
Una Legge d’iniziativa popolare per ri-pubblicizzare l’acqua, bene comune: inizia la raccolta firme per superare la Legge “Galli”. Per sei mesi “banchetti” nelle piazze in tutta Italia.
Cinquantamila firme: tante ne servono per far arrivare in Parlamento una proposta di Legge d’iniziativa popolare per la ri-pubblicizzazione dell’acqua. Un obiettivo possibile per il movimento italiano per “l’acqua pubblica”: 55 tra associazioni e organizzazioni nazionali, tra cui Mani Tese, e oltre duecento comitati locali, che dal 13 gennaio per sei mesi raccoglieranno firme in tutto il territorio nazionale, dietro lo slogan “Acqua pubblica, ci metto la firma!”.
L’acqua è un diritto, non una merce
La proposta di legge, che ha  per oggetto i “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle  acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico”, nasce al  termine di un percorso di condivisione, avviato a Cecina in occasione del  meeting antirazzista organizzato dall’Arci nell’estate del 2005 e proseguito col  primo Forum dei movimenti italiani per l’acqua, che si è tenuto a Roma nel marzo  del 2006. Il lancio della campagna è avvenuto a fine novembre a Roma, con una  conferenza stampa a cui hanno partecipato – tra le altre – Attac, il Comitato  italiano per un contratto mondiale sull’acqua, Mani Tese, Arci, Funzione  pubblica-Cgil, Abruzzo social forum, Cobas energia. 
Superare la “Galli”
“La proposta di legge di iniziativa popolare –  afferma Marco Bersani di Attac Italia – nasce dall’esigenza di costruire un  nuovo quadro normativo per affermare che l’acqua è un bene comune, il cui  accesso ed utilizzo è un diritto umano universale, che pertanto va sottratto  alle logiche del mercato e della concorrenza”. È da superare, cioè, la Legge  Galli, la legge che dagli anni Novanta regola la gestione del servizio idrico  integrato nel nostro Paese. Con il fine di ridurre l’eccessiva frammentazione  dei soggetti gestori, la Galli ha di fatto aperto a investitori privati “il  mercato” delle ex aziende municipalizzate, i gestori pubblici che fino ad allora  avevano garantito a tutti i cittadini l’accesso all’acqua a prezzi contenuti.  
Ad oggi, gli effetti negativi di questi processi, in termini di mancata efficienza e aumento nel costo del servizio, sono sotto gli occhi dei cittadini: ciò ha portato – negli anni – a numerose iniziative di mobilitazione. Tra tanti c’è il caso di Aprilia, una cittadina in provincia di Latina dove oltre tremila cittadini hanno deciso di non pagare la bolletta dell’acqua. Il gestore privato (“Aqualatina”), a fronte di mancati investimenti per il miglioramento del servizio, ha alzato le tariffe di oltre il 100% e la gente ha fatto sentire la propria voce, rispedendo le bollette al mittente.
I predoni e il bene comune
Per comprendere lo spirito della  proposta di Legge, occorre tornare a vedere l’acqua come “bene comune”, un  diritto umano fondamentale e non una fonte di profitto. Padre Alex Zanotelli,  missionario comboniano e oggi attivo nei movimenti in lotta contra la  privatizzazione dell’acqua a Napoli e in Campania, ha così riassunto questo  pensiero: “Privatizzare l’acqua equivale a rubare, poiché si ricava un profitto  illecito da ciò che è un dono di natura”. E di “ladri dell’acqua”, in Italia, ce  ne sono tanti. Non solo tra le imprese che imbottigliano e commercializzano  l’acqua pagando tasse di concessione irrisorie alle Regioni (l’italiano è il  primo consumatore mondiale di acque minerali, oltre 200 litri all’anno a testa):  anche per quanto riguarda la gestione degli acquedotti, viviamo una situazione  di contrazione dei soggetti gestori, come ha ricordato nel corso della  conferenza stampa Vincenzo Miliucci dei Cobas dell’energia. 
