domenica, maggio 16, 2010

Ho visto Nina volare

Perchè le persone vanno ai concerti? Perchè stanno lì, ferme, ad ascoltare qualcosa che non ha niente a che fare con la vita concreta del villaggio? La musica a teatro non fa ballare, non condisce feste, cerimonie, nè accompagna altri momenti importanti della vita della comunità.  E allora?

Allora boh. Cosa volete che ne sappia? Cosa volete che scriva? Da quando la nostra società si è dedicata alla omologazione e ha sventrato le vite dei cittadini per riempirle di concetti e stili adatti alla bisogna, la gente va ai concerti per:

a) sentirsi parte del mondo omologato, appunto

b) fuggire l’angoscia che questo gli crea.

Ma per fortuna la musica riesce anche a dare:

1) l’esperienza unica del diverso scorrere del tempo

2) l’opportunità di raggiungere un godimento estetico meno banale del solito.

Chi vuole suggerire qualcosa di altro e di di diverso, lo dica ora o taccia per sempre.

Bene. Stefano Di Battista al sax soprano (bis eseguito con sax tenore), Fabrizio Bosso alla tromba con e senza sordina, Roberto Tarenzi al pianoforte, Dario Rosciglione al contrabbasso e Marcello Di Leonardo alla batteria, hanno omaggiato Fabrizio De Andrè al Teatro Massimo di Cagliari. I cinque jazzmen hanno ripreso alcuni brani del cantautore ligure, li hanno arrangiati in chiave “european-jazz” con tanto, tanto buon swing, ci hanno quasi improvvisato sopra con un telaio ben strutturato  e delicato (per non offendere le orecchie poco educate dell’ascoltatore medio) e hanno rapito la platea (ma anche la loggia) su un tappeto volante i cui motori soffici e assolutamente avvolgenti erano quelli azionati dal trio ritmico (batteria, pianoforte e contrabbasso).

Il jazz è stato ed è anche questo: incontrare musiche non jazz e rielaborarle. In Italia l’hanno fatto in tantissimi, a partire da Gianni Basso e Franco Cerri e la tradizione continua con questo Stefano di Battista che più che virtuoso dello strumento è un raffinato arrangiatore.

Momento centrale del concerto, la magia della tecnica di mix che ha permesso al quintetto jazz di accompagnare la voce di De Andrè nel brano “Ho visto Nina volare”.  Struggente pezzo sui primi amori di Fabrizio e sulla disobbedienza al padre, con sopra l’ottimo intreccio dei cinque.

Dunque, ha svolto il suo compito, questo concerto? Ha esaudito i desideri dei paganti?

Direi di sì. La musica ha rinnovato il suo impegno di essere astrazione pura e, in quanto tale, capace di cancellare i rapporti col tempo dimostrandone la relatività, come Albert Einstein.

Il mio piede è stato in costante ritmico movimento per 90 minuti, a testimonianza e prova che si è trattato di un concerto jazz in cui il swing l’ha fatta da padrone. I ritmi hanno spaziato tra quattro e cinque quarti; le cadenze armoniche rielaborate per nascondere e poi esaltare le linee melodiche di De Andrè, anch’esse abbastanza camuffate (perfetto, a mio avviso, Don Raffaè); i fraseggi di Bosso e Di Battista, complessi, ricchi, tecnicamente puliti, arzigogolati da capogiro, con escursioni ampie, anche se Bosso non ha mai toccato note altissime.

L’unico appunto: il pianoforte troppo sacrificato. Non so se per scelta o per errore del tecnico del suono che non ha ben regolato il volume dell’audio, ma gli “assolo”  di Tarenzi, bellissimi, sono rimasti nell’ombra. Peccato, avrei dato nove.

Voto al concerto: 8



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