e qualificanti traguardi di integrazione strutturale dei più bisognosi d’aiuto, un’assistenza sociale che sappia trasformarsi in realtà, senza per questo rincorrere le quotidiane emergenze o i riflettori di una effimera notorietà, ma lavorando piuttosto sottotraccia, con fatica e passione”.



“Se la Regione è centralista e i Comuni sono impegnati in problemi concreti – ha detto Milia – la Provincia di Cagliari ha cercato di assumere un compito determinante: diventare un ente forte, responsabile, partecipato e credibile, raccogliendo prima di tutto le istanze del territorio, per poi tradurle in azioni concrete. Non è più ammissibile l’ignoranza, la lontananza dai problemi reali e quotidiani dei più bisognosi e, soprattutto, l’incapacità. Chi lavora per il bene pubblico non può più permettersele”.



Il progetto si avvarrà anche della collaborazione dell’Asl n. 8 di Cagliari (per quanto riguarda l’assistenza medica e quella sanitaria specifica con riferimento alla rilevazione e certificazione di eventuali casi di tortura e/o violenze), dell’Associazione EMDR Italia (per il supporto e la consulenza scientifica in relazione alle diverse patologie riconducibili al Disturbo Post- Traumatico), del Centro territoriale permanente coordinato dall’Istituto Secondario di 1° grado “G. Manno - “F. Alziator” di Cagliari - (per la realizzazione dei corsi di lingua italiana).



Cagliari, 22 marzo 2007

sabato, marzo 10, 2007

Ti regalerò una rosa...A Cagliari, dal 10 al 14 marzo

La salute mentale in un percorso formativo on-line

E’ quanto si propongono un gruppo di ricercatori e psichiatri dell’area mediterranea e dell’Africa che si riuniranno a Cagliari dal 10 al 14 Marzo. Il progetto è coordinato dal Professor Mauro Carta e dalla drssa Carolina Hardoy del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università di Cagliari ed è stato finanziato dalla Presidenza della Regione Sardegna con risorse comunitarie (Legge Regionale 19/06). Ne fanno parte la professoressa Vera Danes, psichiatra dell’Università di Sarajevo (Bosnia Erzegovina) esperta in disturbi post traumatici da stress, il professor Elia Karam dell’Università di Beirut (Libano) psichiatra che si occupa prevalentemente di epidemiologia delle tossicodipendenze, la professoressa Khadija Mchichialami, psichiatra del Centro Collaborativo OMS dell’Università di Casablanca (Marocco), il Professor Oye Gureje del Centro Collaborativo OMS dell’Università di Ibadan (Nigeria), il professor Giuseppe dell’Acqua responsabile del dipartimento di Salute Mentale di Trieste e dell’annesso Centro Collaborativo OMS, la signora Gisella Trincas rappresentante della associazione italiana per la riforma psichiatrica (ASARP). Per l’Università di Cagliari partecipano al progetto il centro e-learning d’ateneo (Prof Aymerich, dottoressa Atzei) e il Dipartimento di Scienze Mediche (Prof Vitulano, dottor Casanova) e Ivano Todde.

L’obiettivo è quello di creare un supporto formativo sui concetti più avanzati inerenti la cura dei disturbi psichici. Il sito si propone anche di “raccontare” ciò che accade in salute mentale in diversi contesti dell’area mediterranea.

Bisogna considerare che la salute mentale rappresenta una area critica in numerosi paesi: quattro delle dieci maggiori cause di disabilità nel mondo sono psichiatriche (i disturbi dell’umore, la schizofrenia, il deficit intellettivo, il consumo di droghe). I paesi in via di sviluppo mancano di risorse per fare fronte a questa emergenza, vengono così rallentati i processi di deistituzionalizzazione, ovverosia la chiusura degli ospedali psichiatrici e la messa in atto di reti di cura in salute mentale “nel territorio”.

La conseguenza è la pratica di cure obsolete e, talvolta, il non rispetto degli stessi diritti umani dei sofferenti. Questi problemi interessano molti paesi dell’area mediterranea e dell’Africa. Infatti l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha individuato come bisogni prioritari nell’area mediterranea: il ripristino dei diritti umani per i pazienti psichiatrici, la deistituzionalizzazione ed il consolidamento delle cure “comunitarie” (erogate cioè nel territori e non nell’ospedale psichiatrico), l’abuso di sostanze e la ricostruzione delle reti di cura nelle situazioni post-belliche (B.Saraceno East Mediterr Healt J 7:332-5, 2001. Secondo l’Eastern Mediterranean Office della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (C Ghosh et al. J R Soc Health 124: 268-70, 2004), in 22 paesi dell’area mediterranea allargata, l’85% della popolazione soffre di disturbi psichiatrici successivi a conflitti bellici e/o guerre civili. Fra i paesi interessati la Bosnia, il Libano, l’Algeria, la Nigeria e le aree saheliane del Marocco.

Data la scarsità di risorse disponibili è stato segnalato (McKenzie K, Patel V, Araya R. Learning from low income countries: mental health.BMJ. 2004 Nov 13;329(7475):1138-40) che le migliori strategie nello sviluppo delle reti di cura in salute mentale nei paesi in via di sviluppo, si possono avvalere di: 1) coinvolgere il personale periferico della primary care (medici di medicina generale, infermieri del territorio, operatori sociali) 2) utilizzare le specifiche risorse che il contesto offre (reti di cure tradizionali, reti di supporto informale ecc).

“La salute mentale dopo l’ospedale psichiatrico: un modulo formativo integrato per il personale della primary care”, è un progetto che si iscrive in questo contesto e risponde a parte di questi bisogni.

Il personale della primary care opera spesso a distanze ragguardevoli o comunque in situazioni di difficile accesso rispetto ai centri di formazione universitaria. Inoltre, la necessità di sviluppare specifici modelli, che si servano delle risorse disponibili nei differenti contesti, pone il problema dell’impiego di moduli flessibili che in un contesto di “costruttivismo sociale” offrano al “discente-interlocutore” la condizione di un ruolo attivo nell’interazione formativa. I vari interlocutori potranno cioè diventare parte attiva del processo formativa contribuendo con materiali che “raccontano” le specificità delle situazioni in cui operano. Un comitato scientifico sarà deputato a modulare l’interazione ed a scegliere i contenuti da inserire nel modulo.

Si tratta di un progetto innovativo nel campo della salute mentale del quale si avverte un significativo bisogno formativo e nel quale l’Italia è considerata un modello di riferimento. Si deve tenere conto infatti del prestigio riconosciuto a livello internazionale al cosiddetto “modello italiano”, basato sulla deistituzionalizzazione. Prestigio che ha fatto si che la strada intrapresa nel nostro paese venisse indicata dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità come riferimento per i paesi che debbono sviluppare una psichiatria comunitaria. Inoltre la specifica condizione della Sardegna, che in questo momento ha in atto un vigoroso processo di trasformazione delle reti di cure in salute mentale (vedasi il recente piano sanitario regionale), fa della nostra regione un tramite ideale (non solo sul piano geografico) perché il modello italiano basato sulla non ospedalizzazione, sul rispetto dei diritti del sofferente, sulla costruzione di reti di supporto integrate, possa essere veicolato in altre realtà culturali.

Esiste inoltre una particolare condizione storica che indica la Sardegna come una sorta di ponte culturale fra l’Unione Europea e la sponda Sud del Mediterraneo, questo contesto rende particolarmente rilevante l’azione intrapresa dal presente progetto.

La particolare metodologia adottata, permetterà una migliore diffusione attiva e condivisa dei moduli erogati. Sarà possibile fornire supporti per la formazione continua del personale che opera a distanza dai centri universitari, sia in sedi nelle quali è possibile l’accesso a internet, sia in sedi nelle quali non è possibile l’accesso. In queste ultime la fruizione della formazione sarà comunque possibile off-line tramite l’uso di supporti multimediali realizzati allo scopo. Questa formazione “a distanza” verrà completata da una serie di scambi da e verso il centro coordinatore-erogatore (che sarà prima l’Università di Cagliari, quindi e in fasi successive i singoli partners universitari) che permetterà un completamento della formazione insieme alla elaborazione-produzione di materiali specifici. Ciò sarà possibile grazie alla predisposizione di una struttura modulare flessibile, adattabile sia alle esigenze dei centri universitari collaboratori che dei centri via via più periferici.

All’interno del contesto descritto, il percorso formativo per il personale dell’area sanitaria psichiatrica verrà erogato in modalità Blended (mista) mediante l’utilizzo di una Piattaforma On-Line, in linea con il “piano d’azione e-learning 2002-2004” della comunità europea che intende l’ e-learning “come utilizzo delle nuove tecnologie multimediali e di internet per migliorare la qualità dell’apprendimento, agevolando l’accesso a risorse e servizi nonché gli scambi e la collaborazione a distanza”, di costruire una modalità formativa conveniente ed efficace per una utenza distribuita su un vasto territorio geografico.

Obiettivo generale del progetto è la sensibilizzazione nei paesi dell’area mediterranea e africana sulle problematiche relative ai diritti civili e di cura dei sofferenti di disagio psichico, in risposta a quanto indicato come prioritario dai citati documenti della Organizzazione Mondiale della Sanità. Questo obiettivo passa attraverso la creazione della cultura “delle cure” in salute mentale negli operatori della primary care. I paesi beneficiari potranno quindi usufruire della messa a punto di moduli formativi applicabili in una area strategica. Il progetto sarà inoltre di stimolo e valorizzazione per la elaborazione “in loco” di modelli “specifici”.

Nell’ attuazione del progetto la Sardegna si pone, nell’area mediterranea, quale regione guida nei processi di miglioramento della salute e di formazione del personale. Inoltre, vista l’alta valenza strategica di questo settore nell’ambito della cooperazione in ambito mediterraneo, il progetto può essere un interessante veicolo alla luce del Know-how sviluppato dalle aziende sarde nell’ambito dell’ e-learning e più in generale nella elaborazione di supporti informatici rivolti alla formazione del personale. Lo scopo non è solo quello immediato di formare o di approfondire alcuni aspetti attraverso le tecnologie ma anche di rafforzare il processo di costruzione di una fitta rete di relazioni con e tra i partecipanti e di porre le basi per la costituzione di vere e proprie Comunità di Pratiche ( http://www.ewenger.com/theory/start-up_guide_PDF.pdf ) nell’ambito della salute mentale. Queste ultime a loro volta potranno in autonomia continuare a crescere e a progredire al di là della durata stessa del corso, così da diventare centri di aggregazione e formazione per altri operatori interessati alle tematiche trattate.