L’Acea di Roma, l’Hera in Emilia Romagna, l’Asm di Brescia e l’Aem di Milano,  l’Amga di Genova sono ormai dei colossi, società per azioni quotate in borsa che  stanno – poco a poco – conquistando la gestione del servizio idrico in tutti e  91 gli Ato (Ambiti territoriali ottimali) in cui la “Galli” ha diviso il  territorio nazionale. Sono aziende che, pur mantenendo formalmente le  caratteristiche di azienda “pubblica” (il 51% delle azioni in mano ad un Comune  o più Comuni), rispondono – di fatto – all’esigenza di remunerare il capitale, e  cioè di garantire profitti a quei soggetti privati che hanno acquisito, per  effetto di gare o in Borsa valori, quote azionarie di minoranza.
Oltre il “pubblico”
Il nodo, che la Legge d’iniziativa  popolare analizza e propone di superare, è l’affidamento della gestione del  servizio idrico a Società per azioni (S.p.A.). Un governo pubblico dell’acqua  sarà possibile solo quando i soggetti gestori torneranno ad essere enti di  diritto pubblico (e una S.p.A., anche quando il 100% delle azioni è in mano ai  Comuni, sarà sempre un ente di diritto privato). È sotto gli occhi di tutti  l’esempio di Torino: la Smat è una società al 100% pubblica che si comporta però  da “privato”, andando a concorrere per ottenere la gestione del servizio idrico  della città di Palermo.
Lo Stato obbligato
Una vera rivoluzione è necessaria per superare  l’idea che i cittadini debbano farsi carico – in bolletta – di reperire i fondi  necessari agli investimenti indispensabili per garantire un livello adeguato del  servizio. La Legge d’iniziativa popolare propone che questi vengano coperti con  la fiscalità generale. Provocatoriamente: non siamo forse chiamati a pagare, con  le nostre tasse, anche l’Esercito e le sue missioni all’estero, siano esse di  guerra – Iraq, Afghanistan – o di “pace” (Libano)? Destinando al servizio idrico  anche solo il 5% della spesa militare prevista nella Finanziaria 2005 (o 2006, 0  2007), il Governo ricaverebbero i fondi necessari a finanziare le opere di  manutenzione e ammodernamento di cui necessita la rete idrica italiana. Ed è  proprio questo che propone la legge, obbligando lo Stato nei confronti dei  cittadini, al di là delle belle parole del programma dell’Unione (dov’è scritto  che: “L'acqua è un bene comune, la cui proprietà e gestione deve rimanere in  mano pubblica”). Anche i fondi raccolti nella lotta all’evasione fiscale  potrebbero essere destinati allo stesso scopo. E ognuno si vedrebbe garantiti 50  litri d’acqua al giorno, anche coloro – gli indigenti – che non sono in grado di  pagare. 
Educazione e democrazia
Oltre gli obiettivi specifici, la proposta  di Legge si propone come un momento di sensibilizzazione: la raccolta firme  (tutti gli eventi e le iniziative sono segnalate sul sito  www.acquabenecomune.org) servirà ad organizzare momenti di educazione della  popolazione, per creare una nuova cultura dell’acqua e della partecipazione del  cittadino alla gestione delle cosa pubblica. La proposta di Legge è anche –  nelle parole di Tommaso Fattori, del Tavolo toscano acqua – “una legge contro la  privatizzazione della democrazia”: nasce per valorizzare uno strumento  legislativo sotto utilizzato e consentirà, allo stesso tempo, di portare il tema  dell’acqua nel Paese, tra la gente, nelle piazze, nei centri sociali, nelle  parrocchie, e ovunque si possano realizzare eventi e banchetti di raccolta  firme.
[di Luca Martinelli, tratto dal mensile Manitese, gennaio 2007]
 
