giovedì, agosto 10, 2006

Miniere. Diamoci una scossa, signor Presidente

Diamoci una scossa! E' tempo di riflessioni e di risposte alle tante domande
che ci poniamo in questo periodo su cosa siano per noi le miniere e su come
vogliamo che sia la nostra vita qui.

La memoria della miniera muore (tra una decina d'anni ci saranno ben pochi
minatori!) e si stanno investendo milioni di euro pubblici per valorizzare
questa memoria, ma, sostanzialmente, per distruggerla ristrutturando edifici
minerari che perdono qualunque connotazione di ciò che erano e non si sa
bene cosa saranno. La vecchia scuola elementare di Monteponi (il nostro
"modesto ma strategico laboratorio/museo"?!) è stata rimessa "a nuovo": non
è più un massiccio edificio scolastico degli anni '40/'50, ha un portone non
più in legno ma una vetrata in una struttura di metallo, una scala enorme
all'esterno per la sicurezza, qualche mosaico in meno. Non è e non sarà mai
ciò che volevamo che fosse: un luogo per noi e per le future generazioni,
per i bambini di viva memoria, di scoperta e di passaggio per entrare nella
buia miniera.
I ruderi minerari stanno crollando e le discariche di sterile ci invadono
con tutto il loro potere distruttivo di veleni accatastati in secoli di
lavoro. Con un atteggiamento un po' romantico, un po' retorico/decadente a
noi piace tanto questa nostra selvaggia natura così rovinata, squarciata,
inquinata, la guardiamo con occhi incantati e ci sembra di vederli là questi
minatori idealizzati, eroi del lavoro, della fatica, della lotta. Ma
dobbiamo superare questa mentalità.
C'è da fare in fretta se si vuole recuperare qualcosa e c'è da pensare ad un
possibile loro utilizzo (in senso turistico?) se si vuole mangiare anche
domani, quando si uscirà dalla misura uno della Comunità Europea, perché gli
stati dell'est sono più poveri di noi e quando le pensioni di silicosi degli
ultimi minatori non ci saranno più.
E allora che si fa. Si fa il bando internazionale di gara per la "cessione,
riqualificazione e trasformazione di ambiti di particolare interesse
paesaggistico del Parco Geominerario della Sardegna (Masua, Monte Agruxau,
Ingurtosu, Pitzinurri e Naracauli)
Le domande sono state quattro: l'immobiliare Lombarda s.p.a., la Pirelli, la
Hines Italia (fondo di investimento immobiliare americano) e la società
temporanea di imprese Sviluppo Sardegna.
Tutto sembra organizzato nel miglior modo: non si sta vendendo al miglior
offerente, rassicura il Presidente Soru, ma a chi presenta il miglior
progetto dal punto di vista paesaggistico-ambientale, dal punto di vista
della qualità architettonica, dell'integrazione col resto del territorio,
che vuol dire capacità di collaborare con gli artigiani, con gli
agricoltori, col sistema integrato dell'ospitalità diffusa. Tutto sarà
sancito da un accordo di programma che sarà firmato dalla Giunta regionale,
dalla Provincia, dai Comuni e dall'Igea.
Qui tutti (quasi) sembrano convinti che sia la nostra grande opportunità.
Poche le voci critiche, la solita Rete di Lilliput (netto dissenso e
fortissima preoccupazione rispetto alla decisione della Regione Sarda di
vendere alcune aree minerarie per realizzarvi "strutture alberghiere
ricettive con annessi centri benessere, strutture sportive e per il golf"),
il Gruppo d'Intervento Giuridico e gli Amici della Terra (che hanno
presentato un'istanza di radicale modifica del bando, esprimendo contrarietà
alla privatizzazione di aree di così grande rilievo storico-culturale ed
ambientale e chiedendo una politica dei "piccoli passi" con il risanamento
di un sito minerario alla volta, la programmazione della sua gestione, la
sua apertura alla fruizione turistica mediante il coinvolgimento di soggetti
imprenditoriali locali) la CISL e la destra che strumentalizza l'argomento
per attaccare la giunta Soru.
Insieme a Teresa Piras e all'Associazione Centro sperimentazione
autosviluppo che ha messo su in questi anni una splendida esperienza di
turismo fatto di accoglienza in famiglia chiamata "Domus amigas" si voleva
creare un momento di approfondimento su queste tematiche.
La storia delle miniere ci dà chiaro il limite della modernità, di un
modello di sviluppo (di un modello di società) che incurante degli uomini e
dell'ambiente, della natura, della terra, prende, prende, prende senza
limiti. Le miniere sono chiuse, ma la mentalità è uguale. E al padrone
francese o belga sostituiremo quello magari arabo o lombardo e invece di
mamma-miniera avremo mamma-turismo. Nuovi padroni assoluti che daranno il
nome delle proprie mogli non più a gallerie o laverie, ma ad alberghi e
campi da golf. E noi sempre lì a "vendere" non più il minerale, ma il mare,
il faraglione, la galleria, il ricordo.
Possibile che non riusciamo a fare a meno di un ricco signore che viene
dall'esterno e di un modello di sviluppo (o di distruzione) che accentra,
monopolizza, ci toglie il controllo, il potere, ci trasforma in pedine che
con molta facilità possono anche non servire più. E' possibile che lo
sviluppo turistico sia necessariamente fatto di alberghi (anche) centri
benessere e campi da golf!! Non si tratta solo di soldi, ma di mentalità,
di cultura, di stile di vita. Possibile che la storia delle miniere non ci
abbia insegnato nulla!!
"Queste terre violate raccontano storie finite, sono musei per eccellenza,
raccontano epoche compiute ma vicine a noi, raccontano soprattutto la
modernità: società internazionali che investono, usano territori, danno
lavoro, esauriscono sottosuoli, seguono le leggi del mercato, abbandonano
siti, lasciano sul lastrico uomini con abitudini secolari, spingono gente a
chiedere che le miniere siano aperte in eterno, siano rivalutate, riusate.
Usare le storie di vita per capire questo mondo è fondamentale, soprattutto
per un antropologo che cerca di ascoltare le voci di coloro che lo hanno
vissuto". (tratto da "Tra miniere e campagne: i paesaggi, visioni del
ricordo" di Pietro Clemente)