Mauro Carta
Professore di Psichiatria
Dipartimento di Sanità Pubblica
Università di Cagliari

Martedì 13 marzo, alle ore 11, presso il Centro E-learning
dell´Universita´ di Cagliari, Via San Giorgio 12, ingresso 5, (Ex Clinica
Aresu) avra´ luogo la Conferenza stampa di presentazione del progetto di
percorso formativo online dedicato alla salute mentale, destinato ai
paesi dell´area mediterranea dell´Africa.

giovedì, marzo 08, 2007

Salvare UNILEVER

COMUNICATO STAMPA

UNILEVER: le istituzioni accanto ai lavoratori

Milia: l’Azienda mantenga gli impegni assunti

“Non è accettabile che i destini economici di Cagliari siano affidati esclusivamente all’edilizia e ai call center, non è accettabile questa deriva: lo stabilimento UNILEVER non deve chiudere e il prossimo 13 marzo saremo accanto ai lavoratori per manifestare la nostra contrarietà” . Così il presidente della Provincia di Cagliari ha concluso i lavori dell’assemblea tenutasi quest’oggi a Cagliari sulla vertenza UNILEVER. Tra i partecipanti, oltre alle parti sociali (CGIL, CIS, UIL e RSU), il presidente del Consiglio provinciale di Cagliari (Roberto Pili), il sindaco di Quartu Sant’Elena (Luigi Ruggeri), gli assessori alle attività produttive di Cagliari e della Provincia (Luciano Collu e Piero Comandini), il capo di gabinetto dell’assessore regionale dell’Industria (Fausto Del Rio) e una nutrita pattuglia di consiglieri comunali e provinciali.



Il presidente della provincia, Graziano Milia, ha sgombrato subito il campo da ogni tentativo d mediazione che veda la chiusura dello stabilimento: “Non accetteremo dalla UNILEVER – ha detto Milia – risposte che non siano rassicuranti per i lavoratori. Se la cosa non fosse in questi termini, allora la vertenza si sposterà subito in un tavolo nazionale, quello del ministro Bersani”.



“Chiediamo – ha aggiunto Milia – che l’accordo del 2003 con l’UNILEVER venga rispettato, perché non possiamo accettare di essere stritolati da un meccanismo più grande di noi, quello della globalizzazione dei mercati, che vede una multinazionale americana – nonostante i risultati lusinghieri ottenuti dallo stabilimento cagliaritano – inseguire sempre maggiori profitti, al di là di quelli già abbondantemente conseguiti nel 2006” (3miliardi di euro solo in Italia, ndr). “Sentirsi bene, avere un bell’aspetto ed una vita più piacevole, questo è lo slogan commerciale con cui si presente al mondo l’UNILEVER: beh – ha detto Milia chiudendo il suo intervento – chiediamo all’azienda di farsi carico anche della vita e del benessere dei suoi lavoratori”.



Le rappresentanze sindacali presenti all’assemblea hanno ricordato “che non ci si può permettere il lusso di perdere questa realtà storico-produttiva, uno stabilimento all’avanguardia che non necessità di alcun ammodernamento, perchè non si possono lasciate a terra dei lavoratori giovani, super motivati e professionalizzati” (Raffaele Lecca, CGIL). Per Antonio Piras (CISL) “lo stabilimento di Cagliari si è conquistato, grazie all’impegno dei lavoratori, degli spazi di produzione e di qualità a livello europeo: l’azienda deve farsi carico dei suoi problemi e non scaricarli sui lavoratori e sulle istituzioni”. Pasquale Deiana (UIL) ha ricordato che se l’UNILEVER ama spesso definirsi una multinazionale dal volto umano allora è giunto il momento di dimostrarlo, tanto più perché non ci sono motivi di ordine tecnico e industriale per chiudere questo stabilimento”. Per la RSU aziendale è intervenuto Sandro Scalas, ricordando che “non c’è solo il problema dei lavoratori dell’UNILEVER, ma anche quello di tutti i lavoratori dell’indotto (latte, zucchero, logistica) che resterebbero senza lavoro se entro il prossimo 31 dicembre non si troveranno soluzioni alla chiusura dello stabilimento” . “Stabilimento che – ha aggiunto Scalas – è tra i primi in Europa, dove quest’anno sono stati trattati 13 milioni di litri di latte (per 14 milioni di pezzi di gelato prodotti), che ha dato vita e messo nel mercato, quest’anno, ben 60 nuovi e differenti prodotti, uno stabilimento dove hanno visto per primi la luce (inventati, sperimentati, testati e poi prodotti) alcuni prodotti di successo (Cucciolone, Cornetto, Magnum, etc)”. “Ecco – ha concluso Scalas – dopo avere inventato il Cuore di Panna, i lavoratori lo stanno trasformando loro malgrado nel cuore di storia, lacrime e sangue”. Dopo avere dato notizia del prossimo incontro tra le parti (Confindustria – Sindacati), previsto per il prossimo 13 marzo a Cagliari, i sindacati hanno annunciato che per quella data i lavoratori dell’UNILEVER sciopereranno, manifestando dinanzi alla sede di Confindustria.

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Cagliari, 9 marzo 2007

domenica, febbraio 25, 2007

"Soru, non svendere il Sulcis"

dal manifesto del 24/2/07

«Soru, non svendere il Sulcis»
Il presidente della Commissione ambiente del Senato Tommaso Sodano (Prc) chiede alla giunta sarda di annullare la vendita delle miniere dell'iglesiente. Acquirenti: Pirelli, Ligresti e un fondo immobiliare Usa
Costantino Cossu
Cagliari
«La Regione Sardegna sospenda il bando di vendita degli ex siti minerari del Sulcis-Iglesiente». La richiesta arriva - attraverso una dichiarazione alle agenzie di stampa - dal presidente della commissione ambiente del Senato, Tommaso Sodano (Prc), che in un'interrogazione parlamentare chiede anche, al ministro Rutelli, di annullare gli atti della giunta sarda. «E' opportuna - dice Sodano - una riflessione, prima di cedere a privati un bene pubblico che l'Unesco ha dichiarato patrimonio mondiale dell'umanità».
Sodano si riferisce a una delibera della giunta regionale sarda (del 26 aprile 2006) che mette in vendita pezzi (di proprietà della Regione Sardegna) delle miniere dismesse del Sulcis-Iglesiente, uno dei siti di archeologia industriale più vasti e più importanti d'Europa.
Sodano, che polemicamente usa il termine «svendita» anziché «vendita», spiega: «Pare giunto il momento di sospendere la svendita del territorio, per verificare, insieme a comunità locali, parti sociali, associazioni culturali e ambientaliste, se esista un differente e più appropriato percorso per dare risalto a questi beni, senza che di essi si debba necessariamente e definitivamente spogliare la parte pubblica». Il presidente della commissione ambiente di palazzo Madama contesta «la cartolarizzazione dei siti di Masua, di Ingurtosu, di Naracauli, di Monte Agruxau e di Pitzinurri in favore delle multinazionali del mattone e del turismo d'élite». «Viene in questo modo affermata - dice Sodano - un'idea di sviluppo che passa attraverso l'alienazione di beni comuni in favore di imprese private, per realizzare alberghi di lusso e campi da golf».
Le multinazionali del mattone alle quali fa cenno Sodano sono tre: Pirelli Real Estate, Immobiliare Lombarda (Ligresti-Fondiaria-Sai) e Hines Italia, un importante fondo immobiliare con sede negli Usa che a Milano sta realizzando il «Quartiere della moda». Sono queste le imprese che hanno risposto, nel luglio 2006, al bando lanciato da Renato Soru con la delibera dell'aprile 2006. Ce n'era anche una quarta, una cordata di imprenditori sardi, che però lo scorso ottobre una commissione nominata da Soru ha messo fuori gioco (mancavano alcuni dei requisiti richiesti). Il bando prevedeva tre fasi: una manifestazione d'interesse all'acquisto, una successiva selezione dei richiedenti e, infine, un'asta attraverso la quale scegliere l'impresa a cui vendere le aree. A quattro mesi dalla selezione (ottobre 2006) dei richiedenti, la data dell'asta ancora non è stata fissata. Al momento, quindi, non si sa quale dei tre colossi del business delle vacanze potrà «riqualificare a fini turistici» (così dice il bando regionale) le aree di Masua, di Monte Agruxau, di Ingurtosu, di Pitzinurri e di Naracauli (650 ettari in tutto). Si sa, invece, perché sta scritto nel bando, che il vincitore dell'asta non potrà costruire niente di nuovo, neppure un metro cubo. Potrà però ristrutturare 260 mila metri cubi di vecchie costruzioni (case di minatori, laverie, depositi) già esistenti, per trasformarli in strutture ricettive destinate a turisti di target alto.
Contro la vendita delle aree minerarie si sono schierati, nei mesi scorsi, il «Gruppo d'intervento giuridico» (una delle associazioni ambientaliste più attive nella lotta contro la cementificazione delle coste sarde) e la Rete Lilliput. Critiche sono arrivate anche dal Social forum di Cagliari. Ora contro il progetto di Soru arriva, con le dichiarazioni del presidente della commissione ambiente del Senato, uno stop più forte. Nell'interrogazione presentata il 23 gennaio scorso, Sodano ricorda a Rutelli che nella procedura di cessione dei siti minerari sardi «è stata omessa la preliminare verifica di legge dell'interesse culturale da parte del ministero» (solo nel novembre 2006 Soru ha avviato questa pratica, oltre sei mesi dopo la presentazione del bando di gara). Sodano chiede al ministro se tutto ciò non debba portare all'annullamento degli atti della giunta sarda. Ma parla anche, Sodano, di «alienazione di un bene comune in favore di privati». Questioni tecniche e nodi politici.