  
In controtendenza con le "buone intenzioni" espresse del governo dell'Ulivo, a Milano e in Lombardia il Consiglio regionale ha approvato, l'agosto scorso e nel silenzio generale, la Legge 18 sulla riorganizzazione del servizio idrico. Una legge che non solo separa la "gestione" delle reti dall'"erogazione" dell'acqua (come dire: agli enti pubblici l'onere della manutenzione degli impianti, ai privati l'onore di incassare le bollette), ma obbliga anche i comuni a indire le gare d'appalto per privatizzare i servizi idrici, e contro la quale il governo ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale.
Tutti meno Milano
Tutti i comuni sono obbligati tranne uno: Milano, guarda caso, è dispensata dalla gara. Forse perché la sindaca intende fondere la Metropolitana Milanese (che è totalmente pubblica e al momento gestisce l'acquedotto) con la AEM (partecipato al 66% dal capitale privato), e poi procedere a un'ulteriore fusione con la ASM di Brescia, creando così una multiutility pubblico-privata che non solo riceverà in "eredità" l'erogazione dell'acqua di Milano, ma potrà andare in giro per il mondo a offrire i suoi servizi, come fanno altre grandi S.p.A. Un'operazione che appare illegittima sotto vari aspetti: perché non c'è gara d'appalto e perché una società che si fonde con un'altra non può "portare in dote" le concessioni che le sono state assegnate.
La città si mobilita
Contro questi pasticciacci alla milanese, è rinato di recente il Comitato Milanese per l'Acqua, formato tra gli altri da Contratto mondiale per l'acqua, Camera del Lavoro, Arci, Attac, Amici di Beppe Grillo. Il primo obiettivo è informare la popolazione milanese e raccogliere firme per una petizione popolare che chiede, tra le altre cose, che l'acqua venga gestita in modo pubblico e partecipato e non a scopo di profitto, che lo statuto comunale la riconosca come un diritto di tutti, che si prendano iniziative per ridurne il consumo e migliorarne la qualità. Il Comitato intende collaborare con altri gruppi di cittadini, sindaci e presidenti provinciali lombardi per un referendum abrogativo della Legge 18 e sostenere la raccolta di firme sulla proposta di Legge di iniziativa popolare promossa dal movimento italiano per l'acqua.
Per informazioni: http://www.comitatomilanoacqua.info
[di Sandra Cangemi, tratto dal mensile Manitese, gennaio 2007]
LA TOSCANA BOCCIA L’ACQUA PUBBLICA
Il 22 novembre scorso il Consiglio regionale della Toscana ha discusso la proposta di legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato della Toscana.
Per arrivare a presentarla il Tavolo toscano acqua, coordinamento di associazioni, sindacati e partiti promotori della proposta di legge, lo scorso anno aveva raccolto oltre 43.000 firme, in centinaia di banchetti e dibattiti organizzati in tutta la regione.
Nonostante i voti favorevoli del Prc, dei Comunisti italiani e dei Verdi, la bocciatura del Consiglio regionale è stata netta e poco dibattuta: il veto dei Ds e della Margherita ha liquidato ben presto le speranze dei promotori. E mentre la Giunta regionale sta elaborando la prima legge regionale per la partecipazione dei cittadini al governo della regione, la stessa amministrazione cancella d’un botto la proposta di 43.000 cittadini.
Il programma nazionale dell’Unione, sul tema acqua, parla chiaro: reti e gestione dei servizi devono rimanere in mano pubblica. Forse in Toscana, dove l’Unione non c’è ancora, l’acqua può essere tranquillamente privatizzata da chi, come la multinazionale romana Acea, ha già il controllo dei servizi idrici di mezza regione?
Un solo gestore d’ambito è rimasto pubblico in Toscana, a Lucca e Massa-Carrara, e i movimenti, i cittadini e i partiti che hanno promosso la proposta di legge regionale sono pronti a difenderlo in tutti i modi. Per non svendere al miglior offerente l’ultima acqua rimasta pubblica in Toscana.
Info: www.leggepopolareacqua.it
[di Alessio Ciacci, tratto dal mensile Manitese, gennaio 2007]
 
 

 
 
 
 
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