"Ne ho conosciuta di gente di miniera, tante cose mi ricordo, ma,
invecchiando, una cosa mi è successa, che le cose brutte, quelle brutte
brutte, me le sono dimenticate, non proprio dimenticate, è come che . E'
come che siano capitate a un'altra, e penso: scedà, tutto quello che ha
passato quella donna! Ma poi me ne rido perché mi ricordo che sono io. Ne
conosco io di storie di miniera . Vecchia sono e ho visto l'erba crescere
sopra i pozzi, i villaggi abbandonati .. Vecchia sono, e mi pare di essere
l'unica
a ricordare quando c'era vita qua, c'era vita nei paesi nostri. Ne ho girato
di posti . Cernitrice, cameriera, cuoca, locandiera sono stata. Perché il
marito mio, dove lo pagavano meglio andava, il lavoro non lo temeva, non
voleva paga di manovale, lui ..
Quando uscivano da miniera, tutti uguali parevano i minatori, soldati
stanchi, tornati da una guerra, con quelle facce sporche, ma, sotto quella
polvere scura, ognuno una storia aveva ." (Tratto da "Scavi, storia di
miniere" di Mariangela Sedda)
Povera gente venuta da ogni parte, dignitosa, battagliera, che riempiva le
gallerie, le piazze e le bettole. La storia delle miniere non è stata
un'epopea,
ma una storia di uomini e di donne dipendenti, subordinati, malati nei
polmoni e nelle ossa. Una generazione che ha visto nella miniera, nel
dopoguerra, il riscatto dalla fame, dalla povertà, dall'ignoranza che ha
voluto che i propri figli studiassero, non parlassero il sardo, si
preparassero a fare altro. Ma altro cosa? Noi non abbiamo la vocazione di
essere gli imprenditori di noi stessi, si dice e le poche iniziative sono
fallite fra scontri e invidie.
Forse nei millenni abbiamo maturato una concezione dell'ambiente, del
territorio profondamente errata che considera la terra estranea a noi
stessi, da forare, svuotare e invadere di discariche, residui tossici,
inquinanti. Abbiamo considerato l'ambiente come estraneo da noi, in una
visione solo utilitaristica e predatoria delle sue risorse. Ma noi stessi
siamo stati considerati da spremere e buttare via. E così ci siamo
deresponsabilizzati.
Ma non ci ha insegnato niente questa esperienza?!
Dobbiamo ricadere in mano di multinazionali!! Non c'è proprio alternativa!
Possibile che insieme ad una intera comunità non si riesca a trovare un
senso, una forza, una dimensione di profondo cambiamento?! Ci deve pur
essere una strada diversa che ci dia dignità e coraggio, che ci metta di
fronte alle nostre responsabilità, ma anche al nostro potere, che ci faccia
sentire minatori, cernitrici, agricoltori, pastori, artigiani, maestri di
nostre idee, di nostri progetti, di nostre iniziative culturali,
imprenditoriali aperti al mondo, alla terra, al cosmo.
Ho continuato imperterrita in questi anni a parlare di miniere con i bambini
e le bambine: interviste, visite guidate, rappresentazioni teatrali,
filmati, murales per conoscere, capire, non dimenticare.
Non per i turisti, ma per noi per il nostro essere e sentirci figli di
un'esperienza
millenaria di minatori. Nelle magliette realizzate per inaugurare il murales
c'era scritto "Nel cuore un nonno minatore e una nonna cernitrice" Ma chi li
sente nel cuore, e fino a quando?!