sabato, febbraio 24, 2007

Progetto DS per il centro storico di Cagliari

Ricevo e pubblico

Comincia ad essere diffusa nel dibattito politico la consapevolezza che il futuro del Centro storico di Cagliari non riguardi solo i suoi abitanti, ma l’identità della città, la sua storia, il suo sentirsi comunità.
Lo stesso ruolo di Cagliari nel Mediterraneo non è un fatto puramente geografico ma legato alla sua storia e alla sua cultura ed è importante - nel momento in cui l’Unione Europea individua nelle aree urbane uno dei fattori di sviluppo - che le classi dirigenti cagliaritane facciano del risanamento del Centro storico una delle grandi priorità di un piano strategico in grado di dare un forte slancio allo sviluppo della città e della regione.
A questo fine è fondamentale invertire il processo ultradecennale che ha visto fondersi insieme lo spopolamento dei quartieri storici, l’invecchiamento della popolazione residente, il progressivo degrado del quartieri, l’abbandono dei servizi, la chiusura di moltissime attività artigiane e commerciali.
Cagliari non può permettersi di avere nel Centro storico un numero così elevato di case disabitate, fortemente degradate, spesso inagibili, dove il degrado genera altro degrado.
E’ necessario un grande Progetto che parta da un monitoraggio di tutte le abitazioni, disabitate e no, che necessitano di ristrutturazioni, determinandone il livello di impegno finanziario e progettuale.
Sono sufficienti i dati contenuti nel “Censimento della popolazione e delle abitazioni” per avere un’idea delle potenzialità abitative dei quartieri storici: oggi negli stessi, a fronte di 2.500 edifici e complessi di edifici (per complessive 35.000 stanze in abitazioni), vivono circa 16 mila e 500 cittadini relativi a 7 mila e 250 famiglie.
Pensiamo ad un Progetto che preveda adeguati strumenti giuridici e finanziari che rendano possibili le ristrutturazioni delle abitazioni del Centro storico di proprietà dei privati (rifacimento facciate, consolidamenti etc.), lasciando però al Comune, o a un’agenzia comunale, l’onere e la responsabilità di trovare le necessarie risorse finanziarie e definire tutti gli aspetti amministrativi e progettuali.
Per le case sfitte una possibilità da valutare potrebbe essere una forma di comodato che metta in capo all’Agenzia tutti i costi di progettazione, di ristrutturazione e di contrattazione con le banche e che consenta all’Agenzia stessa la disponibilità dell’abitazione per un certo numero di anni per il rientro parziale dei costi.
Con questa soluzione giuridica l’Agenzia - attraverso forme concordate che diano le garanzie necessarie ai proprietari - potrebbe gestire l’affitto degli immobili sfitti per attuare una politica verso studenti e giovani copie nell’obiettivo di favorire una sorta di”avviamento famigliare”.
Per le case abitate, sarebbe direttamente a carico del proprietario il pagamento all’Agenzia della quota di spettanza per il periodo necessario.
Questa ipotesi potrebbe essere approfondita anche in riferimento a locali da adibire ad attività artigiane e di piccolo commercio in considerazione del gran numero di sottani (ma non solo quelli) fatiscenti esistenti nei quartieri storici e del fatto che le difficoltà maggiori per l’avvio di nuove attività economiche sono legate proprio ai costi per la disponibilità dei locali.
Con un accordo di programma tra istituzioni pubbliche - Regione, Comune e Provincia - banche, Università, Fondazioni, privati si potrebbe definire un grande progetto per il Centro storico che coinvolga direttamente i proprietari delle abitazioni.
E’ evidente che si tratta di ipotesi da verificare sul piano giuridico, finanziario e delle risorse disponibili anche a livello regionale e comunitario; ma è altrettanto evidente che può avere successo solo un grande progetto fortemente condiviso ai diversi livelli istituzionali, in grado di mobilitare risorse private e di coinvolgere gli abitanti dei quartieri storici.
La Circoscrizione Centro storico potrebbe svolgere, come ha saputo dimostrare anche di recente, un ruolo decisivo non solo nella motivazione degli abitanti ma anche in alcuni fondamentali aspetti gestionali del progetto.
In questo contesto, senza escludere altri progetti di campus universitari, sarebbe una soluzione di enorme rilevanza se - anche con acquisizioni o permute - si determinasse una sorta di casa dello studente diffusa nel Centro storico, con centinaia di giovani che tornano a studiare là dove storicamente è stato il cuore dell’Università.
Cagliari ha tutte le carte per essere una città viva, colta, attrattiva non solo per i giovani sardi ma anche per i giovani di molti paesi del Mediterraneo che possono guardare alla nostra città come ad una porta dell’occidente che in qualche modo gli è più affine.
Anche per questo sarebbe di grande importanza se, dopo la Provincia, altre Istituzioni riportassero in Piazza Palazzo alcuni fondamentali ruoli decisionali e di rappresentanza.
Il ripopolamento del Centro Storico non è solo un obiettivo di riequilibrio demografico interno alla città e all’area urbana, è la condizione per fare rivivere i quartieri, ricostituire il tessuto economico e sociale, dare un contributo decisivo al rilancio del ruolo economico e sociale di Cagliari e dell’area vasta.
In questo contesto acquisirebbero grande rilevanza i progetti di attività commerciale diffusa e di bed and breakfast, la ricostituzione di un tessuto artigiano specializzato, l’individuazione di percorsi di elevato valore storico e turistico.

Ninni Depau
Consigliere comunale Ulivo

Luca Mereu
Segreteria cittadina dei Ds

Il quartiere Villanova crolla? Assemblea pubblica

Al Sindaco

All’Assessore competente


INTERROGAZIONE URGENTE


In data 20 febbraio, la Protezione Civile di Cagliari ha chiuso al traffico la via San Giovanni - angolo via San Giacomo. Tale intervento, sarebbe stato effettuato a seguito di uno sprofondamento del manto stradale che ha messo fortemente a rischio la sicurezza dei cittadini.

La situazione assume carattere di grave emergenza in tutto il quartiere di Villanova, la cui situazione di degrado è diventata insostenibile a causa delle gravi lesioni presenti in numerosi edifici, dei veri e propri sprofondamenti nelle strade, dell’assoluta mancanza di illuminazione in molte zone del quartiere.

Da anni sono disponibili fondi per circa 6 milioni di euro - ridotti, secondo informazioni ufficiose, nel bando di gara a 4 milioni di euro - destinati al rifacimento dei sottoservizi, dell’illuminazione pubblica e della pavimentazione di Villanova.

Si chiede al Sindaco e agli assessori competenti

Di conoscere con certezza la data di inizio dei lavori, la reale quantità dei fondi disponibili (se ridotti quale è la destinazione) e l’area compresa nell’intervento.

Di avere una conoscenza dettagliata delle indagini geognostiche, effettuate di recente;

Se non si ravvisi l’urgenza di individuare, come assoluta priorità, l’intervento di consolidamento delle strade allungandosi a vista d’occhio il numero delle strade interdette al traffico, per ragioni di sicurezza, in tutto il centro storico ed in particolare nei quartieri Stampace (via S. Efisio), Villanova e Castello (Corte D’Appello e Canelles).

Marco Espa

Goffredo (Ninni) Depau

Gruppo Consiliare l'Ulivo
Comune di Cagliari
Cagliari, 19 Febbraio 2007

COMUNE DI CAGLIARI
Circoscrizione 1


COMUNICATO STAMPA

IL GIORNO 24 FEBBRAIO 2007 - ORE 10.30

E’ PREVISTA PRESSO

VIA SAN GIOVANNI ANGOLO VIA SAN GIACOMO
(FRONTE CHIESA SAN CESELLO)


UN ASSEMBLEA PUBBLICA


SUL TEMA

EMERGENZA VILLANOVA


GRAZIE PER L’ATTENZIONE I MIGLIORI SALUTI



Il Presidente
Gianfranco Carboni

giovedì, febbraio 22, 2007

I consiglieri comunali di minoranza contro l'aumento dei tributi

MOZIONE

Premesso che
la sezione di controllo per la Regione Sardegna della Corte dei Conti con delibera n. 24/2007 ha effettuate diversi rilievi sul bilancio revisionale 2006 e consuntivo 2005 con particolare riferimento:
· “alla gestione dei residui per la potenziale criticità originata dall’elevata incidenza degli stessi sulle partite di bilancio”
· alle difformità ed incongruenze rilevate dalla situazione del patrimonio e, in particolare, ai crediti ascritti, alle immobilizzazioni finanziarie, ai conferimenti, alle partite debitorie;
· all’indicazione di una spesa consistente di Euro 25.163.531 per una non meglio specificata manutenzione straordinaria di opere e impianti;
· alla criticità per l’esistenza di aziende, istituzione e società partecipate in perdita nel triennio precedente
· all’avanzo presunto di amministrazione tutto da approfondire in ordine alla conservazione di residui di dubbia esigibilità;
Considerato che
· Lo sforamento del patto di stabilità per l’anno 2006 rappresenta un fatto grave che potrebbe determinare rilevanti problemi in relazione sia all’investimento che alle spese correnti
· Il Sindaco e L’Assessore alla Programmazione hanno ripetutamente ipotizzato sulla stampa un aumento delle tasse comunali;
Tenuto presente che
· Il bilancio rappresenta l’atto fondamentale dell’Amministrazione in base al quale si decidono gli investimenti, le politiche sociali, la qualità dei servizi.
· Nel 2007 è stato definito un significativo incremento dei trasferimenti regionali ai Comuni (Cagliari + 18%)
· L’evasione delle imposte comunali è particolarmente elevata e si attesta, secondo la stessa Amministrazione, nell’ordine del 25%;
· La capacità di entrate extratributarie dell’Amministrazione comunale è assolutamente inadeguata alle potenzialità /gestione patrimonio, canoni, convenzioni ecc.)
Si impegna il Sindaco e l’Assessore competente affinché
· Quanto prima venga avviato il confronto sul Bilancio preventivo 2007, già nella fase della sua impostazione, come ripetutamente richiesto dai consiglieri del centro-sinistra, per consentire i necessari approfondimenti e rendere possibili eventuali emendamenti.
· Si eviti qualunque aumento delle tasse che inevitabilmente ricadrebbe sulle fasce più bisognose;
· Si imposti una specifica ed efficace politica di lotta all’evasione delle imposte comunali con appropriate misure di monitoraggio e di investigazione;
· Si verifichi a fondo il funzionamento della macchina amministrativa, potenziando tutte le funzioni di controllo dell’efficienza e dell’efficacia, delle spese correnti (a partire dal controllo di gestione), della realizzazione degli impegni assunti (raccolta differenziata etc.);
· Si attuino specifiche politiche finalizzate all’incremento delle entrate extratributarie (a partire da una corretta gestione del patrimonio)

Cagliari 21 febbraio 2006

Ninni Depau
Marco Espa
GianMario Selis

venerdì, gennaio 26, 2007

Giorgio Cremaschi a Cagliari

COMUNICATO STAMPA

Giorgio Cremaschi a Cagliari all’assemblea regionale della rete 28 aprile nella CGIL

Mercoledì 31 gennaio, con inizio alle 17.30, si terrà presso la Camera del Lavoro di Cagliari, in viale Monastir 17, l’assemblea regionale della Rete 28 aprile, area di sinistra della CGIL. All’assemblea parteciperà Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della FIOM, il sindacato dei metalmeccanici, e leader nazionale della rete.