Possiamo pensare prima di tutto a riscattare la nostra storia. Perché non
puntiamo su una comunità (su uomini e donne che ricordino "che gli uomini
sono della terra e non è invece la terra degli uomini" come scrive
l'antropologo
Pietro Clemente) che sappia maturare e crescere nella consapevolezza della
storia dei propri antenati (le miniere quali sepolcri di famiglia); sappia
essere protagonista di tante e piccole iniziative che insieme facciano
lievitare un grande progetto, una grande prospettiva umana e ambientale che
riesca a costruire risposte ai bisogni primari essenziali di tutti.

Mi sento cittadino del mondo in questa ricerca, mi sento vicina a mio padre
minatore come al contadino eritreo in questa ricerca di essere "padroni",
responsabili di noi stessi, della nostra esistenza, del nostro futuro.

Fare i camerieri negli alberghi di Masua o di Rimini non fa molta
differenza, è solo maggiore la distanza da casa!! La differenza la fa se
l'albergo
di Masua (che magari è stato costruito e viene gestito dalla ditta
Lombarda - meglio certo se è sarda) fa parte di un progetto della mia terra,
integrato con i campi di agricoltura locale biologica, il campeggio di
Fontanamare - Gonnesa, la cooperativa che conduce nei percorsi di miniera
(da Acquaresi a Sa scalitta!!), la scuola di ., la musica, la cultura, il
museo, il belvedere e le tante persone che vivono e lavorano, i tanti
"imprenditori" locali che gestiscono, in un progetto integrato, il tutto.
Non vendiamo o diamo in concessione un pezzo di territorio! Anche con le
migliori regole, vincoli, accordi di programma con gli enti territoriali, è
comunque un modo per delegare, per recedere dalle nostre responsabilità, per
aspettare, con troppe aspettative e prospettive, chi dall'esterno ha i
soldi, ma soprattutto ha il potere di comandare e guidare il nostro futuro.
Stimoliamo il nostro orgoglio, le nostre forze ed energie migliori per
costruirci sentieri di autosviluppo duraturi, sostenibili, "nostri". Non
creiamo grandi aspettative da ciò che non sollecitiamo o creiamo da noi
stessi.
E allora cerchiamo le risorse finanziarie, culturali, creative; facciamo
arrivare i migliori progettisti per darci una mano, ma partecipiamo
attivamente e creiamo questo processo noi, con piccoli passi, guidando e
sostenendo chi può da noi investire e mettersi in gioco. E che il Parco
Geominerario storico ambientale sia capace di guidare questo processo, non
facendosi imprenditore, ma ideatore, coordinatore, motore.

Il nostro territorio è per intero un museo, ma nessuno fa da guida, nessuno
ce lo racconta o lo racconta a chi lo vive come estraneo, muto. Non è una
guida fisica ciò che serve ma una voce che entra dentro di noi e ci svela i
segreti di chi ha vissuto, lavorato, amato, riso, pianto in quelle case, in
quei sentieri, in quelle gallerie.
Nessun altro può raccontare questa storia se no noi, figli di miniera
nonostante tutto (nonostante il distacco, il rifiuto, la cultura
consumistica senza tempo e senza spazio). E possiamo raccontare questa
storia solo se sentiamo "nostra" questa terra e l'amiamo e la valorizziamo,
e la bonifichiamo e la percorriamo con tanti nostri "ospiti", turisti
educati e responsabili a cui offrire il racconto di vita insieme ad un
letto e i nostri cibi e sapori migliori e passeggiate e profumi e
affascinanti paesaggi, filtrati con i nostri occhi e con il nostro cuore.
Nessun altro, anche con tanti soldi, può costruire il nostro domani. " Noi
siamo importanti, siamo grandi, se la smettiamo di pensare in piccolo,
affidando ad altri responsabilità che invece ora ci dobbiamo assumere come
popolo" (Presidente Soru)

"La mia Sardegna è quella degli spazi infiniti, privi di tracce di
antropizzazione, ricca di risorse altrove introvabili, e per questo
preziose: il buio, il silenzio" (Presidente Soru - Corriere della Sera
23/11/2003)
E' una frase bellissima. Io ci aggiungerei:
" La mia Sardegna è anche quella delle tracce di una antropizzazione di
rapina, di sfruttamento, di dipendenza, tracce che sono oggi silenziose e
buie. Che devono restare per raccontare a noi e al mondo storie di uomini e
di donne che hanno lavorato e sofferto"