La Rete 28 aprile è un’area regolarmente costituita all’interno della CGIL. La sua missione è evitare che il più grande sindacato dei lavoratori perda la sua capacità rappresentativa a causa della sindrome da governo amico. Lo scippo del TFR, la lotta contro ogni forma di precariato e per una reale democrazia sindacale saranno al centro degli interventi dell’assemblea. Si discuterà anche di come e perché è necessario aumentare le pensioni e i salari. La reintroduzione della scala mobile è un altro dei punti programmatici della Rete 28 aprile.

Giorgio Cremaschi, bolognese, segretario nazionale della FIOM, ha alle sue spalle una pluridecennale esperienza sindacale, che l’ha portato ad essere uno dei dirigenti sindacali più amati dalla classe operaia. All’ultimo congresso nazionale del PRC era indicato come uno dei possibili sostituti di Fausto Bertinotti. Ha preferito continuare a militare nel sindacato. Il suo compito oggi è evitare la deriva concertativa della CGIL, la quale, favorita da un quadro politico “amico”, sta perdendo il suo ruolo di organismo di massa che lotta per il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori.

Interrogazione sulla vendita dei siti minerari

Senato della Repubblica
Legislatura 15 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-01073
Pubblicato il 23 gennaio 2007
Seduta n. 92


TOMMASO SODANO , GIOVANNI CONFALONIERI
Ai Ministri per i beni e le attività culturali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. -

Risultando agli interroganti che:

il 18 luglio 2005, il Presidente della Regione Sardegna, Renato Soru, e l’Assessore regionale all’urbanistica, Gianvalerio Sanna, hanno utilizzato, a quanto consta, un elicottero dei Carabinieri per sorvolare l’area mineraria del Sulcis Iglesiente, insieme ad una serie di persone non autorizzate a salire sul velivolo, tra cui Carlo Puri Negri, amministratore della Pirelli Real Estate e Giorgio Magnoni, vicepresidente della Sopaf, finanziaria milanese con importanti partecipazioni;

le circostanze del volo ed il fatto che al posto dei funzionari autorizzati si fossero imbarcate altre persone non autorizzate hanno sollevato un vespaio di polemiche, tanto che la Procura militare di Cagliari ha deciso di aprire un’inchiesta, poi archiviata, in cui si ipotizzava il reato di “imbarco abusivo di passeggeri a bordo di velivolo militare”;

il 26 aprile 2006 la Regione Sardegna, con deliberazione n. 17/9, ha emesso un “Bando di gara per la cessione, riqualificazione e trasformazione di ambiti di particolare interesse paesaggistico del Parco Geominerario della Sardegna”, nel quale vengono messe in vendita l'area di “Masua e Monte Agruxau, dalla superficie territoriale di circa 318 ettari” e l'area di “Ingurtosu, Pitzinurri e Naracauli”, di circa 329 ettari, al prezzo rispettivamente di “32.520.000 euro e di 11.000.000 di euro” al fine di costruire: “strutture alberghiere ricettive con annessi centri benessere, strutture sportive e per il golf”. La scadenza del bando, per la manifestazione di interesse, era stata fissata per il 3 luglio 2006. Tuttavia, a tutt’oggi, ancora non si conoscono ufficialmente gli esiti di questa gara;
il soggetto proprietario delle aree messe in vendita è la IGEA S.p.A., società controllata dall’EMSA (Ente minerario sardo) il cui patrimonio è, in forza della legge regionale di scioglimento, interamente attribuito alla Regione (articoli 7 ed 8 della legge regionale 33/1998), mentre è stata la Regione ad indire l’asta senza accertare preventivamente l’insussistenza di eventuali vincoli culturali sulle zone da vendere;

le aree messe in vendita rappresentano uno dei più interessanti esempi di archeologia mineraria in un contesto naturale, paesaggistico e storico-culturale di primaria importanza. Il compendio di Masua – Monte Agruxau è tutelato con vincolo paesaggistico (decreto legislativo 42/2004) ed è classificato quale sito di importanza comunitaria (S.I.C.) “Costa di Nebida”, ai sensi della direttiva “Habitat” (n. 92/43/CEE), così come è tutelato con vincolo paesaggistico il compendio di Ingurtosu – Pitzinurri – Naracauli, rientrando nella Riserva naturale regionale “Monte Arcuentu – Rio Piscinas” (legge regionale 31/1989 – allegato “A”). Anch’esso è classificato quale S.I.C. “Monte Arcuentu e Rio Piscinas”, ed è contiguo all’altro S.I.C. “Da Piscinas a Riu Scivu”;

il 30 settembre 1998, alla presenza dei rappresentanti dell’UNESCO (Maurizio Taccarino), del Governo italiano (Edo Ronchi), della Regione autonoma della Sardegna (Federico Palomba), della Commissione nazionale Italiana Unesco (Tullia Carettoni), dell’Ente minerario sardo (Giampiero Pinna), dell’Università di Cagliari (Pasquale Mistretta) e dell’Università di Sassari (Alessandro Maida) è stata sottoscritta la cosiddetta “Carta di Cagliari” e con essa i sottoscrittori hanno preso atto che nelle stesse aree “è presente un immenso patrimonio immobiliare di grande valore sotto il profilo architettonico e dell’archeologia industriale inserito in contesti ambientali e paesaggistici di particolare bellezza e spettacolarità”, decretando che “i territori del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna sono riconosciuti di rilevante interesse internazionale, nazionale e regionale in quanto portatori di valori di carattere universale” e stabilendo che fossero “da salvaguardare e tutelare i valori presenti nel territorio del Parco;

i compendi minerari in argomento oltre ad esser stati riconosciuti Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, rientrano entrambi nel Parco geominerario storico ed ambientale della Sardegna, istituito ai sensi dell’art. 114, comma 10, della legge 388/2000 con il decreto ministeriale 16 ottobre 2001 che, all’art. 3, definisce incompatibili con i relativi obiettivi di tutela “qualsiasi mutamento dell’utilizzazione dei terreni e quant’altro possa incidere sulla morfologia del territorio e sugli equilibri paesaggistici, ambientali, ecologici, idraulici, idrogeotermici e geominerari” (lettera a)) nonché “l’esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti ad esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria e di restauro e di risanamento conservativo” (lettera c));

si tratta di un ecosistema fragilissimo già messo a dura prova da un disordinato e crescente impatto turistico, dall'elevata domanda imprenditoriale di trasformazione delle zone costiere e dai fenomeni di inquinamento derivante dalle miniere dismesse, con estese superfici coperte da detriti e fanghi, e i principali corsi d’acqua (Rio Piscinas, Rio Irvi e Rio Naracauli) contaminati da zinco, cadmio, piombo e altri metalli pesanti. Tutto questo a pochi passi da Piscinas, il più vasto complesso dunale d'Europa e dell'intero bacino del Mediterraneo, estremamente fragile e ad alto rischio di degrado ambientale;

l'alto valore di biodiversità delle specie vegetali e delle formazioni vegetali conferisce a questi siti rilevanti qualità ambientali, di interesse europeo. Nella zona è stato poi avviato il progetto LIFE-Natura “Dune di Piscinas – Monte Arcuentu” per la tutela e conservazione di alcune specie locali quali il cervo sardo o l’aquila reale, nonché la vegetazione a macchia mediterranea con le caratteristiche piante di ginepro,

si chiede di sapere:

se la procedura di cessione dei beni non vada considerata nulla, essendo stata omessa la preliminare verifica di legge dell’interesse culturale da parte del Ministero per i beni e le attività culturali, prescritta dal decreto legislativo 42/2004 (cosiddetto Codice Urbani) per procedere alla vendita di beni demaniali, nonché per omessa richiesta di alienazione dei beni in questione alla Direzione regionale del Ministero da parte dell’IGEA;

se il tentativo della Regione di sanare il vizio di legittimità dell’atto per omessa verifica dell’interesse culturale mediante un tardivo avvio della procedura di verifica (iniziata solamente ai primi di novembre, ovvero dopo oltre sei mesi dalla presentazione del bando di gara, deliberazione n.17/9 del 26 aprile 2006) non debba ritenersi insufficiente;

se non sussistano i requisiti necessari per qualificare, in tutto o in parte, i territori del Parco geominerario come “siti minerari di interesse storico od etnoantropologico” e quindi sottoporli alla tutela del decreto legislativo 42/2004 in quanto “beni culturali” ai sensi dell’articolo 10, comma 1 e comma 4, lettera h) del codice stesso;

se non si ritenga necessario sospendere con la massima urgenza il procedimento di gara per la cessione dei compendi di Masua-Monte Agruxau e Ingurtosu-Naracauli-Pitzinurri, non potendosi mettere in vendita beni che abbisognano della preventiva valutazione dell’interesse culturale, carenza che potrebbe portare alla nullità di ogni qualsivoglia alienazione;

se il contratto del 1998 con cui vennero acquistati dalla IGEA S.p.A. i fabbricati e le aree oggi messi in vendita, nel quale la Regione rinunciava ad esigere “il ripristino, il risanamento e il riassetto, anche ambientale” dalla società venditrice (la SNAM, del gruppo ENI) assumendosene l'onere, per poi, “terminati i lavori di riabilitazione e recupero”, trasferirli “gratuitamente agli Enti Locali interessati” non sia stato indebitamente dimenticato;

se non sia illegittimo il fatto che il bando precluda ogni possibilità di iniziativa da parte del Parco geominerario storico e ambientale della Sardegna, in cui ricadono detti beni, sottraendoli ai compiti di valorizzazione sociali e statutari previsti per questo organismo;

se la partecipazione del Direttore generale del Parco all’organismo di valutazione prevista dal bando non risulti insufficiente a conformarsi al dettato normativo, che attribuisce ai componenti degli organi direttivi del Parco il compito di “assicurare la conservazione e valutazione del patrimonio tecnico, scientifico, storico-culturale ed ambientale dei siti e dei beni ricompresi nel territorio” (decreto istitutivo del Parco risalente al 16 ottobre 2001);

se non si ritenga necessario verificare l’opportunità e le modalità della scelta della Regione di curare a proprie spese la bonifica e la messa in sicurezza dei siti minerari dismessi e destinati ad una valorizzazione turistica, senza prevedere di affidare tale compito ai privati aggiudicatari dei beni;

come si intenda rispondere alle legittime aspettative dei minatori in pensione, le cui abitazioni sono state messe in vendita nel bando della Regione (deliberazione n. 17/9 del 26 aprile 2006), con conseguente sfratto e negazione delle loro aspettative ad acquistare le case in cui vivono da più di trent’anni.

giovedì, gennaio 25, 2007

Salta il patto di stabilità del Comune di Cagliari

Comunicato stampa de “L’Ulivo” del 24 gennaio 2007

Salta il patto di stabilità del Comune di Cagliari

Un grave fatto politico per la città: vogliamo chiarezza

Mancano i controlli a Cagliari? Il Sindaco e la sua giunta si assumano le proprie responsabilità e chiariscano nel dettaglio perché nessuno abbia verificato i dati contabili.

“E’ stato un errore umano, c’è la dichiarazione del funzionario che rassegna le dimissioni” sono queste le dichiarazioni della Giunta Floris inerenti lo sforamento del patto di stabilità del nostro Comune.

Il nostro senso di responsabilità ci impedisce di fare retorica sulla questione, non vogliamo strumentalizzare una situazione grave per tutti i Cagliaritani; né noi vogliamo minimamente gettare la croce sul singolo funzionario, mostrandolo come il responsabile del tutto. Non vogliamo che essa sia il capro espiatorio di una macchina amministrativa con evidenti falle.

Il sindaco non può liquidare la questione solo come un mero errore tecnico.

Non ci soffermeremo per adesso sui possibili gravi effetti (come ad esempio il precariato) sperando che grazie alle sagge politiche del centrosinistra nazionale e regionale possano essere evitati.

La domanda che ci facciamo insieme alla Città è: come mai nessuno si è accorto di nulla? Dove erano tutti coloro, politici o di nomina politica e non, deputati alla verifica e al controllo? Ci sembra che la troppa contiguità politica tra strutture dirigenziali ed organi politici non garantisca quella che dovrebbe essere la “normale” attività di controllo.

Non è accettabile che in un Comune ed in una moderna amministrazione non esista un sistema di controlli incrociati che permetta di rilevare quelli che vengono chiamati errori umani.

Chiediamo per questo che il Sindaco riferisca in aula non su come l’errore tecnico sia maturato, ma come sia possibile che per esempio le procedure non prevedano controlli incrociati.

E’ questo il nodo politico vero: un’amministrazione che voglia dimostrarsi moderna deve dare gambe e rinforzare tutti i servizi di controllo, interni ed esterni.

Da anni chiediamo che tutti i dati di bilancio siano accessibili ai consiglieri comunali, trasparenti, leggibili, anche per via informatica o il rafforzamento dell’ufficio di controllo di gestione interna. Tutte strutture che devono essere autonome dal potere politico che governa.

In Commissione Finanze chiediamo spesso documentazione che non ci viene quasi mai consegnata, due mesi fa abbiamo chiesto proprio la situazione di Cassa, che pare essere il motivo del mancato rispetto del Patto.

Attenzione: queste cose riguardano il benessere dei cagliaritani e lo sviluppo della città, non sono una una questione formale.

Per questo, Sindaco, riferisci in aula, dicci chi doveva controllare. Vogliamo saperlo, lo vogliono sapere tutti i cagliaritani.

Per il Gruppo consiliare de “l’Ulivo”

Il Capogruppo

Marco Espa

giovedì, gennaio 18, 2007

Acqua pubblica, ci metto la firma!


Una Legge d’iniziativa popolare per ri-pubblicizzare l’acqua, bene comune: inizia la raccolta firme per superare la Legge “Galli”. Per sei mesi “banchetti” nelle piazze in tutta Italia.

Cinquantamila firme: tante ne servono per far arrivare in Parlamento una proposta di Legge d’iniziativa popolare per la ri-pubblicizzazione dell’acqua. Un obiettivo possibile per il movimento italiano per “l’acqua pubblica”: 55 tra associazioni e organizzazioni nazionali, tra cui Mani Tese, e oltre duecento comitati locali, che dal 13 gennaio per sei mesi raccoglieranno firme in tutto il territorio nazionale, dietro lo slogan “Acqua pubblica, ci metto la firma!”.

L’acqua è un diritto, non una merce
La proposta di legge, che ha per oggetto i “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico”, nasce al termine di un percorso di condivisione, avviato a Cecina in occasione del meeting antirazzista organizzato dall’Arci nell’estate del 2005 e proseguito col primo Forum dei movimenti italiani per l’acqua, che si è tenuto a Roma nel marzo del 2006. Il lancio della campagna è avvenuto a fine novembre a Roma, con una conferenza stampa a cui hanno partecipato – tra le altre – Attac, il Comitato italiano per un contratto mondiale sull’acqua, Mani Tese, Arci, Funzione pubblica-Cgil, Abruzzo social forum, Cobas energia.

Superare la “Galli”
“La proposta di legge di iniziativa popolare – afferma Marco Bersani di Attac Italia – nasce dall’esigenza di costruire un nuovo quadro normativo per affermare che l’acqua è un bene comune, il cui accesso ed utilizzo è un diritto umano universale, che pertanto va sottratto alle logiche del mercato e della concorrenza”. È da superare, cioè, la Legge Galli, la legge che dagli anni Novanta regola la gestione del servizio idrico integrato nel nostro Paese. Con il fine di ridurre l’eccessiva frammentazione dei soggetti gestori, la Galli ha di fatto aperto a investitori privati “il mercato” delle ex aziende municipalizzate, i gestori pubblici che fino ad allora avevano garantito a tutti i cittadini l’accesso all’acqua a prezzi contenuti.

Ad oggi, gli effetti negativi di questi processi, in termini di mancata efficienza e aumento nel costo del servizio, sono sotto gli occhi dei cittadini: ciò ha portato – negli anni – a numerose iniziative di mobilitazione. Tra tanti c’è il caso di Aprilia, una cittadina in provincia di Latina dove oltre tremila cittadini hanno deciso di non pagare la bolletta dell’acqua. Il gestore privato (“Aqualatina”), a fronte di mancati investimenti per il miglioramento del servizio, ha alzato le tariffe di oltre il 100% e la gente ha fatto sentire la propria voce, rispedendo le bollette al mittente.

I predoni e il bene comune
Per comprendere lo spirito della proposta di Legge, occorre tornare a vedere l’acqua come “bene comune”, un diritto umano fondamentale e non una fonte di profitto. Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano e oggi attivo nei movimenti in lotta contra la privatizzazione dell’acqua a Napoli e in Campania, ha così riassunto questo pensiero: “Privatizzare l’acqua equivale a rubare, poiché si ricava un profitto illecito da ciò che è un dono di natura”. E di “ladri dell’acqua”, in Italia, ce ne sono tanti. Non solo tra le imprese che imbottigliano e commercializzano l’acqua pagando tasse di concessione irrisorie alle Regioni (l’italiano è il primo consumatore mondiale di acque minerali, oltre 200 litri all’anno a testa): anche per quanto riguarda la gestione degli acquedotti, viviamo una situazione di contrazione dei soggetti gestori, come ha ricordato nel corso della conferenza stampa Vincenzo Miliucci dei Cobas dell’energia.

L’Acea di Roma, l’Hera in Emilia Romagna, l’Asm di Brescia e l’Aem di Milano, l’Amga di Genova sono ormai dei colossi, società per azioni quotate in borsa che stanno – poco a poco – conquistando la gestione del servizio idrico in tutti e 91 gli Ato (Ambiti territoriali ottimali) in cui la “Galli” ha diviso il territorio nazionale. Sono aziende che, pur mantenendo formalmente le caratteristiche di azienda “pubblica” (il 51% delle azioni in mano ad un Comune o più Comuni), rispondono – di fatto – all’esigenza di remunerare il capitale, e cioè di garantire profitti a quei soggetti privati che hanno acquisito, per effetto di gare o in Borsa valori, quote azionarie di minoranza.

Oltre il “pubblico”
Il nodo, che la Legge d’iniziativa popolare analizza e propone di superare, è l’affidamento della gestione del servizio idrico a Società per azioni (S.p.A.). Un governo pubblico dell’acqua sarà possibile solo quando i soggetti gestori torneranno ad essere enti di diritto pubblico (e una S.p.A., anche quando il 100% delle azioni è in mano ai Comuni, sarà sempre un ente di diritto privato). È sotto gli occhi di tutti l’esempio di Torino: la Smat è una società al 100% pubblica che si comporta però da “privato”, andando a concorrere per ottenere la gestione del servizio idrico della città di Palermo.