Marina Muscas

Carissimo presidente,
Sono Teresa Piras, presidente dell'Associazione Centro Sperimentazione
Autosviluppo, che ha promosso, tra l'altro, il progetto di ospitalità in
famiglia "Domus Amigas".
In merito al Bando Internazionale, vorrei esprimere riflessioni e
considerazioni che nascono dalle scelte fatte e portate avanti in questi
anni nei territori ex-minerari del Sulcis Iglesiente.
Alcune sue affermazioni sono perfettamente in sintonia con i nostri progetti
di autosviluppo:
· 08/03 2004 - "La Terra non si vende. E' diverso se a gestire la
nostra Terra, promuoverla, accompagnarla verso il futuro siamo noi con la
nostra testa, con la nostra cultura, con la volontà di continuare a viverci,
a crescere i nostri figli, piuttosto che qualcuno che arriva qui, magari con
l'orizzonte temporale d' un fondo di investimento."
· 23/09/2003 - "Non è dignitoso vendere la propria Terra, non è
dignitoso aspettare sempre che qualcuno ci dica che cosa dobbiamo fare"
· 27/03/2004 - "Noi siamo importanti, siamo grandi.dobbiamo smettere
di credere alle bugie di chi, non sardo, pensa di insegnarci come rilanciare
e sviluppare la nostra isola.Se un domani dovessimo fare un monumento nella
hall dell'Università del Turismo in Sardegna, quel monumento non dovrà
essere quello di un principe venuto da fuori che ha scoperto le nostre
coste, ma dovrà essere Peppineddu Palimodde che ha visto i lecci, ha visto i
sugheri, ha visto i cinghiali, ha visto quello che sapevano fare a casa sua,
che ha capito che l'ambiente è il valore delle cose che sappiamo fare, che
può essere preziosissimo e fonte di sviluppo per un'intera comunità".
Il Bando Internazionale non ci sembra figlio di dichiarazioni così
inequivocabili. La coerenza l'abbiamo ritrovata invece nella Progettazione
Integrata come modello esemplare di democrazia partecipata e scuola di
autosviluppo per i nostri territori.
Occorre tempo per passare dalla millenaria cultura della dipendenza
all'autonomia,
per avviare processi che inducano a contare sulle proprie forze e sulle
risorse locali, che si danno tanto per scontate da non apparire bene
prezioso. Continuare su questa strada, incoraggiando e accompagnando la
nascita dell'imprenditoria locale, è uno dei nodi cruciali del passaggio da
un passato che ha visto noi sardi dipendenti e subordinati ad un futuro in
cui possiamo responsabilmente assumere la gestione di noi stessi e della
nostra Terra (non in un'ottica di chiusura e orgoglio nazionalistico ma in
quella della tutela e condivisione della nostra specificità e ricchezza
culturale).
Occorre cambiare la mentalità di tutti noi superando i miti della modernità
basati sul saccheggio della terra e sulla concentrazione delle risorse nelle
mani di pochi, miti di cui i nostri territori ex-minerari vivono oggi le
drammatiche conseguenze.
Le strade da percorrere sono altre: dal risanamento ambientale alla tutela
dei beni primari (suolo, acqua e aria pura), dal benessere di pochi alla
comunità in cui si possa star bene tutti (intendendo il benessere non in
termini monetari ma di beni primari condivisi).
E' questo il sogno che stiamo cercando di realizzare con il progetto di
autosviluppo: far rivivere i nostri territori, partendo da noi, dal potere e
dalla responsabilità di ciascuno per cercare di costruire comunità il più
possibile autosufficienti e solidali, aperte all'incontro e alla
condivisione.
In questi anni abbiamo cercato di sperimentare forme di economia alternativa
(sostegno agli agricoltori biologici, agli artigiani sostenibili, creazione
di una rete di ospitalità in famiglia, Domus Amigas) basate su modi di
vivere non consumistici, più sobri ed ecologici, ispirati alla semplicità,
alla bellezza, al dono, alla convivialità, ad un rapporto aperto e solidale
con tutti.
Questo progetto ci ha permesso di conoscere, sostenere e collaborare con
tante piccole realtà produttive del territorio e di riscoprire la gioia di
progettare insieme la nostra vita e quella delle nostre comunità.
In questa prospettiva ci stanno a cuore scelte politiche non estranee ai
nostri contesti culturali, che permettano di preservarci dall'omologazione e
di conservare luoghi, storie, percorsi della memoria, ricreando condizioni
idonee alla rinascita di tante piccole realtà locali che pesino il meno
possibile sull'ambiente.
Vorremmo vedere riconsegnati gli antichi edifici della miniera ai nostri
giovani perché possano svolgere attività culturali e produttive sostenibili
( artigianato, centri per le energie alternative, danza, teatro, luoghi di
accoglienza per gruppi di giovani.).
Auspichiamo pertanto non una politica di vendita-svendita di alcune delle
più belle aree minerarie ma una politica di piccoli passi verso il
risanamento ambientale, con la bonifica di un sito minerario alla volta, la
programmazione pubblica della sua gestione, il coinvolgimento di soggetti
imprenditoriali locali.
Liberiamo dalle catene dell'immobilismo il Parco Geominerario Storico
Ambientale che ha acceso tante speranze per la conservazione e tutela di un
patrimonio storico, culturale e ambientale unico al mondo.

Iglesias 1 agosto 2006-08-01

La presidente dell'associazione C:S.A.

Teresa Piras

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