Lo Stato obbligato
Una vera rivoluzione è necessaria per superare l’idea che i cittadini debbano farsi carico – in bolletta – di reperire i fondi necessari agli investimenti indispensabili per garantire un livello adeguato del servizio. La Legge d’iniziativa popolare propone che questi vengano coperti con la fiscalità generale. Provocatoriamente: non siamo forse chiamati a pagare, con le nostre tasse, anche l’Esercito e le sue missioni all’estero, siano esse di guerra – Iraq, Afghanistan – o di “pace” (Libano)? Destinando al servizio idrico anche solo il 5% della spesa militare prevista nella Finanziaria 2005 (o 2006, 0 2007), il Governo ricaverebbero i fondi necessari a finanziare le opere di manutenzione e ammodernamento di cui necessita la rete idrica italiana. Ed è proprio questo che propone la legge, obbligando lo Stato nei confronti dei cittadini, al di là delle belle parole del programma dell’Unione (dov’è scritto che: “L'acqua è un bene comune, la cui proprietà e gestione deve rimanere in mano pubblica”). Anche i fondi raccolti nella lotta all’evasione fiscale potrebbero essere destinati allo stesso scopo. E ognuno si vedrebbe garantiti 50 litri d’acqua al giorno, anche coloro – gli indigenti – che non sono in grado di pagare.

Educazione e democrazia
Oltre gli obiettivi specifici, la proposta di Legge si propone come un momento di sensibilizzazione: la raccolta firme (tutti gli eventi e le iniziative sono segnalate sul sito www.acquabenecomune.org) servirà ad organizzare momenti di educazione della popolazione, per creare una nuova cultura dell’acqua e della partecipazione del cittadino alla gestione delle cosa pubblica. La proposta di Legge è anche – nelle parole di Tommaso Fattori, del Tavolo toscano acqua – “una legge contro la privatizzazione della democrazia”: nasce per valorizzare uno strumento legislativo sotto utilizzato e consentirà, allo stesso tempo, di portare il tema dell’acqua nel Paese, tra la gente, nelle piazze, nei centri sociali, nelle parrocchie, e ovunque si possano realizzare eventi e banchetti di raccolta firme.

[di Luca Martinelli, tratto dal mensile Manitese, gennaio 2007]


IL PASTICCIO LOMBARDO
In controtendenza con le "buone intenzioni" espresse del governo dell'Ulivo, a Milano e in Lombardia il Consiglio regionale ha approvato, l'agosto scorso e nel silenzio generale, la Legge 18 sulla riorganizzazione del servizio idrico. Una legge che non solo separa la "gestione" delle reti dall'"erogazione" dell'acqua (come dire: agli enti pubblici l'onere della manutenzione degli impianti, ai privati l'onore di incassare le bollette), ma obbliga anche i comuni a indire le gare d'appalto per privatizzare i servizi idrici, e contro la quale il governo ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale.

Tutti meno Milano
Tutti i comuni sono obbligati tranne uno: Milano, guarda caso, è dispensata dalla gara. Forse perché la sindaca intende fondere la Metropolitana Milanese (che è totalmente pubblica e al momento gestisce l'acquedotto) con la AEM (partecipato al 66% dal capitale privato), e poi procedere a un'ulteriore fusione con la ASM di Brescia, creando così una multiutility pubblico-privata che non solo riceverà in "eredità" l'erogazione dell'acqua di Milano, ma potrà andare in giro per il mondo a offrire i suoi servizi, come fanno altre grandi S.p.A. Un'operazione che appare illegittima sotto vari aspetti: perché non c'è gara d'appalto e perché una società che si fonde con un'altra non può "portare in dote" le concessioni che le sono state assegnate.

La città si mobilita
Contro questi pasticciacci alla milanese, è rinato di recente il Comitato Milanese per l'Acqua, formato tra gli altri da Contratto mondiale per l'acqua, Camera del Lavoro, Arci, Attac, Amici di Beppe Grillo. Il primo obiettivo è informare la popolazione milanese e raccogliere firme per una petizione popolare che chiede, tra le altre cose, che l'acqua venga gestita in modo pubblico e partecipato e non a scopo di profitto, che lo statuto comunale la riconosca come un diritto di tutti, che si prendano iniziative per ridurne il consumo e migliorarne la qualità. Il Comitato intende collaborare con altri gruppi di cittadini, sindaci e presidenti provinciali lombardi per un referendum abrogativo della Legge 18 e sostenere la raccolta di firme sulla proposta di Legge di iniziativa popolare promossa dal movimento italiano per l'acqua.
Per informazioni: http://www.comitatomilanoacqua.info

[di Sandra Cangemi, tratto dal mensile Manitese, gennaio 2007]



LA TOSCANA BOCCIA L’ACQUA PUBBLICA
Il 22 novembre scorso il Consiglio regionale della Toscana ha discusso la proposta di legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato della Toscana.
Per arrivare a presentarla il Tavolo toscano acqua, coordinamento di associazioni, sindacati e partiti promotori della proposta di legge, lo scorso anno aveva raccolto oltre 43.000 firme, in centinaia di banchetti e dibattiti organizzati in tutta la regione.
Nonostante i voti favorevoli del Prc, dei Comunisti italiani e dei Verdi, la bocciatura del Consiglio regionale è stata netta e poco dibattuta: il veto dei Ds e della Margherita ha liquidato ben presto le speranze dei promotori. E mentre la Giunta regionale sta elaborando la prima legge regionale per la partecipazione dei cittadini al governo della regione, la stessa amministrazione cancella d’un botto la proposta di 43.000 cittadini.
Il programma nazionale dell’Unione, sul tema acqua, parla chiaro: reti e gestione dei servizi devono rimanere in mano pubblica. Forse in Toscana, dove l’Unione non c’è ancora, l’acqua può essere tranquillamente privatizzata da chi, come la multinazionale romana Acea, ha già il controllo dei servizi idrici di mezza regione?
Un solo gestore d’ambito è rimasto pubblico in Toscana, a Lucca e Massa-Carrara, e i movimenti, i cittadini e i partiti che hanno promosso la proposta di legge regionale sono pronti a difenderlo in tutti i modi. Per non svendere al miglior offerente l’ultima acqua rimasta pubblica in Toscana.
Info: www.leggepopolareacqua.it

[di Alessio Ciacci, tratto dal mensile Manitese, gennaio 2007]

Forum mondiale sulla Sovranità Alimentare

Forum mondiale sulla Sovranità alimentare: Nyeleni 23-27/02/2007

Presentazione generale del Forum

Distinti movimenti sociali hanno preso l'iniziativa di organizzare e svolgere l'incontro internazionale sulla Sovranità alimentare a Bamako in Mali nel febbraio del 2007. Il principio della Sovranità alimentare è stato proposto da Via Campesina a Roma nel 1996 durante il Vertice Mondiale dell'Alimentazione della FAO.

Da allora questa proposta ha incominciato a svolgere un ruolo fondamentale nel dibattito sull'agricoltura e le alternative alle politiche neoliberali. Prima dell'introduzione del concetto di Sovranità alimentare la Sicurezza alimentare si limitava a studiare il modo di garantire un'alimentazione sufficiente attraverso il commercio, tanto a livello nazionale come internazionale. Il principio della Sovranità alimentare colloca i produttori agricoli al centro del dibattito ed appoggia il diritto delle popolazioni a produrre i propri alimenti indipendentemente delle condizioni del mercato.

Il principio della Sovranità alimentare stimola lo sviluppo di modelli alternativi di produzione, di distribuzione e di consumo basati su una logica nuova, lontana di quella del neoliberalismo che da parte sua attribuisce un ruolo principale ai mercati e alla liberalizzazione del commercio e considera che solo i mercati internazionali possono risolvere la questione dell'insicurezza alimentare.

Il diritto alla Sovranità alimentare si dibatte in numerosi forum, reti e conferenze, come i Forum Sociali Mondiali, la campagna More and Better, la rete "Nuestro Mundo No Está En Venta" e la Conferenza di Ginevra sull'OMC che si è svolta nel novembre del 2004. Nel giugno del 2002 si è svolto a Roma il Forum delle ONG sulla Sovranità alimentare, contemporaneamente al Vertice Mondiale sull'Alimentazione della FAO, questo ha permesso ai principali attori attivi in questioni di agricoltura ed alimentazione di riunirsi e condividere idee. La maggioranza di queste organizzazioni, oltre ad una quantità ogni volta maggiore di reti ed alleanze, considera che la Sovranità alimentare oggi è un'alternativa vitale per permette l'applicazione di politiche agricole ed alimentarie adattate alle necessità ed aspirazioni dei popoli del mondo.

Pensiamo che un forum di Nyeleni offrirà una nuova opportunità per aumentare il riconoscimento della Sovranità alimentare e rinforzare le azioni e campagne che si realizzano per la sua applicazione effettiva. Durante questi cinque giorni i partecipanti non si limiteranno a precisare la natura del diritto alla Sovranità alimentare e le sue implicazioni nella politica agricola dei propri paesi e regioni, dibatteranno anche su una strategia dinamica e globale affinché la Sovranità alimentare sia tenuta in conto ed applicata tanto a livello internazionale come locale.

Un forum nel campo

Il forum Mondiale sulla Sovranità alimentare (FMSA) si realizzerà in campagna, in Sélingué, un paese situato a 1:45 ore da Bamako e vicino alla centrale idroelettrica del fiume Sankarani, un affluente del Niger, vicino alla frontiera con la Guinea.

Questa è stato scelto questo luogo per potere dibattere sull'agricoltura e l'alimentazione in una cornice rurale-agricola. È una decisione politica che pretende di trovare un parallelismo e coerenza tra le proposte di Sovranità alimentare ed i mezzi necessari per farla divenire una realtà. La CNOP e le proprie organizzazioni membre hanno portato sempre a termine i propri grandi incontri nel campo e desiderano avvalersi di questa opportunità per rendere visibili le realtà del Mali che sono la loro vita quotidiana. La scelta di Sélingué necessita di particolari accorgimenti per poter accogliere in condizioni di comodità i 500 delegati che qui convergeranno.

L’hotel di Sélingué è composto di 23 bungalows che possono alloggiare 200 persone. Gli altri partecipanti saranno alloggiati in casette che saranno costruite per l'occasione, e che in seguito saranno utilizzate dalle organizzazioni locali e dalla CNOP come centro di formazione. Una parte delle casette sarà costruita con materiali e tecniche tradizionali, il resto, circa cinquanta, si costruiranno con materiali più duraturi per aumentare la loro vita utile. Dopo il forum saranno utilizzate dalle organizzazioni del paese che così disporranno di un centro dove realizzare i propri programmi di formazione ed gli incontri.

Il paese di Sélingué dispone di sei sale abbastanza grandi per accogliere gli uffici di circa sessanta persone. Si costruirà con materiali locali una struttura leggera capace di accogliere 600 persone per le sessioni plenarie.

La CNOP e le organizzazioni contadine che la compongono si incaricheranno dell'installazione dell'infrastruttura necessaria per il buon sviluppo del Forum Mondiale sulla Sovranità alimentare.

Gli obiettivi del forum

La Sovranità alimentare è il diritto dei popoli a definire le proprie politiche di agricoltura ed alimentazione, a proteggere e regolare la produzione ed il commercio agricolo interno per raggiungere i propri obiettivi di sviluppo sostenibile, a decidere il proprio livello di autonomia ed a limitare il dumping di prodotti nei propri mercati.”

La Sovranità alimentare è dunque un'alternativa alle politiche agricoli neoliberali imposti dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale.

Si deve però rilevare che sempre più organizzazioni fanno riferimento a questo concetto senza comprendere o accettare il suo carattere eminentemente politico che rompe radicalmente col sistema economico capitalista dominante.

1. Riaffermare la Sovranità alimentare

Sempre di più, personalità della politica, sindacati o associazioni utilizzano il termine Sovranità alimentare tentando di ridurlo ad una connotazione “sovranista”, sinonimo di chiusura su sé stesso, di rifiuto degli scambi e della complementarietà. Il forum sarà l'occasione di riaffermare in maniera positiva il fatto che la lotta per il riconoscimento del diritto alla Sovranità alimentare comprende quattro ambiti interdipendenti che saranno dibattuti e precisati in queste giornate. Questi quattro ambiti sono l'ambito politico, l'economico, il sociale e l'ambientale.

Il FMSA si incaricherà più concretamente di precisare i punti seguenti che sono già stati definiti nel 1996 e riaffermati in 2001:

- Dare priorità alla produzione, per lo sfruttamento contadino e familiare, di alimenti per i mercati interni e locali, con sistemi di produzione diversificati ed ecologici;

- Vegliare affinché gli agricoltori ricevano un prezzo giusto per la loro produzione, al fine di proteggere i mercati interni da importazioni sotto costo che costituiscono dumping;

- Garantire l'accesso alla terra, all'acqua, ai boschi, alle zone di pesca ed altre risorse a pro di una vera ridistribuzione delle risorse;

- Riconoscere e promuovere il ruolo delle donne nella produzione di alimenti e vegliare affinché abbiano un accesso equo alle risorse produttive e le possano utilizzare;

- Vegliare affinché le comunità abbiano il controllo delle risorse produttive, opponendosi all'acquisizione da parte delle imprese di terre, acqua, risorse genetiche ed altre risorse;

- Proteggere i semi, base dell'alimentazione e della vita stessa, e vegliare affinché gli agricoltori possano scambiarli ed utilizzarli liberamente, questo implica il rifiuto dei brevetti sulla vita e l'adozione di una moratoria sulle coltivazioni geneticamente modificate;

- Investire fondi pubblici per appoggiare le attività produttive di famiglie e comunità, insistendo nell'autonomizzazione, il controllo locale e la produzione di alimenti per la popolazione ed i mercati locali.

- Rafforzare la nostra posizione nell'equilibrio di potere per conseguire concretamente la Sovranità alimentare

2. La Sovranità alimentare è una proposta cittadina

La Sovranità alimentare non è una proposta di riforma settoriale destinata a beneficiare solo i produttori di alimenti, siano contadini o pescatori.

Al contrario, la Sovranità alimentare ha ripercussioni in tutti gli altri settori della società. Garantendo prezzi giusti ai contadini che permettano loro di vivere nella proprie comunità e limita l'esodo verso i centri urbani; è una proposta cittadina globale che non riuscirà ad arrivare a buon termine ed essere adottata a livello internazionale se non sarà appoggiata attivamente dai settori della popolazione che non producono direttamente i propri alimenti. Il FMSA offrirà l'opportunità di rafforzare il dialogo con i sindacati di lavoratori ed organizzazioni internazionali di consumatori per comprendere meglio tutte le ripercussioni che il riconoscimento del diritto alla Sovranità alimentare avrà sull'accesso all'alimentazione.

3. Sviluppare spazi di incontro con governi favorevoli alla Sovranità alimentare

Il Mali ha appena adottato una nuova legge di orientazione agricolo che stabilisce la Sovranità alimentare come obiettivo prioritario. Anche gli stati della CEDEAO fanno riferimento esplicito alla Sovranità alimentare ogni volta con maggiore frequenza. Altri paesi, come quelli del G33, sviluppano proposte molto simili alla Sovranità alimentare, benché usino un'altra terminologia.

Questa nuova situazione mostra che sempre meno Stati credono che le politiche neoliberali possono costituire una soluzione alla fame e la povertà che colpisce gruppi di popolazione crescenti nei propri territori e sono disposti a percorrere nuove vie. Il FMSA permetterà di riflettere sulla migliore strategia affinché gli Stati appoggino attivamente la Sovranità alimentare a livello internazionale.

4. Ottenere il riconoscimento del diritto alla Sovranità alimentare

Uno degli obiettivi del forum sarà definire una strategia mondiale e collettiva affinché si riconosca il diritto dei paesi alla Sovranità alimentare come un diritto specifico, di obbligato compimento per gli stati e garantito dall'Organizzazione delle Nazioni Unite.

Chiamata all'azione

È già tempo per la Sovranità alimentare

Partecipa alla lotta contro la dominazione corporativa del nostro cibo, pesce ed agricoltura. È già il tempo per la Sovranità alimentare, l'alternativa alle correnti politiche neoliberali dell'alimentazione, pesca e l'agricultura. Il cibo e l'agricoltura sono fondamentali per tutti i paesi, entrambi riguardano la produzione e la disponibilità di quantità sufficienti del cibo sano e salutare, e sono le basi della vita, delle la comunità, della cultura e dell’ambiente. Al contrario, le conseguenze delle dominanti politiche neoliberali sono la fame, la miseria ed il danno ambientale. Mentre le multinazionali prendono il potere, i contadini ed i pescatori sono marginalizzati, ed i consumatori ricevono molto spesso cibo malsano. La sospensione delle negoziazioni dell'OMC mette in luce la necessità per un cambio radicale delle politiche dell'alimentazione, l'agricoltura e le pesca. È già il tempo per la Sovranità alimentare.

La Sovranità alimentare è il diritto di tutti i popoli a definire le proprie politiche di alimentazione e l'agricoltura; a proteggere e regolare la produzione agricola nazionale per realizzare gli obiettivi dello sviluppo sostenibile; a determinare fino a che punto desiderano essere autosufficienti; a fermare il dumping dei prodotti nei mercati, e a dare alle comunità che si basano sulla pesca la priorità all'uso ed i diritti alle risorse acquatiche. La Sovranità alimentare promuova la formulazione delle politiche e pratiche del commercio che servono ai diritti dei popoli a produzioni sicure, salutari e sostenibili. Questo sistema è una manifestazione del commercio che supera il modello restrittivo che è dominato facilmente dalle multinazionali.

Dal Discorso all'Azione: la lotta per la Sovranità alimentare non è un discorso accademico, bensì della vita e la morte di miliardi di persone, la lotta per la democrazia, per i diritti dei consumatori e per preservare l’ambiente per le generazioni future. I contadini, i pescatori, gli allevatori, gli indigeni ed altri produttori di alimenti lottano ogni giorno per preservare la propria dignità, il proprio sostentamento e per preservare l’ambiente. Dobbiamo formare alleanze forti e sviluppare piani concreti di azione per fare avanzare la Sovranità alimentare.

Un dibattito dinamico e vivo: il concetto della Sovranità alimentare e le modalità della sua realizzazione si stanno sviluppando ed approfondendo continuamente. Nuovi temi e sfide, per le risposte alle necessità e per nuove politiche si stanno sviluppando costantemente. Molte organizzazioni, gruppi ed individui appoggiano i principi della Sovranità alimentare, ma sono ancora molti quelli che non conoscono il concetto. Dobbiamo quindi diffondere informazioni sulla Sovranità alimentare e mobilitare persone ed organizzazioni su questo tema. Mentre diventa sempre più comune il termine “Sovranità alimentare,” alcuni politici, istituzioni ed altre entità usano male questo termine. Per questo motivo, dobbiamo assicurare che non venga usurpato.

Nyéléni è un passo importante: Nyéléni 2007–Il Forum Mondiale della Sovranità alimentare. Cinquecento delegati, rappresentando contadini, pescatori, popoli indigeni, donne, lavoratori, ecologista, consumatori, ONGs, giovani e funzionari si riuniranno per fare avanzare la Sovranità alimentare ad ogni livello e in tutti i settori.

Nyeleni 2007 è solo una parte del processo di rafforzamento della lotta per la Sovranità alimentare, per sviluppare ed aggiornare tale concetto, per formare alleanze e sviluppare piani di azione per cambiare il bilancio di potere a beneficio della Sovranità alimentare a favore di tutto il mondo. Per realizzare la Sovranità alimentare è necessaria un'ampia gamma di apporto nella preparazione di Nyéléni. Molte più organizzazioni possono partecipare alla preparazione e al seguito del forum stesso. La lotta per la Sovranità alimentare è di ampio respiro in cui sono essenziali tutte le persone, organizzazioni, governi ed istituzioni che approvano al concetto.

Che cosa possono fare lei e la sua organizzazione?

Adottare il concetto della Sovranità alimentare, organizzare una discussione sul concetto della Sovranità alimentare nella sua organizzazione, comunità e regione con vari settori della società che sono coinvolti nel diritto dell'alimentazione: contadini, pescatori, ecologista, consumatori, popoli indigeni…

Sviluppare piani ed azioni per la Sovranità alimentare che riguarda:

- Lo sviluppo di nuove alleanze.

- Come combattere le multinazionali che minacciano alla Sovranità alimentare.

- Come proteggere l'accesso alle risorse naturali per le comunità.

- Come mantenere le economie locali la dove la popolazione decide cosa e come produrre il cibo.

- Come lottare contro gli attuali trattati di libero commercio regionali e le istituzioni internazionali di finanziamento e quali le alternative a questi sistemi.

- Quale struttura alternativa all'Organizzazione Mondiale del Commercio, per assicurare che il commercio internazionale non mortifichi la Sovranità alimentare.

- Quali politiche già esistenti attualizzano la Sovranità alimentare

Per avere più informazione: www.nyeleni2007.org e www.nyeleni.org

Per dare il vostro contributo

mali--> mali@nyeleni2007.org

international--> contact@nyeleni2007.org

tel +33 870 467 123

Via Campesina

Via Campesina è un movimento internazionale che coordina organizzazioni contadine, piccoli e medi produttori, donne rurali, comunità indigene, gente senza terra, giovani rurali e lavoratori agricoli emigranti. Difendiamo gli interessi basilari dei nostri membri. Siamo un movimento autonomo, plurale, indipendente, senza nessuna adesione politica, economica o di un altro tipo. Le organizzazioni che compongono la Via Campesina vengono da 56 paesi dell'Asia, Africa, Europa ed il continente americano, organizzate in otto regioni: Europa, Asia dell’Est e Sudorientale, Asia del Sud, Nordamerica, Caraibi, America Centrale, Sud America ed Africa.

Come è nata via Campesina?

Nasce nell’aprile di 1992, quando vari leader contadini dell'America Centrale, del Nordamerica e dell'Europa si riunirono a Managua, Nicaragua, nel Congresso dell'Unione Nazionale di Agricoltori e Allevatori (UNAG). Nel maggio del 1993 si portò a termine la prima Conferenza di Via Campesina in Mons, belgio, dove fu costituita come una organizzazione mondiale, definendo i suoi primi modelli strategici e la propria struttura. La seconda conferenza internazionale ebbe luogo a Tlaxcala, Messico, nell’aprile del 1996, dove presenziarono 37 paesi e 69 organizzazioni per analizzare una serie di tematiche che erano di interesse centrale per i piccoli e medi produttori, fra le quali: Sovranità alimentare, riforma agraria, credito e debito esterno, tecnologia, partecipazione delle donne e sviluppo rurale.

Come lavora la via Campesina?

Via Campesina si trova attualmente in un processo di ampliamento e consolidamento, essendo per la sua stessa natura, un movimento pluralistico, democratico e multiculturale. Conta su una copertura geografica abbastanza ampia, risultato della quale, è uno dei movimenti più rappresentativi per la piccola e la media agricoltura nel il mondo. Il lavoro tanto complesso che Via Campesina svolge è un sforzo enorme per riuscire nell'articolazione, la comunicazione e il coordinamento tra le regioni, come pure tra le organizzazioni membre di ogni regione ed il movimento nella sua globalità. Via Campesina lavora per la difesa degli interessi professionali, includendo la dimensioni politica, economica e tecnologica come i temi di genere.

Quali sono le sue priorità?

L'obiettivo principale di Via Campesina è sviluppare la solidarietà e l'unità dentro la diversità tra le organizzazioni, per promuovere le relazioni economiche di uguaglianza e di giustizia sociale, la preservazione della terra, la Sovranità alimentare, la produzione agricola sostenibile ed un'uguaglianza basata nella produzione di piccola e mediana scala. Per riuscire in questi obiettivi, Via Campesina ha definito una serie di strategie tra le quali citiamo:

- L'articolazione ed il rinvigorimento delle sue organizzazioni.

- Avere un'influenza nei centri del potere e di assunzione delle decisioni dentro i governi e le istituzioni multilaterali per dare un altra rotta alle politiche economiche ed agricole che penalizzano la piccola e media produzione.

- Il rinvigorimento della partecipazione delle donne in materie sociali, economiche, politiche, e culturali.

- La formulazione di proposte in relazione a temi importanti come: riforma agraria, Sovranità alimentare, produzione, commercio, ricerca, risorse genetiche, biodiversità, ecosistemi e genere.

Quale è la sua struttura?

La Conferenza costituisce l'organo di decisione più alto di fronte alle proprie politiche, riunendosi ogni quattro anni in posti che ruotano tra le regioni. Gli uffici regionali sono entità dove sono possibili le relazioni ed articolazioni all’interno di ogni regione. È lì dove si realizza il lavoro centrale di Via Campesina. Il Comitato di Coordinazione Internazionale è l’entità che coordina le differenti regioni. La Segreteria Operativa Internazionale coordina ed esegue le risoluzioni delle massime istanze di Via Campesina.

La via Campesina sta lavorando per una politica di alleanze con altre forze sociali, economiche e politiche a livello internazionale per lottare congiuntamente contro il neoliberalismo e per sviluppare proposte alternative dove le grandi maggioranze costituiscano gli attori principali.

Temi principali e campagne. Come movimento contadino internazionale, la via Campesina lavora sui temi principali per i quali il contadini di tutto il mondo si battono:

  1. riforma agraria
  2. biodiversità e risorse genetiche
  3. Sovranità alimentare e commercio
  4. diritti umani
  5. agricoltura contadina sostenibile
  6. migrazione e lavoratori rurali
  7. uguaglianza di genere.

Delegato italiano per Via Campesina a Nyeleni appartenente all’Associazione Rurale Italiana – ARI - al quale potete inviare i vostri contributi:

Andrea Tronchin – andrea.tronchin@tin.it


Domande per la discussione nelle organizzazioni in preparazione del Forum mondiale sulla Sovranità Alimentare (Mali febbraio 2007)

Le domande sono state formulate in base agli obiettivi (1-2-3-4-5) individuati nei diversi incontri del Comitato di preprazione di Nyeleni.

1) Rafforzare il dialogo fra i movimenti sociali e altre organizzazioni,

Domande:

-Quali passi sono necessari per organizzare un dialogo costruttivo fra movimenti e organizzazioni sul tema della Sovranità alimentare?

-Come possiamo coinvolgere i gruppi urbani e rispondere alle domande dei poveri delle zone urbane?

-Come possiamo affrontare i conflitti di interesse fra i settori (per es. Fra contadini/e e popoli indigeni o pastori; o fra gli interessi degli abitanti delle città affinché i prezzi siano accessibili e si risponda alla necessità dei/delle produttori/trici di alimenti con prezzi giusti).

-Come è possibile cooperare maggiormente e costruire alleanze intorno ad una agenda comune?

-Quale metodologia è necessario adottare durante il Foro per garantire un dialogo costruttivo?

2) Riappropriazione collettiva della Sovranità alimentare per evitare che il concetto sia assunto da attori che sminuiscono il suo contenuto e lo utilizzano per rafforzare le politiche neoliberali.

Domande:

-Come assicurare che il principio della Sovranità alimentare sia incorporato nella formulazione di politiche locali e internazionli, evitando allo stesso tempo che sia strumentalizatto dai nostri “avversari” o sminuito, garantendo che continui ad essere un principio proposto dai movimenti sociali con contenuti definiti da questi stessi movimenti?

- Come iniziare a dar vita e realizzare la Sovranità alimentare, come possiamo iniziare a praticare la Sovranità alimentare in tutti i possibili livelli al tempo stesso che lottiamo per il suo riconoscimento ufficiale affinché la “Sovranità alimentare” abbia un significato reale?

-Quali tipi di lotta concreta sono stati sviluppati dalla vostra organizzazione durante gli ultimi 10 anni e quali sono stati i risultati?

3) Rafforzare e sviluppare il concetto di Sovranità alimentare, se necessario si devono concretizzare delle alternative

Domande:

-Pensate che i membri della vostra organizzazione coprendono esattamente il significato di Sovranità alimentare?

-Come si può fare affinché la Sovranità alimentare sia un principio che riflette gli interessi della società, delle comunità (contadine, pescatori, popoli indigeni, pastori, donne, lavoratori/trici agricoli, persone che vivono in città,...) e dei popoli in generale, e non solo gli interessi dei/delle contadini/e e i pescatori/trici artigianali?

-Come possiamo includere nel modo migliore i diritti delle comunità alle risorse naturali, il diritto a mantenere economie locali dove le persone e le comunità decidano cosa e come produrre e consumare?

-Che tipo di norme di commercio internazionale sono necessarie per garantire che il commercio internazionale non deteriori la Sovranità alimentare?

-Che alternative concrete possono essere promosse come esempi di politiche fondate sulla Sovranità alimentare?

-Como possiamo inserire nelle dinamiche locali di comunità e gruppi la questione delle reti alternative di produttori/tric-consumatori/trici affinché la Sovranità alimentare rifletta anche queste iniziative e non sia recepita come molto centralizzata nel livello statale?

4) Rafforzare il dialogo con i governi, istituzioni internazionali e parlamentari che simpatizzano con la Sovranità alimentare.

Domande:

-Con quali governi, istituzioni internazionali e parlamentari sarebbe utile stabilire un dialogo?

-Da quali governi e istituzioni possiamo sperare in un appoggio in relazione alla messa in pratica della Sovranità alimentare?

-Cosa ci aspettiamo da un dialogo di questo tipo?

-Come possiamo fare pressione in modo più efficace nei confronti di governi e istituzioni?

5) Sviluppare strategie e azioni per incidere sui rapporti di forza e ottenere l’applicazione di politiche fondate sulla Sovranità alimentare

Domande:

-Quale strategia è necessaria per incidere nel coordinamento delle forze favorevoli alla Sovra nità alimentare?

-Verso quali attori ci dovremmo concentrare (opinione pubblicza, imprese trasnazionali, istituzioni internazionali, governi o i nostri movimenti)?

-Quali tipi di azioni sono necessarie per fare fronte agli attori dominanti quali i grandi commercianti e le imprese transnazionali?

-Quale potrebbe essere una proposta concreta di azione a livello internazionale per ottenere un impulso favorevole al mutamento?

- È possibile formulare un tema per una campagna che sia chiaro e sul quale concentrarci e mobilitarci nei prossimi 5-10 anni?